Le scelte che vengono fatte senza la cultura della centralità dell’agricoltura, sono quelle di sottrarre terra fertile e boschi alla produzione di cibo, di aria e di paesaggi e sostenere le speculazioni, come quella che mette in atto la decisione di centomila nuove case o la costruzione di centrali nucleari o la perforazione selvaggia dell’Abruzzo e del Molise per la ricerca di petrolio.
Una nave che naviga senza bussola nell’oceano in tempesta.
Quando diciamo che è la carenza culturale che porta a sbagliare tattiche e strategie e ad accusare una crisi economica, che dovrebbe far capire che siamo giunti alla fine di un percorso e che necessita trovare nuove tattiche e nuove strategie per programmare un nuovo sviluppo, questa nostra verità viene confermata dai fatti.
Infatti, la notizia dell’approvazione, da parte dell’attuale Governo, di un piano che prevede finanziamenti per 100 mila case, con Presidente del Consiglio e Ministri che si vantano di questa loro scelta e con l’opposizione che non coglie il nocciolo della questione, dimostra che la cementificazione programmata o abusiva del territorio, comunque selvaggia, non è un problema per la politica, né per la classe dirigente di questo Paese.
Come non è un problema la sottrazione di una fetta grande di terreno agricolo che questa cementificazione comporta, con la conseguenza che il futuro di questo Paese prevede meno cibo, che saremo costretti ad importare; meno vigneti, meno grano, meno ortaggi, meno frutta e meno oliveti, con una perdita secca dell’ esportazione e di immagine del nostro agroalimentare; meno strutture di trasformazione, meno indotto e meno occupati, ma, anche, meno paesaggio e meno ambiente, ciò che vuol dire anche meno turismo. Meno di tante cose vitali ed essenziali per l’immagine e l’economia del nostro Paese che non preoccupa nessuno, visto che all’applauso di chi ha fatto questa scelta ha risposto il silenzio di chi la subisce o non ha avuto modo di parteciparvi.
Una nuova colata di cemento che toglie ad ognuno di noi il respiro e il gusto della nostra identità.
Quella identità espressa dai campi di grano per la rinomata pasta e la famosa pizza; oliveti per il ricco patrimonio di biodiversità e di oli, che nessun altro paese al mondo può vantare; vigne per i nostri straordinari vini, molti dei quali impeccabili testimoni di territori noti in tutto il mondo; prati e pascoli per i nostri allevamenti di animali che danno formaggi e latticini impareggiabili, salumi unici, carni saporite; orti, familiari o a pieno campo, per le nostre verdure e i nostri pomodori che caratterizzano e rendono varia e speciale tanti piatti della nostra cucina; risaie per i nostri risotti, che continuano a caratterizzare i profumi ed i sapori di luoghi e di Regioni, e orgoglio dei veneti e dei milanesi; il tempo che passa lento da una botticella ad un'altra per rendere l’aceto unto di sapori, balsamico, ricco di sospiri, al pari di un vin santo o di un passito e così i frutteti, i nostri boschi e sottoboschi. Noi, la nostra storia, la nostra cultura, la nostra fantasia e la nostra creatività.
La carenza culturale che ha portato ad escludere l’agricoltura dalle strategie di sviluppo, avviate dopo gli anni ’50, e a rendere questo settore destinatario di risorse che, invece di arricchirlo l’andavano ad impoverirlo, fino ad arrivare alla crisi strutturale in atto, che rischia di spopolare le nostre campagne in modo da renderle, così, libere per le grandi speculazioni e per i nuovi insediamenti che parlano di centrali nucleari, estrazioni di petrolio, depositi di scorie e di ecoballe, grandi digestori
Un paese di rifiuti e di fumi al posto dei profumi delle nostre campagne e dei nostri boschi, che danno ragione a chi ha bisogno di terra per speculare..
C’è chi, invece di entrare nel merito delle questioni oggetto di queste nostre riflessioni, pensa di risolvere la crisi azzerando i chilometri; illudendo i consumatori con l’origine, senza dare ad esso le garanzie della qualità e delle peculiarità organolettiche per appagare la salute e il gusto; mettendosi in contrapposizione con altre categorie, invece di dare ad esse il diritto di svolgere la propria attività e di rafforzare la filiera con il confronto ed il dialogo.
Iniziative che non portano da nessuna parte, ma solo a illudere i produttori ed a far perdere tempo ai coltivatori ed al Paese che, oggi più che mai, hanno bisogno che venga affermata la centralità della nostra agricoltura se si vuole ribaltare una cultura e un modello di sviluppo, che è fallito perché divora le uniche risorse vere che ha, il territorio con la sua storia e la sua cultura, i suoi paesaggi e le sue tradizioni e, soprattutto, con la sua agricoltura e la ruralità. Le prospettive sono quelle di portare a nuovi fallimenti in un arco di tempo più breve del passato.
Avere la consapevolezza di queste risorse e dei valori che esse esprimono, ponendo al centro l’agricoltura, è il solo modo per riprendere il filo del discorso che interessi speculativi e di mercato hanno spezzato.
In questo senso, la necessità di case da dare ai giovani e a quanti la casa non ce l’hanno, avrebbe dovuto portare ad un altro ragionamento: destinare tutte le risorse, oggi messe a disposizione per la costruzione di centomila case, tutte per recuperare le case abbandonate dei piccoli centri in modo da rianimarli e renderli soggetti di quella qualità della vita che i futuri casermoni annullano provocando e diffondendo disagio e criminalità.
Bloccando, così, un processo che porta ad allargare e soffocare le grandi città ed a fare morire la storia e la cultura che i nostri piccoli centri esprimono.
Riportare l’agricoltura al centro del ragionamento e della programmazione economica, politica e sociale, è una necessità, quindi, che non si può più rinviare.
di Pasquale Di Lena
30 luglio 2009
Riportare al centro dello sviluppo l'agricoltura e il territorio
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