24 febbraio 2009

E' possibile ottenere un OLIO extra vergine nutrizionalmente perfetto?


Introduzione
La crescente diffusione della dieta Mediterranea, di cui l’olio d’oliva costituisce la principale fonte di grassi, al di fuori delle aree tradizionali ha stimolato l’interesse di ricercatori e nutrizionisti verso le proprieta’ salutari di questo alimento. L’enfasi che spesso viene posta sulle (vere o presunte) qualita’ nutrizionali dell’olio d’oliva non e’ sempre sostenuta da dati scientifici, ma la ricerca in questo campo sta progredendo rapidamente. Cerchiamo di fare il punto delle ricerche sviluppatesi nel campo dell’olio d’oliva in relazione alla salute umana, focalizzandosi sul ruolo dei “composti minori” e fornendo anche basi per comprendere le potenziali attivita’ salutari dell’olio d’oliva di qualita’.

Perche’ si parla tanto di antiossidanti?
La produzione incontrollata di radicali liberi in vari sistemi biologici in rapporto all'insorgenza di varie patologie di tipo degenerativo, ed il ruolo di composti antiossidanti nel controllo di tali processi, sono argomento di discussione da molti decenni, tra patologi, biochimici e nutrizionisti.

Solo recentemente, tuttavia, solide osservazioni sperimentali hanno permesso di proporre un ruolo ben definito di biomolecole alterate da processi ossidativi nell'insorgenza della patologia. Fra queste molecole vi sono le LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo), le proteine ed in DNA. Tale ipotesi di lavoro ed i dati sperimentali a suo sostegno che vengono prodotti in questo campo di ricerca, hanno creato un grande interesse per gli antiossidanti, in primo luogo per quelli presenti nella dieta.

Cosa c’e’ di vero?
Varie evidenze sono state prodotte negli ultimi anni a sostegno della formazione di LDL ossidate in vivo, mentre la valutazione della maggior ossidabilita' delle LDL in sistemi in vitro risulta correlata, ed e' pertanto predittiva, dell'evoluzione dell'aterosclerosi in vivo. Anche per le proteine ossidate la ricerca scientifica sta facendo grossi passi avanti, soprattutto nel campo dell’invecchiamento, in cui l’ossidazione proteica gioca un ruolo importante (si calcola che un individuo di 80 anni abbia circa l’80% delle proteine del suo organismo ossidate.

Meno chiari sono i dati riguardanti il DNA, la cui ossidazione potrebbe essere alla base di mutazioni geniche e successiva comparsa di tumori. Si deve tuttavia rilevare che queste ipotesi sono difficilmente verificabili in vivo, nel soggetto, a causa delle scarse conoscenze tecnologiche che impediscono ancora di caratterizzare e dosare accuratamente i prodotti di ossidazione. Si tratta quindi di ipotesi suggestive, basate su un buon numero di evidenze sperimentali, ma che devono ancora essere provate al di la’ di ogni ragionevole dubbio.

Sulla base di queste ipotesi, tuttavia, e’ formulata la teoria che la dieta mediterranea, ricca in antiossidanti ed in olio d’oliva (che contiene l’acido grasso oleico – monoinsaturo e difficilmente ossidabile) possa prevenire le patologie associate ai processi ossidativi. A sostegno di questa teoria vi e’ anche l’osservazione che i fattori di rischio cardiovascolare (es. colesterolemia e pressione arteriosa) non sono molto diversi tra le popolazioni mediterranee e quelle di altri paesi a piu’ alta incidenza di malattie cardiovascolari. E’ quindi probabile che altri fattori preventivi intervengano a diminuire il rischio.

Merito dell’acido oleico?
La dieta Mediterranea e’ caratterizzata, dal punto di vista del profilo lipidico, da un elevato consumo di olio d’oliva. L’uso dell’olio d’oliva come condimento e come principale grasso alimentare permette di ridurre considerevolmente l’apporto di grassi saturi, come ad esempio quelli derivanti da burro e prodotti caseari impiegati in larga quantita’ nel Nord-Europa.

L’alto consumo di acido oleico attraverso l’impiego di olio d’oliva e’ stato fino ad oggi ritenuto reponsabile della maggior parte degli effetti benefici della dieta Mediterranea. Esistono pero’ valide ragioni per dubitare della validita’ di questa affermazione. In primo luogo, analizzando il contenuto di acido oleico totale della dieta Mediterranea e confrontandolo con quello delle diete diffuse nei paesi anglosassoni (es. USA e Regno Unito) si nota come la percentuale di questo acido grasso monoinsaturo sia molto simile in tutti i regimi dietetici. Infatti, se nell’area mediterranea si consuma molto olio d’oliva, nei paesi anglosassoni un adeguato apporto di acido oleico viene raggiunto attraverso il consumo di altri cibi ricchi di oleato come, ad esempio, pollo e maiale. Inoltre, l’organismo e’ in grado di sintetizzare oleato a partire da precursori: a differenza degli acidi grassi poliinsaturi (essenziali) che devono essere assunti preformati, l’acido oleico puo’ derivare dall’acetato attraverso vie metaboliche conosciute.

E’ anche diffusa la nozione che l’acido oleico abbia effetti favorevoli sul profilo lipoproteico umano, abbassando il tasso di colesterolo LDL (soprannominato “colesterolo cattivo”). In realta’, studi effettuati in condizioni controllate hanno mostrato un effetto molto modesto o nullo dei grassi monoinsaturi quando questi sono stati somministrati in sostituzione dei carboidrati in una dieta isocalorica. In definitiva, l’olio d’oliva ha pochissimi effetti diretti sulla colesterolemia ed i benefici di una dieta ricca in acido oleico sono per la maggior parte attribuibili alla contemporanea riduzione dei livelli di grassi saturi. Propagandare quindi l’uso di olio d’oliva per il controllo del colesterolo non ha basi scientifiche.

Piu’ importanti, dal punto di vista salutistico, sono gli acidi grassi poliinsaturi, soprattutto quelli della serie omega 3. Definiti “essenziali” perche’ il nostro organismo non e’ in grado di sintetizzarli (e devono essere assunti con la dieta), la loro quantita’ nella dieta occidentale e’ ritenuta troppo bassa. Produrre oli piu’ ricchi in omega 3 potrebbe apportare benefici al loro profilo nutrizionale.

La frazione insaponificabile dell’olio d’oliva
Oltre alla sua particolare composizione in acidi grassi, l'olio d'oliva di prima spremitura contiene vari componenti minori che gli conferiscono il particolare gusto e aroma. Questo e' dovuto al fatto che l'olio d'oliva e' l'unico olio vegetale ottenuto dall'intero frutto e non dai soli semi, il che gli permette di conservare tutte le proprieta' organolettiche delle olive.

E' da sottolineare il fatto che l'olio "extra-vergine" e' molto piu' ricco in composti fenolici degli olii raffinati, ottenuti per rettificazione degli olii troppo acidi, che sono virtualmente privi di fenoli. In breve, gli olii di migliore qualita' sono ricchi in fenoli (e viceversa).

Il consumo medio giornaliero nei paesi mediterranei varia da pochi Kg/capita/anno a ~15 Kg/capita/anno. Nelle aree a piu' alto consumo, l'uso giornaliero di olio raggiunge quindi i 50 g/die, fornendo quindi circa 25 mg di fenoli al giorno. Questo ordine di grandezza, calcolato come quantita' totale di flavonoidi (derivanti quindi anche da mele, cipolle ecc.), e' stato correlato ad una minore incidenza di malattie cardiovascolari.

Il crescente interesse nella chimica degli antiossidanti naturali ed il diffondersi della dieta mediterranea, sempre piu' popolare in USA e Giappone, ha stimolato l'interesse di vari gruppi di ricerca verso i possibili effetti antiossidanti di alcuni composti che sono stati isolati e purificati dall'olio extra vergine d'oliva. L’obiettivo e' quello di chiarire ulteriormente il potenziale ruolo dell'olio d'oliva e dei suoi componenti minori nella protezione del sistema cardiovascolare.

I componenti fenolici sono potenti antiossidanti (in una provetta)
Sono ormai numerosi gli studi pubblicati sulle attivita’ antiossidanti dei fenoli dell’oliva (sia in termini di olio extra vergine sia come acque di vegetazione). Lo stato delle ricerche e’ cosi’ avanzato che ha permesso di individuare le specie ossidanti verso cui i fenoli dell’oliva (in particolare idrossitirosolo ed oleuropeina) svolgono le loro attivita’ antiossidanti. Molti studi sono anche stati effettuati in sistemi cellulari e nei confronti di DNA isolato. La potenza dei fenoli dell’oliva dipende dal substrato su cui si fanno agire, ma spesso e’ di molto superiore a quella di altri antiossidanti noti, quali la vitamina E. Le attivita’ antiossidanti di idrossitirosolo e secoiridoidi fanno si che il loro impiego a livello applicativo sia in fase di forte sviluppo ed esistono gia’ brevetti industriali in questo senso.

Non solo antiossidanti (altre attivita’ biologiche dei componenti minori dell’olio d’oliva)
I potenziali effetti benefici dei composti fenolici sulla salute umana non si limitano alla loro azione antiossidante. Sono state infatti studiate numerose ed interessanti attivita’ biologiche che potrebbero rivelare nuovi ruoli di tali composti nella prevenzione di alcune malattie. La formazione di trombi, ad esempio, e’ favorita da un’eccessiva aggregabilita’ delle piastrine, cellule deputate a costituire il “tappo emostatico”. Tale funzione si rivela utilissima quando si debba arginare un eccessivo sanguinamento, ad esempio a seguito di un taglio, ma risulta nociva quando, all’interno dei vasi sanguigni, le piastrine si aggregano e formano dei coaguli (trombi) che possono occludere il lume vascolare impedendo il passaggio di sangue (caso dell’infarto miocardico).

I composti fenolici estratti dall’olio d’oliva, ed in particolare l’idrossitirosolo, sono in grado di inibire l’aggregazione piastrinica indotta da vari agenti aggreganti. Questa proprieta’ antitrombotica si associa ad una ridotta produzione di fattori pro-infiammatori quali trombossano e leucotrieni prodotti dalle piastrine (il primo) o da cellule coinvolte nei processi dell’infiammazione quali i leucotrieni (i secondi).

Altri studi hanno anche dimostrato che l’oleuropeina e’ in grado di aumentare la sintesi di ossido nitrico, una molecola con forte potere battericida e citostatico, da parte di macrofagi (cellule coinvolte nei processi di risposta immunitaria dell’organismo). Questa ulteriore attivita’ suggerisce che l’oleuropeina, attraverso la stimolazione di enzimi specifici, potenzia la risposta immunitaria provocata dall’attacco batterico. Infine, uno studio appena pubblicato dimostra attivita’ neuroprotettive dell’idrossitirosolo, sia in vitro sia dopo somministrazione orale.

Gli studi sulle attivita’ biologiche (antiossidanti e non) dei fenoli dell’olio d’oliva sono tuttora in corso e non si esclude che nuove proprieta’ salutari vengano portate alla luce nell’immediato futuro.

Ma nell’uomo?
Il fatto che attivita’ biologiche di composti naturali vengano dimostrate in vitro (provette o colture cellulari), non implica necessariamente che tali composti svolgano attivita’ salutari nell’organismo una volta ingeriti. Da questo punto di vista si deve sottolineare il fatto che nel campo dell’olio d’oliva extra vergine gli studi sono molto avanzati, molto piu’ che per altri alimenti, come vino e te’. L’assorbimento di idrossitirosolo ed altri fenoli e’ stato ampiamente studiato e ne e’ anche stato chiarito il metabolismo. Infine, esistono alla data del convegno circa 15 studi effettuati nell’uomo (volontari sani o pazienti), di cui una dozzina dimostrano la superiorita’ dell’olio d’oliva extra vergine ricco in fenoli rispetto all’olio d’oliva e rispetto agli oli di semi, in termini di attivita’ biologiche.

Conclusioni
Le evidenze scientifiche disponibili ad oggi non permettono ancora di dimostrae inequivocabilmente la superiorita’ dell’olio d’oliva extra vergine rispetto ad altri grassi vegetali. Tuttavia, dagli studi brevemente effettuati finora si evince come il ruolo dell’olio d’oliva all’interno della dieta Mediterranea sia probabilmente piu’ complesso di quanto ritenuto finora. Le proprieta’ salutari dell’olio d’oliva, in particolare dell’extravergine, non si limitano infatti all’apporto di acido oleico, che come sopra descritto non manca in altri tipi di diete, ma sono legate alla sua componente fenolica. L’uso di olio di elevata qualita’ permette infatti l’assunzione di composti il cui consumo, tutt’ora da studiare appieno nell’uomo, e’ stato correlato ad una minor incidenza di malattie cardiovascolari e tumori.

Il sapore dell’olio d’oliva extra vergine di alta qualita’ ne permette anche un minore consumo con conseguente limitazione dell’apporto calorico globale e incentiva il consumo di verdura fresca, tradizionalmente condita con olio d’oliva extravergine. In conclusione, e’ giunto il momento di raccomandare ai produttori di ricercare la miglior qualita’ dell’olio ed ai consumatori di preferire oli di qualita’ elevata che permettono l’inclusione nella dieta di composti potenzialmente salutari. Per ottenere un olio dal profilo nutrizionale perfetto sono necessari altri anni di ricerca, sia agronomica sia scientifica, che facciano luce sulle vere o presunte proprieta’ di polifenoli ed acidi grassi. Nel frattempo, sulla scorta dei dati scientifici in nostro possesso, sembra opportuno raccomandare l’uso di oli ad alto tenore di fenoli (ancorche’ costosi) nell’ambito di una dieta variata ed equilibrata.


di Francesco Visioli

21 febbraio 2009

I farmer's market



Un po' di chiarezza sui mercati del contadino. Il rapporto diretto tra produttore e consumatore è garanzia di genuinità, ma a questo non sempre corrisponde il risparmio e la tutela dell'ambiente promessa dal “km zero”. Una possibilità in più per scegliere cosa e dove comprare, senza farsi abbagliare da chi assicura bassi costi e la salvezza del pianeta.
I farmer's market si moltiplicano sul territorio, oltre a Slow Food e Coldiretti, sono moltissime le organizzazioni che in questo periodo stanno aprendo nuovi mercati del contadino. Ma quali sono i “veri” farmer's market?


Lo chiediamo a Vilmer Poletti, Servizio Produzioni Vegetali Regione Emilia Romagna, responsabile del settore Organizzazione comune di mercato. “Bisogna fare un po' di ordine - precisa - i farmer's market, secondo la normativa prevista dal decreto ministeriale, sono solo quelli nei quali i produttori veri e propri, e solo loro, vendono direttamente il loro prodotto al consumatore. Gli alimenti presenti in un farmer's market devono essere solo quelli prodotti dalle aziende che vi partecipano e ovviamente devono essere legati al territorio e alla stagione di riferimento”.

In realtà, spiega Poletti, le aziende agricole hanno sempre avuto il diritto di vendere direttamente i loro prodotti all'interno dei mercati del comune di appartenenza. La novità è che nel farmer's market non sono presenti solo le aziende e i produttori del comune ma di tutta la regione.

“Ciò che deve garantire un farmer's market è un contatto il più possibile diretto tra chi produce e chi acquista. E questa possibilità di scambio e di comunicazione immediata è proprio quel quid in più su cui deve puntare chi vuole far parte di un farmer's market e chi decide di sceglierlo per gli acquisti”. Su tutto il resto si può discutere, sostiene Poletti.
“Non è detto che chi compra in un farmer's market risparmi davvero rispetto alla grande distribuzione, dipende dall'efficienza della filiera e può variare di caso in caso. Un contadino che, ad esempio, porta le sue mele nel farmer's market a 40 km da casa sua le venderà a un prezzo maggiore di quello che le produce a 5 km di distanza, anche qui abbiamo ridotto i passaggi della filiera al minimo, ma non è detto che alla fine l'alimento risulti più conveniente di quello che troviamo nei supermercati.

Inoltre non è corretto dire che lo “stesso prodotto” venduto in un grande supermercato costa meno se acquistato in un farmer's market e questo perché non sarà mai lo “stesso prodotto”. L'alimento che arriva sugli scaffali dei supermercati è passato attraverso cernite, controlli, fasi di imballaggio, distribuzione e presentazione che sono sicuramente diversi da quelli a cui va incontro il prodotto colto dall'agricoltore e portato, più o meno così come è, all'interno del farmer's market”.

Insomma, il risparmio può essere un argomento molto convincente, ma non sempre vero. Un prodotto artigianale, inoltre, è sempre diverso da uno industriale e non è sempre detto che il piccolo contadino possa offrire un alimento più sano della grande distribuzione. Promettere bassi costi, inoltre, non aiuta di certo i produttori che, se non rispettano le attese del consumatore, sono tenuti a doverne rendere conto, con tutti i pro e i contro della questione.


Un altro punto importante è la tutela dell'ambiente, uno degli aspetti chiave su cui punta chi, come Coldiretti e Slow Food, si sta facendo forte promotore dei mercati dei contadini. Parlando di filiera corta e farmer's market, infatti, si sente spesso parlare di spesa a “km zero”. I mercati del contadino vengono presentati come luoghi eco-sostenibili, se così si può dire, in grado di aiutare l'ambiente e ridurre le emissioni di gas serra minimizzando il trasporto “dal forcone alla forchetta”.

Ma è proprio vero? Questo è uno dei punti più critici da analizzare e da valutare perché non è sempre vero che una mela nata a 10 km da casa tua inquina meno l'ambiente di una che arriva direttamente in aereo dalla Nuova Zelanda. Come ci racconta Dario Bressanini su Le Scienze, uno studio commissionato dal DEFRA, il ministero per l'ambiente e l'agricoltura britannico, rivela che i food miles, ossia i chilometri percorsi dal cibo per arrivare dal campo alla tavola, da soli non sono un indicatore valido di sostenibilità ambientale.

Una ricerca eseguita dal dipartimento di economia agraria dell'Università di Lincoln, Svizzera, sottolinea, ad esempio, che fare 10 km in auto per andare a comprare un solo kg di verdura produce più CO2 che trasportarla in aereo dal Kenya. In effetti sono molti i fattori che concorrono all'impatto ecologico delle filiere alimentari. È stato dimostrato che le dimensioni di un'azienda incidono sul consumo energetico e le emissioni di gas serra, aziende più grandi risultano più efficienti e quindi inquinano meno.

Helman Schlich e Ulla Fleissner, dell’Università di Giessen hanno trovato che serve meno energia per produrre carne d’agnello in una grande fattoria neozelandese e portarla via nave ad Amburgo, che produrla in una piccola fattoria in Germania.

Non sono solo i km di distanza dal campo alla tavola a essere importanti per l'ambiente, ma anche altri fattori tra cui il metodo di produzione e trasporto, la spesa energetica e la stagionalità del prodotto che si acquista. Il “km zero” risulta, quindi, un aspetto piuttosto problematico che non manca di sollevare qualche perplessità e su cui è facile cadere in contraddizione. Si incoraggia il consumo dei prodotti locali ma nello stesso tempo si promuove il Made in Italy nel mondo, si proclama la difesa dell'ambiente con il “km zero” ma contemporaneamente Petrini, patron di Slow Food, fa arrivare a Parma dalla Cornovaglia i maiali da trasformare in strolghino e cicciolata (due salumi tipici emiliani) e rispedire alla corte di Buckingham Palace per Natale.



Con un occhio un po' critico e con la giusta attenzione, i farmer's market possono assicurare qualità, un rapporto diretto con il produttore e, in alcuni casi, anche un buon prezzo. Ma a livello globale i mercati del contadino possono essere la risposta a tutti i problemi del reparto agroalimentare italiano?
“Certamente no - dice Poletti - la vendita diretta attualmente coinvolge il 15-20% della popolazione ed è giusto che rimanga su questi standard. L'Europa d'altronde va in un altro senso e si punta più sulle organizzazioni di produttori che sulle iniziative di vendita diretta.

Non possiamo pensare di vivere di soli farmer's market, dopotutto siamo il paese che trasforma più prodotti alimentari al mondo ma siamo poveri di materie prime, se decidiamo di cibarci di soli prodotti locali dobbiamo sapere che rinunciamo per sempre a mangiare la pasta e la pizza”.

La vendita diretta è sicuramente una realtà interessante che si aggiunge al ventaglio di opzioni per la nostra spesa di ogni giorno. “Sarebbe più utile però - aggiunge Poletti - se diventasse un fenomeno più unitario e non così frammentato e internamente diviso come è oggi”.
di Anastasia Scotto

19 febbraio 2009

Malattia psicosomatica: come guarire ed essere felici.



Disagio psicologico. Quando la malattia diventa un rifugio.

Una piccola premessa: propongo questo articolo per rispondere ad un messaggio che ho ricevuto da una cara ragazza, che per convenzione chiameremo Debora, che scrive: “Mi sono rotta una caviglia… ho la gamba ingessata. C’è un messaggio da capire?

Se tu stai sempre male…..
Certe persone, anche in giovane età, si trovano a lottare contro una cattiva salute. Non hanno nessuna malattia seria, solo tanti piccoli fastidiosi disturbi che influenzano la loro vita e le loro relazioni con gli altri. Queste persone sembrano perseguitate dalla sfortuna: ne hanno sempre una! Disturbi come stanchezza cronica, vertigini, tachicardia, gastriti, coliti, cefalee, vaginiti, cistiti, dolori muscolari, cervicale, sindrome premestruale, ciclo irregolare, bruxismo e continui raffreddori ed influenze (e l’elenco potrebbe continuare a lungo!) sono tristemente familiari per queste persone così cagionevoli.

Purtroppo, chi soffre di questi acciacchi non si sente compreso né dal medico curante che spesso liquida i loro mali come “stress” né dai loro familiari che li trattano da ipocondriaci.

Ti sei riconosciuto in questa descrizione? Sappiamo che non ti senti bene e che non è giusto che la tua sofferenza venga banalizzata o minimizzata, ma , quando questi disturbi persistono, possono essere la “spia” di una profonda sofferenza psicologica.

Gli stretti legame fra corpo e mente.
Giustamente, chi soffre di un continuo malessere, si arrabbia quando i suoi disturbi vengono attribuiti allo stress. Chi soffre di una serie di disturbi psicosomatici non è un malato immaginario, è una persona che sta male davvero, anche se i suoi disturbi sono causati “solo” dallo stress. Le ultime scoperte scientifiche hanno evidenziato come corpo e mente siano strettamente collegati. Quando siamo ansiosi e spaventati, nel nostro corpo avvengono una serie di reazione biochimiche e ormonali: il nostro metabolismo accelera, il nostro battito cardiaco aumenta, la pressione sale, salgono i livelli di trigliceridi e di colesterolo nel sangue mentre diminuiscono gli ormoni sessuali. Le emozioni negative influiscono anche sul sistema immunitario che diventa meno resistente alle malattie e alle infezioni.

Purtroppo se lo stato di stress si prolunga nel tempo, ci si può ammalare seriamente.

Certo, non si può assolutamente affermare che tutte le malattie abbiano un origine psicosomatica : tuttavia le persone infelici o ansiose tendono ad ammalarsi di più e a riprendersi più lentamente dalle malattie rispetto alle persone serene.

Il caso di “Cerotto”.
Una mia paziente è soprannominata dagli amici “Cerotto” per la sua tendenza alle malattie e agli incidenti. La povera ragazza, a nemmeno 30 anni, ha collezionato un numero impressionante di malattie, distorsioni, contusioni e piccole fratture. Parlare con lei è come ascoltare un bollettino medico: ogni settimana ha un malessere diverso. Occorre dire che non c’è da parte sua alcuna simulazione né decisione cosciente. Anzi, “Cerotto” sta pagando un prezzo altissimo per i suoi meccanismi inconsci :non c’ niente di divertente nel rompersi un dito o nell’avere una distorsione alla caviglia!

In genere, le sue malattie o i suoi incidenti seguono uno schema ricorrente: “Cerotto” si ammala quando deve affrontare delle responsabilità che non si sente pronta ad assumere o quando vuole evitare un conflitto con una persona per lei importante. La prima frattura, per esempio, si è verificata quando la ragazza stava andando al suo primo colloquio di lavoro: è scivolata e si è rotta un dito. Questo le ha permesso di evitare il colloquio e il lavoro. Ma quando è riuscita a trovare un lavoro, è stata costretta a rinunciarvi perché ha sviluppato una forma di “otite bollosa” , refrattaria a qualsiasi trattamento medico, che è scomparsa quando ha deciso di lasciare il lavoro. Tutti i suoi successivi tentativi di inserirsi nel mondo del lavoro sono falliti per cause mediche : lo stress dell’ ambiente lavorativo la faceva ammalare e di conseguenza, la ragazza veniva licenziata per le sue numerose assenze. In campo sentimentale, la situazione
non è migliore : a partire dall’adolescenza, “Cerotto” è sempre stata fidanzata ma quando la relazione diventava seria, si ammalava o aveva un incidente. Questo le permetteva di rimandare una decisione impegnativa come il matrimonio o la convivenza e testare inconsciamente la disponibilità del partner a prendersi cura di lei.

Insomma, le malattie nella sua vita avevano la funzione molto importante, sebbene inconscia, di evitare le responsabilità della vita adulta , preservando allo stesso tempo la propria autostima ed evitando il conflitto con gli altri.

Occorre sottolineare, ancora una volta, che si tratta di meccanismi assolutamente inconsapevoli, se la ragazza fosse infatti cosciente delle sue paure e dei suoi reali desideri, troverebbe un modo più efficace e, soprattutto meno doloroso, per affrontare i suoi problemi.

Malattia e desideri regressivi.
Di fronte alle difficoltà della vita, tutti noi almeno una volta abbiamo desiderato scappare su un isola tropicale oppure ritornare in un periodo della nostra vita più spensierato e con meno responsabilità. A volte, quando siamo particolarmente scontenti, visto che non possiamo scappare o ritornare bambini, ci ammaliamo.

Naturalmente non sto sostenendo che tutte le malattie siano frutto di desideri regressivi! Ma, a volte, la malattia psicosomatica può essere l’espressione di un inconscio desiderio di fuggire da una vita stressante e insoddisfacente.

Naturalmente la malattia psicosomatica può avere molti significati che non è possibile esaminare in questa sede, per cui mi limiterò a parlare soltanto di uno dei molti significati possibili del disagio psicosomatico: quello della regressione.

Quando ci ammaliamo, possiamo permetterci di essere deboli e di far sì che altre persone ci accudiscano e si occupino di noi. Spesso, chi è ammalato, riceve per via delle sue sofferenze una attenzione e una comprensione da parte delle persone che lo circondano, che da sano non riceverebbe. Inoltre, la malattia può consentirci di prendere una pausa da una quotidianità vissuta come troppo logorante e frustrante e/o può evitarci di assumere delle responsabilità, salvaguardando allo stesso tempo la nostra autostima.

Per esempio, la ragazza citata nel paragrafo precedente, essendo sempre malata o incidentata era giustificata agli occhi degli altri e di se stessa se non si metteva alla prova nella vita.

Ma evitando le responsabilità, evitava anche di confrontarsi con i propri limiti ed evitava anche il rischio di fallire.

I perché nascosti della malattia psicosomatica
Molti malati psicosomatici sono cresciuti in ambienti familiari freddi e distratti e non si sono mai sentiti veramente amati e considerati dai loro genitori. Soltanto quando erano malati, riuscivano ad ottenere da parte delle figure genitoriali affetto e attenzioni. Il messaggio inconscio che hanno ricavato dalle loro esperienze infantili è che il dolore è il prezzo dell’amore e che solo se soffrono possono essere amati.

Non solo: alcuni malati psicosomatici sono molto arrabbiati e risentiti per le deprivazioni affettive subite, e si aspettano inconsciamente dalla vita e dagli altri una specie di “risarcimento” per la mancanza d’amore della loro infanzia. Di conseguenza, nelle relazioni affettive cercano nel partner il genitore amorevole che non hanno mai avuto. Si aspettano dall’ altro una devozione totale e un amore incondizionato che per primi non riescono a dare.

Ma dal momento che le loro aspettative sono eccessive, difficilmente si sentono soddisfatti dei loro rapporti con gli altri.

La scarsa autostima è un tratto caratteristico del malato psicosomatico regressivo : quest’ultimo ha spesso di sé un immagine negativa : si percepisce come una persona debole, inferiore agli altri, incapace di cavarsela da solo nella vita.

Alcuni malati psicosomatici convinti di non riuscire ad interessare gli altri per le loro qualità, scelgono inconsciamente di diventare ” speciali” nelle loro debolezze. E il ruolo di “malato cronico”, di ” quello o quella a cui va sempre tutto male” può diventare un modo per essere finalmente visti dagli altri, per avere una propria identità, per trovare il proprio posto in famiglia o nella società.

Come guarire ed essere felici.
Guarire da uno stato di malessere cronico è possibile ma richiede un notevole lavoro su se stessi. Per stare meglio è importante cambiare l’immagine di sé , concentrandosi sulle proprie risorse (invece che sulle pecche fisiche e caratteriali) e lavorare sulla capacità di autoaffermazione e sull’assertività.

In questo paragrafo, daremo al riguardo qualche sintetica indicazione che spero, potrà essere utile:

1. Pratica regolarmente uno sport
Chi soffre di frequenti disturbi psicosomatici non ha un buon rapporto con il proprio corpo, che spesso percepisce come debole e malato. Avere una buona forma fisica può cambiare la percezione corporea, e di conseguenza, farti entrare in contatto con la tua forza interiore.

Lo sport è utile perché ti aiuta a sviluppare l’autodisciplina, una qualità carente in molti malati psicosomatici. Se è possibile scegli uno sport che permetta di scaricare l’aggressività come le arti marziali o il kick-boxing, ecc … Queste attività sportive ti faranno sentire più forte fisicamente e quindi, anche mentalmente.

2. Aumenta la tua soglia di tolleranza allo stress.
In genere, il malato psicosomatico di tipo regressivo ha una bassa soglia di tolleranza allo stress : di fronte alle difficoltà fugge oppure si ammala. Per diventare più forti , è importante sviluppare una buona dose di autodisciplina. Quindi è necessario imparare a fare le cose e rispettare tutti gli impegni anche quando non ci si sente al massimo della forma fisica o psicologica.

3. Sviluppa l’assertività nelle relazioni con gli altri.
Solitamente chi soffre di disturbi psicosomatici ricorrenti ha delle grosse difficoltà ad essere assertivo : l’aggressività viene rivolta verso se stessi e verso il proprio corpo. In altre parole, il malato psicosomatico si serve inconsciamente della malattia per comunicare agli altri le proprie esigenze e i propri desideri. Un esempio di questo meccanismo è quello della casalinga che si sente sfruttata e non appoggiata dai familiari e che sviluppa un improvvisa allergia ai detersivi, “costringendo” così marito e figli ad aiutarla nelle pulizie di casa. Chi soffre di frequenti disturbi psicosomatici spesso deve imparare a riconoscere e ad esprimere in modo assertivo le proprie esigenze.

4. Non appoggiarti troppo agli altri.
Chi non si è sentito amato da piccolo, come molti malati psicosomatici, tende inconsciamente a cercare nel partner il genitore amorevole che non ha mai avuto. Oppure nel migliore dei casi, chi sta sempre male, tende a pretendere dal partner un trattamento speciale a causa della sua salute delicata. E’ superfluo aggiungere che queste dinamiche psicologiche difficilmente danno luogo a rapporti felici e appaganti ! Chi soffre di continui disturbi psicosomatici dovrebbe cercare di ridurre le sue aspettative, cercando di instaurare con il partner un rapporto il più possibile partitario e gioioso.

5. Pensa a tutto quello che hai ricevuto dalla vita
A volte, chi ha avuto molte malattie è risentito con la vita perchè sente di aver avuto più problemi e difficoltà della media della gente e , in alcuni casi, può essersi formato un immagine di sé negativa come quella di una persona sfortunata, con molte pecche fisiche e caratteriali. Ma quando si è troppo focalizzati su quello che non si ha avuto nel passato, si diventa incapaci di apprezzare quello che si ha nel presente. E quando ci si concentra troppo sulle limitazioni a cui la malattia ci costringe, si diventa incapaci di vedere le opportunità che la vita ci offre. Quindi per superare la dolorosa sensazione di essere perseguitato dalla sfortuna, è bene concentrarsi sulle opportunità che ci sono state offerte ( e non solo su quello che ci è mancato) , sui nostri punti di forza (e non solo sulle nostre debolezze), sulle soluzioni (e non solo sui problemi)

6. Prendi contatto con la tua aggressività.
Chi soffre di disturbi psicosomatici tende a rivolgere verso se stesso l’aggressività sia con una continua autosvalutazione, sia ammalandosi, sia mettendosi in situazioni spiacevoli e stressanti.

Per prendere contatto con la propria parte aggressiva, può essere utile frequentare un corso di bioenergetica. La bioenergetica lavorando sul corpo , è adatta soprattutto alle persone molto celebrali, in quanto permette un contatto più profondo e immediato con le proprie emozioni.

Dottoressa Anna Zanon

17 febbraio 2009

Lo sviluppo sostenibile? Un ossimoro*



Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice
Ritieni che la gente capisca cosa significa decrescita?

”Si avvicinano a questi ideali coloro che hanno già delle motivazioni. Se io vado per strada e parlo di decrescita, le persone mi guarderanno come un marziano. Però tutte le persone che vivono diversamente e che sentono un disagio nel muoversi nella società contemporanea questo discorso lo percepiscono bene cogliendone anche la valenza esistenziale e non solo di carattere politico.

La decrescita sta diventando dunque una calamita che attrae e attira tutte le persone che non sono contente di come si vive, che fino adesso avevano delle intuizioni ma non avevano chiara una prospettiva alternativa. La cosa importante è che attrae individui di tutte le fasce d’età”.

Dove si sta diffondendo maggiornente?
“Il maggior riscontro si ha al nord-est; ultimamente c’è un interesse molto forte nella provincia del cuneese. Provincie come queste, più contadine che non industriali, si ritrovano molte bene in quelli che sono gli ideali proposti dal movimento. Il “libretto” della decrescita felice ha superato le 10.000 copie, cifra che per la saggistica italiana rappresenta un dato veramente incredibile. E risulta ancor più clamoroso se consideriamo che non era stata fatta nessuna recensione e gli Editori Riuniti (che lo hanno editato) non sono distribuiti benissimo.

Moltissime persone che ho incontrato mi hanno raccontato di aver ritrovato e riconosciuto in quel libro delle idee che avevano già intuito e che stavano già praticando. Io mi sono quindi limitato a dargli una forma più organica e sistematica”.

Perché spesso polemizzi contro il concetto di sviluppo sostenibile?
“Lo sviluppo sostenibile è un ossimoro, perché lo sviluppo è di per se insostenibile e la sostenibilità prevede l’abolizione dello sviluppo.

Bisogna quindi prima di tutto decidere che cosa si intende per sviluppo. Quando noi utilizziamo il concetto di paesi sottosviluppati ci riferiamo, ad esempio, a dei paesi che non hanno il nostro stile di vita, che viene da noi generalmente considerato come il metro di tutto ciò che si basa sulla crescita che, in quanto tale, comporterebbe un miglioramento.

La parola sviluppo è un modo di edulcorare la parola decrescita perché nessuno di quelli che parla di sviluppo pensa che si possa ottenere uno sviluppo attraverso la decrescita. Lo sviluppo sostenibile è il concetto secondo il quale siccome dobbiamo continuare a crescere e siccome la crescita comporta l’esaurimento delle risorse non rinnovabili dobbiamo puntare a sviluppare quelle rinnovabili.

È una maniera di continuare a fare quello che si è sempre fatto in un modo diverso da come si è fatto in passato (cosa non particolarmente rivoluzionaria visto che ormai sarebbe impossibile continuare a farlo).

Anche nel caso di estremo di povertà, il concetto da proporre non dovrebbe essere quello di sviluppo, perché sviluppo significa mercificazione. Bisognerebbe invece aiutare queste persone ad uscire dalla povertà mettendone in grado di auto-prodursi i propri beni.

Invece succede tutto l’opposto; ad esempio la Tata, industria automobilistica indiana - d’accordo con la Fiat - ha espropriato i terreni di 30.000 contadini per costruire una fabbrica che occuperà solo 2000 persone. C’è riuscita utilizzando la persuasione, la truffa, la menzogna. Ma i bisogni reali di queste persone non saranno appagati dallo sviluppo. Lo saranno se riusciranno a mantenere la loro condizione contadina.

Lo sviluppo è un concetto indissolubilmente legato alla crescita del Pil. La crescita del Pil è la mercificazione, perché se non si mercifica tutto non cresce il Pil .

Questo è un modello che bisogna abbattere. Tutti hanno diritto ad una vita dignitosa e di conseguenza tutti hanno diretto di accedere alle risorse necessarie all’ottenimento di tale obiettivo”.


"La decrescita felice", un libro di Maurizio Pallante edito da Editori Riuniti
In che modo un paese può uscire dalla logica della crescita?

“Il caso di Cuba è emblematico e va studiato approfonditamente. Quando a Cuba c’è stata la rivoluzione l’Unione Sovietica ha garantito a Fidel Castro che avrebbe comprato tutto lo zucchero che loro producevano anche ad un prezzo superiore a quello di mercato, ponendosi così nell’ottica dello sviluppo della monocultura e della mercificazione. Quando poi l’Unione Sovietica è crollata e la Russia non ha più comprato lo zucchero Cuba si è trovata improvvisamente sul lastrico!

A quel punto, però, i cubiani sono usciti dalla povertà non entrando nella logica della crescita, ma valorizzando appieno la loro autoproduzione. Ha funzionato ed oggi il 50% del cibo che si mangia all’Havana è autoprodotto.

Questo fenomeno ultimamente si sta sviluppando anche negli Stati Uniti. New york, Los Angeles, Chicago, San Francisco hanno visto nascere nel loro territorio gli orti urbani, i pollai urbani e le conigliere; si tratta di piccole aree di terreno tra le case che si vanno rivitalizzando tanto che la principale azienda specializzata nella vendita di semi negli USA quest’anno ha raddoppiato il fatturato”.

E in Italia come va la vendita dei semi?

”Il tema dei semi è un tema molto delicato e importante. Io mi sono trasferito qui (in Piemonte) all’inizio del 2000 e ho cominciato a farmi l’orto comprando le piantine al mercato di Castel Nuovo Don Bosco. Pian piano sono arrivato all’autoproduzione dei semi e quindi alla possibilità di avere una grande varietà di semi che ancora molte famiglie contadine si tramandano da oltre 100 anni”. (Mentre parla Pallante si alza e, da una cassetta poggiata poco distante dall’angolo del grande terrazzo in cui ci troviamo, prende alcuni pomodori gialli. Ci invita ad assaggiarli. Poi riprende a parlare mostrandoci l’orto che lui stesso cura con la moglie e che sorge a pochi metri da lì).

”I pomodori originariamente erano gialli. Pomi d’oro. Si chiamano così appunto perché dorati, gialli. L’orto lo seguiamo personalmente io e la mia compagna. Nonostante i mille impegni e gli imprevisti, a volte anche dolorosi, che segnano la vita di chiunque, ogni sera - quando fa meno caldo - ti metti qui e ti dedichi all’orto. In particolare la mia compagna è una che con le piante ci parla, le cura con un coinvolgimento autentico in queste vite che si manifestano, in queste forme vegetali e sembra quasi che le piante le rispondano. Di quest’orto regaleremo tanta di quella roba… già adesso la regaliamo. Ne produce molta più di quella che riusciamo a consumare”.
di Maurizio Pallante/Daniel Tarozzi

* ossimoro figura retorica che consiste nell'accostamento di due termini in forte antitesi tra loro

13 febbraio 2009

Il Lavatricista


Da sempre appassionato di lavatrici, mi definisco oggi “lavatricista” e se questo oggetto d’uso quotidiano per molti è abbandonato e dimenticato a fare il “lavoro sporco” in qualche garage o in qualche ripostiglio per me rappresenta qualcosa di molto importante che mi segna profondamente. Nel 2006 scrivo la mia storia sul mio primo blog ignorando di essere in compagnia di altri a cui grazie a quella finestra ho dato sfogo. Nasce così il club (o il popolo) dei lavatricisti e il lavatricismo, fatta di passione e tempo dedicato a questo oggetto in tutte le sue forme.

Mi sono laureato al Politecnico di Torino con una tesi in Ecodesign sull’uso sostenibile delle risorse domestiche nel lavaggio e ho riversato le conoscenze apprese con gli studi in un settore poco diffuso in Italia e in Europa ma molto praticato ad esempio negli USA definito come “restauro” (in inglese restoration) degli elettrodomestici, in particolare delle lavatrici come tutti gli altri elettrodomestici (sito ufficiale).

Gli italiani abitano in una casa magari per trenta o quaranta anni e di lavatrice ne cambiamo una ogni 10 anni o forse anche meno ultimamente, e diciamo “consumisti” agli americani che ogni stagione a causa dei un uragano magari loro malgrado sono costretti a ricostruirsi tutta la casa per intero ma la lavatrice è sempre la stessa di trentacinque anni fa perché semplicemente restaurano anche quella. E non diventa osbsoleta perché è talmente basilare e semplice che si adatta alle abitudini di una famiglia che nel tempo cambiano e si evolvono.

Non ho mai abbandonato i restauri in quanto proprio il primo in cui mi sono cimentato è la prova che il progetto del prodotto industriale non necessariamente deve portare alla creazione di qualcosa di nuovo ma che ripercorrere le strade abbandonate in passato può farci magari ricredere sulle scelte fatte. Oggi la mia Ignis Superautomatica ha 46 anni e funziona perfettamente, come anche l’ultimo dei miei lavori una Indesit 092 dell’inizio degli anni 80 e altri ancora.

Non si trovano più i pezzi!? Si rigenerano quelli vecchi o si fa cannibalismo da una macchina identica… o si ricostruiscono con il virtuosismo e la buona volontà che sono le doti estremamente necessarie per fare questo lavoro più d’ogni altro.
Consumano!? Ma la domanda che mi faccio è… “consuma di più la mia superautomatica che lava 2 volta a settimana a pieno carico e dopo mezzo secolo in discarica non c’è ancora mai finita oppure tutte queste ultramoderne lavatrici in classe A con la pretesa di fare un bucato in mezzo secchio d’acqua per tre o quattro volte al giorno mezze vuote e poi dopo nemmeno dieci anni mandate al rimpasto!?”
Silicone marino, Olio minerale e acido cloridrico e ipoclorito di sodio sono alcune delle sostanze che si usano durante i restauri che sono un vero processo di de-produzione che riportano ciascuna apparecchiatura ad un’insieme di componenti disassemblati per ciascuno dei quali bisogna sapere come comportarsi… pompe, cestelli, vasche, crocere, bobine e motori ciascun pezzo trattato singolarmente, alcuni sostituiti, altri semplicemente lavati con acqua e sapone! E poi di nuovo si rimonta tutto.

Invano ho tentato in passato di appellarmi alla legge 151/2005 sui RAEE per evitare lo scempio quotidiano (chiedevo solo un’autorizzazione a qualche ritiro per macchine ancora “salvabili” come dice la legge stessa ma tutti negano!!) delle migliaia di elettrodomestici che finiscono “rifiutati” perchè non più “beni durevoli” ma “beni di consumo” per i quali non esiste più alcuna traccia del concetto di riparazione.
Io invece mi oppongo e non le chiamo riparazioni bensì restauri e per ogni lavoro che faccio porto agli occhi della gente la prova che è possibile invertire la rotta di questa tendenza che definisco “del popolo dei butta-butta”. Siamo pochissimi in Italia a fare ciò, ma cercando in rete si possono trovare alcuni colleghi che mostrano orgogliosi il loro operato…, anche su questo blog recentemente si è cominciato a parlare di questa cosa.

E nemmeno ci aiuta l’industria magari accogliendo questa nuova forma di (ri)produzione, ben sapendo che proprio in tempi di crisi come questo, il mercato chiede qualità e qualcuno ha già imboccato questa strada.
Bello sarebbe se per una lavatrice oggi, invece di doverla buttare quando si guasta e non conviene ripararla, l’azienda che l’ha prodotta offrisse come alternativa il servizio di restauro. In fondo è quello che fanno riciclando i singoli materiali ma così si eviterebbero costi e conseguenze di tutto il processo di smaltimento… e si tornerebbe a dare lavoro ai riparatori.

Ancora forse i tempi non sono maturi per questi scenari ma io non mi arrendo e continuerò a fare questo meta-mestiere e sperando di aver dato con queste parole il mio contributo alla Decrescita Felice torno a vasche, crocere, cestelli e supporti.
di Diomede Corso

10 febbraio 2009

L’ effetto dell’ industria alimentare su fibre vitamine e minerali


I carboidrati e l’ effetto dell’ industria alimentare su fibre vitamine e minerali
Il Giornale OnlineLo sviluppo industriale e la raffinazione che effetto hanno sui carboidrati e i sui nutrienti ? Quali conseguenze possono scaturire dal consumo dei carboidrati non integrali? Perché “raffinare” ciò che è già perfetto?

Caratteristiche nutrizionali dei carboidrati all’ origine

I carboidrati considerati la principale fonte di energia per l’uomo, si trovano in abbondanza in: cerali, legumi, verdure e frutta. Appena raccolti madre natura li dona ricchi di sostanze nutritive: vitamina A-B1-B2, fosforo, magnesio, ferro, rame, calcio e grassi ecc.

In seguito, però, la maggior parte vengono modificati in laboratori industriali per un accanimento perfezionistico dell’uomo e per questo ridotti delle loro grandi proprietà nutrizionali . Eppure, integrali, meriterebbero tutta la nostra attenzione perché importanti per una sana alimentazione. Per questo è necessario comprendere meglio la qualità dei carboidrati analizzandoli singolarmente.

I cereali: Chicco integrale e chicco raffinato

I cereali sono appartenenti alla famiglia delle graminacee, ed esistono più di 9000 specie ma solo 120 generi sono presenti in Italia ed una media di 6 cereali sulle nostre tavole di cui 5 raffinati e 1 integrale. A questo punto è necessaria una distinzione tra un chicco integrale e un chicco raffinato e prendiamo come esempio il riso (il cereale di enorme successo.)

La struttura del chicco di riso integrale si divide in varie parti le più importanti:

- Pericarpo, esterno all’involucro del chicco , ricco di vitamine, Sali minerali, proteine, fibre, oligoelementi e biostimoline.

- Spermoderma, ricco soprattutto di vitamine e Sali minerali.

- Endosperma o albume ricco di proteine e vitamine.

- Sbramatura che consiste nell’eliminazione delle bucce esterne del chicco indigeribili per l’uomo.


La raffinazione del chicco di riso, invece, si ottiene con una serie di operazione:

- Sbiancatura del chicco che danno i vari tipi di riso in commercio

- Spazzolatura con la quale si rendono ben levigati i chicchi e si eliminano tutti i residui della lavorazione precedente.

- Lucidatura in cui viene spruzzato l’olio di semi o vasellina che impediscono lo sfarinamento del riso.

- Brillatura in cui il riso viene trattato con uno strato sottile di glucosio o di talco che lo rendono brillante.

- Amido è ciò che rimane del chicco integrale. Tutte le altre proprietà vengono ridotte mediamente del 30%.


Questo è solo un esempio riguardante uno specifico cereale, ma la raffinazione in genere su ogni tipo di cereale impoverisce e priva tutti i chicchi delle meravigliose proprietà offerteci. Ogni produttore ha dei sui segreti industriali circa il metodo di raffinazione e bilanciatura del riso del riso. in alcuni casi il riso viene trattato chimicamente nel tentativo di non perdere le propietà nutrizionali . Tratteremo in un 'altro articolo dei veri medodi di preparazione.

I legumi: Sono considerati anche proteine vegetali e sono semi di alcune piante facenti parte della famiglia delle Papilionacee o Leguminose. Secondo una ricerca dell’Università di Berkeley – California i legumi sono ritenuti terapeutici nell’ ipercolesterolemia, nel diabete, nelle malattie cardiocircolatorie e nella stitichezza ecc.

Consumo dei legumi.

Alcuni si possono consumare freschi appena raccolti ( piselli, fave) e in questa forma sono ricchi di vitamina C altri consumati secchi (ceci, fagioli, lenticchie, cicerchie ecc.) necessitano di ammollo, minimo di 8 ore ad un massimo di 36 ore, ed una buona cottura.

Quest’ultima garantisce l’inibizione degli antienzimi (oppositori della digestione) e l’ammollo aumenta le proprietà attive del legume, per questo più ore dura l’ammollo maggiore sarà l’apporto benefico; rimane preferibile il consumo di legumi secchi, freschi e sfusi piuttosto che quelli precotti.

Le verdure: con questo termine s’intendono quelle parti della pianta utilizzate per l’ alimentazione. Esse sono fonti principali di sali minerali, vitamine, fibre importanti per il transito intestinale, e clorofilla, il cosiddetto “sangue verde”. Questa straordinaria sostanza assorbe intensamente la luce solare e le radiazioni rosse, blu e violette dello spettro ottico, le quali accompagnate da caroteni e xantofille sono considerate fattori anticancro, batteriostatiche e cicatrizzanti.

Anche in questo caso è necessario il consumo di prodotti biologici per preservare le proprietà “vive” di questi alimenti.

La frutta: consigliata per un miglior sostegno energetico per gli sforzi brevi, l’attività muscolare in genere, la fatica psicofisica, il lavoro intellettuale e in tutti quei casi di convalescenza, gravidanza, sviluppo del bambino ecc. Contiene acqua, vitamine, Sali minerali, zuccheri, fibre, polifenoli che hanno un’azione antiossidante, antinfiammatoria, antinfettive e protettiva.

La frutta ha un ruolo importante per l’attivazione del flusso biliare, l’aumento della secrezione dei succhi gastrici e per favorire la fluidità del sangue.

Necessario il consumo di frutta di stagione, locale e maturata sulla pianta. Spesso accade che per ragioni commerciali la frutta viene raccolta acerba e fatta maturare in camere ad alta temperatura, quando siamo fortunati! Altrimenti si usa il gas etilene come nel caso di arance e banane. Ricordiamo dunque che questi processi chimici non sono altro che un modo per demineralizzare e acidificare il frutto.

Abbiamo cercato di semplificare il più possibile l’ostinazione umana nel modificare o trasformare ciò che la nostra bene amata Terra ci offre nella massima perfezione. Il nostro scopo era lanciarvi un messaggio, dandovi informazioni che molto spesso vengono celate da pubblicità ingannevoli e miranti all’omologazione globale.

Siamo sicuri che un effetto è stato ottenuto anche se paragonabile ad un sassolino buttato nell’oceano… anche se piccole le onde si espandono arrivando di costa in costa…

Fonte: Naturopatiaonline.org

05 febbraio 2009

L'agricoltura degli orti



Oggi l'agricoltura è sempre più intensiva e poco naturale e, oltre a consumare moltissime risorse ambientali e moltissimi combustibili fossili, non riesce a sostentare la crescente popolazione umana. Una possibile soluzione? Aumentare il numero di orti casalinghi.
Orti urbani
La pratica degli orti urbani si sta diffondendo sempre di più
Una delle principali domande legate all’agricoltura biologica, o all’agricoltura sostenibile, è: “Può essere in grado di sfamare l’attuale popolazione mondiale di 7 miliardi di persone?”. La risposta più probabile è: no.

Anche senza scomodare teorici quali Jared Diamond o Toby Hemenwey, sostenitori della tesi secondo cui “agricoltura sostenibile” è fondamentalmente un ossimoro, credo che la domanda, posta in questi termini, contenga un errore di fondo.

Tanto per iniziare, lo sviluppo dell’agricoltura contemporanea è legato più al concetto di “commodities” che non di alimentazione. Reinserire l’agricoltura in un processo di alimentazione sostenibile vorrebbe dire abbandonare le “filiere” ed i processi lineari della produzione massificata.

Sicuramente ne beneficerebbero la biodiversità, l’ambiente e la qualità dell’alimentazione, ma il sistema sarebbe troppo complesso da gestire, soprattutto in una società come la nostra, dove la totalità della produzione agroalimentare è sulle spalle di una porzione di manodopera sempre in diminuzione e, di conseguenza, soggetta ad un’altissima meccanizzazione.

Inoltre i consumi di combustibili fossili crescerebbero probabilmente come conseguenza della diversificazione necessaria.

Quindi cosa facciamo? Abbandoniamo il concetto di agricoltura sostenibile e ci arrendiamo all’industrializzazione del mercato alimentare?

Probabilmente una risposta che ad oggi potrebbe sembrare utopica (ma anche i viaggi sulla luna lo erano…) ci può arrivare dall’analisi di come quelle 7 miliardi di persone si alimentano.

Le strategie di approvvigionamento alimentare attuali si possono suddividere in tre macrocategorie che divise percentualmente danno all’incirca questi valori:
- 2% raccolta-caccia

- 15% orti di sussistenza

- 83% Agricoltura

Questi sono valori globali; in aree rurali dei paesi in via di sviluppo queste quote potrebbero essere completamente ribaltate, ma è altrettanto vero che spesso, anche nei paesi “tecnologicamente evoluti”, vi sono persone che curano orti o che vanno nei boschi a raccogliere funghi, bacche o a caccia.

È evidente che vi sia uno sbilanciamento notevole verso la produzione agricola, sbilanciamento che ne nega automaticamente la sostenibilità dati gli alti consumi di combustibili fossili collegati.

La vera sfida per riportare l’agricoltura ad una sostenibilità passa quindi attraverso una sua drastica riduzione.

Come ridurre la necessità di dipendere dall’agricoltura?

Probabilmente, come sostiene Michael Pollan, attraverso una modifica della nostra coscienza alimentare.

Attualmente, secondo uno studio di Jason Bradford, le necessità di “spazio” agricolo per alimentare una persona (la ricerca è realizzata prendendo in considerazione la realtà nord americana) si divide all’incirca in questo modo:
- 1.140 m² a grano

- 400 m² a legumi

- 120 m² a produzione di olii

- 80 m² di vivaio

- 120 m² a frutta e verdura

- 600 m² a produzione di latticini

- 650 m² a produzione di uova

- 34.000 m² per la produzione di carne

Per un totale di poco più di 37.000 m² di cui solo 3000 dedicati alla produzione vegetale.

Bradford utilizza, come metro di misura per il suo studio, i dati dell’agricoltura convenzionale senza considerare che, molto spesso, un orto casalingo può essere più produttivo.

Prendendo questi dati e considerando un’alimentazione più razionale e variata, basata principalmente su vegetali e con ridotti consumi di carne e cereali, già di per se si avrebbe una riduzione dell’impronta ecologica dell’agricoltura.

Paradossalmente, una diminuzione della quantità di terra dedicata all'agricoltura potrebbe essere la soluzione alla carenza di cibo
Ma il concetto si potrebbe spingere molto oltre.

Supponiamo che una parte dei terreni agricoli attuali, degli incolti urbani o suburbani (attualmente fuori dal calcolo statistico ufficiale dei suoli coltivabili) possano essere convertiti, su vasta scala, ad orti famigliari o collettivi e che questi vengano gestiti in maniera razionale ed ecologica attraverso tecniche colturali ad alto sequestro di carbonio (non movimentazione del suolo, pacciamatura, compostaggio ecc… ecc..). Si otterrebbe il doppio beneficio di sollevare l’agricoltura da un’eccessiva pressione produttiva e si attiverebbero circuiti virtuosi di recupero ambientale.

Se, inoltre, i terreni liberati dalla pressione agricola, fossero riportati ad uno stato “naturale”, forse non sarebbe così impossibile, in un prossimo futuro, modificare le percentuali di approvvigionamento alimentare ad un :
- 48% orti

- 48% agricoltura

- 4% raccolta-caccia

Forse la sostenibilità dell’agricoltura e del nostro sistema agroalimentare non passa tanto dalla ricerca di nuovi sistemi e mezzi agricoli ma dalla riduzione degli stessi.

Forse la sostenibilità dell’agricoltura passa dal fare un orto sul prato della propria casa.
by nicola savio

01 febbraio 2009

La dieta contro l'insonnia


Durante il periodo delle festività capita a tutti di dormire meno ore delle 7-8 che sarebbero necessarie al nostro organismo per riposare bene e riprendere con slancio e vigore una nuova giornata.
Tuttavia molte persone hanno problemi ad addormentarsi non solo nel periodo natalizio e della Befana, ma anche nel resto dell'anno.
L'insonnia è un problema che arriva a costare fino all'1% del PIL di un paese in termini di produttività persa (corrispondente a circa 28 giorni lavorativi), come rileva uno studio canadese coordinato da Meagan Daley, psicologo dell'Universite' Laval di Quebec, e pubblicato sulla rivista “Sleep”: solo in Italia sono insonni 12 milioni di persone, le quali vanno di conseguenza incontro a disturbi di salute e dell'umore, accusando stanchezza diurna, depressione e una compromissione nella qualità della vita. Quattro giorni e mezzo all'anno sono il periodo lavorativo perso a causa dei disturbi del sonno.
Per contrastare le difficoltà ad addormentarsi e riuscire a cadere in un profondo sonno ristoratore, la Coldiretti ha messo a punto una dieta con alcuni consigli sui cibi da preferire per lasciarsi cullare da Morfeo in dolci sonni.
Innanzitutto sono da preferire pane, pasta, orzo e riso, seguiti a ruota dalla lattuga, dal radicchio, dall'aglio e dai formaggi freschi. Sostanze che favoriscono l'addormentamento sono contenute anche in uova bollite, latte caldo e frutta dolce.
Altri alimenti, specialmente di sera, vanno evitati perchè contengono sostanze eccitanti. Tra questi contiamo i cibi con troppo sodio, come il pepe, il curry, la paprika, il sale in abbondanza come condimento, i salatini, gli alimenti in scatola e le minestre realizzate col dado da cucina.
A cena, o comunque in serata, la Coldiretti sconsiglia dal consumare alimenti e bevande come cioccolato, cacao, thè, caffè e superalcolici: questi ultimi vengono ricercati da moltissime persone che non riescono ad addormentarsi, ma è un errore perché, a parte i rischi per il fegato, essi inducono un sonno di cattiva qualità con un poco piacevole risveglio al mattino, spesso accompagnato da nausea e mal di testa.
I cibi rilassanti, dal canto loro, sono quelli che contengono l'aminoacido triptofano, che favorisce la sintesi cerebrale dell'ormone serotonina, la quale induce un rilassamento delle membra e predispone a una buona e sana dormita: oltre agli alimenti pro-sonno elencati prima, possono essere inclusi nella dieta serale il pesce fresco, la carne e i legumi.
Un innalzamento dei livelli circolanti di serotonina si verifica anche quando si consuma frutta fresca di stagione, ricca di zuccheri semplici come il fruttosio.
Tra le verdure, viste le loro proprietà sedative, spiccano la lattuga, il radicchio rosso e l'aglio, ma vanno benissimo anche la zucca, le rape e i cavoli. Infine, un bicchiere di latte caldo, giusto prima di andare a letto, che oltre a diminuire l'acidita' gastrica che puo' interrompere il sonno, fa entrare in circolo durante la digestione elementi che favoriscono una buona dormita per via di sostanze, presenti anche in formaggi freschi e yogurt, che sono in grado di attenuare insonnia e nervosismo.
by italia e salute