20 dicembre 2006

L'INFLUENZA: come prevenirla



Per decenni abbiamo aderito alla credenza che l’influenza arrivava in inverno a causa del clima più rigido. Ma numerosi studi hanno completamente falsificato una tale teoria, indicando come l’influenza si presenti ai tropici nel loro “inverno, quando è ancora abbastanza caldo (solitamente durante la stagione delle piogge). No, la ragione per cui l’influenza colpisce d’inverno è un’altra. E suggerisce una facile maniera per prevenirla. E non si tratta di farsi vaccinare. Lo sappiamo già che i nostri corpi producono molta meno vitamina D durante l'inverno. Ma è mai possibile che i livelli ridotti di vitamina D in inverno contribuiscano all’influenza?

Le prove sono evidenti. Anni fa, un attento medico generico inglese, R. Edgar Hope-Simpson, ha collegato le epidemie influenzali dell'emisfero nord con il solstizio invernale. Pertanto, l’influenza arriva proprio quando i livelli di vitamina D cominciano a calare. Finora, la medicina convenzionale ha in gran parte ignorato il suo lavoro.

Proprio questo anno, due importanti pubblicazioni mediche hanno pubblicato un report firmato dal Dott. John Cannell, uno psichiatra dello Atascadero State Hospital, California. Si tratta di una struttura di massima sicurezza riservata a criminali infermi di mente. Nel suo resoconto, il Dott. Cannell ha notato che gli altri reparti intorno al suo erano stati soggetti a un violento attacco d’influenza nell'aprile 2005. Ma nessuno dei suoi 32 pazienti ha preso l’influenza, sebbene si fossero anche mischiati con i reclusi infetti degli altri reparti.

Il Dott. Cannell si è interrogato sul perché il suo reparto avesse evitato l’influenza che pur aveva colpito tutti gli altri reparti. Rapidamente ha capito che si trattava delle dosi elevate di vitamina D prescritte a tutti gli uomini sul suo reparto. Aveva riscontrato che i suoi pazienti, come la maggior parte di tutta l’altra gente dei paesi industrializzati, ne avevano un deficit. (Deve essere uno dei pochissimi psichiatri che prestano attenzione alla nutrizione!) I suoi sforzi per rimediare al deficit hanno potenziato il sistema immunitario dei suoi pazienti, proteggendoli completamente dall’influenza.

Perché funziona? La scienza recentemente ha scoperto che la vitamina D stimola i nostri globuli bianchi a produrre una sostanza denominata catelicidina. I ricercatori non hanno ancora studiato questo prodotto chimico sul virus dell’influenza, ma da tempo hanno segnalato che esso attacca un'ampia varietà di agenti patogeni, tra cui funghi, virus, batteri e perfino la tubercolosi.

Così, troviamo che il mio suggerimento di farvi controllare il livello di vitamina D a quest’epoca dell’anno era quanto mai centrato. Ma ora, alla luce di queste nuove informazioni, penso che non sia nemmeno necessario spendere i soldi per sottoporsi agli esami. La vitamina D è poco costosa. E stimola il vostro corpo a produrre quello che potrebbe essere l’antibiotico definitivo! Completamente atossico e che uccide soltanto gli organismi invasori (non le vostre cellule). Dotatevi dell’incredibile protezione della vitamina D. Esponetevi al sole quando potete. Fate semplicemente attenzione a non scottarvi. Se state per lo più all'interno, suggerisco fortemente che aggiungiate vitamina D al vostro regime quotidiano. Raccomando 5.000 IU al giorno. Non vedo controindicazioni a questa dose, particolarmente nei mesi invernali!
Dr. Robert J. Rowen

11 novembre 2006

Il Biologico, triste fine...


Sono stato colto in contropiede. È cominciato lo spot e ho sentito l'arpeggio familiare dell'ukulele nella famosa e famosamente splendida versione di "Over the Rainbow" fatta dallo scomparso cantante hawaiano Israel Kamakawiwòole, e la mia prima reazione è stata un conato di vomito al pensiero che l'ennesima deliziosa, malinconica canzone, l'ennesima tra mille e mille, venisse imputtanata a beneficio dei demoni della pubblicità.

Ma ecco che arriva una raffica di immagini: l'immancabile sequenza con la Mamma Ideale che fa mangiare al suo Figlio Ideale il Cibo Ideale, il tutto immerso nella luce carezzevole del pasto mattutino, con alberelli giulivi che fanno capolino alle finestre della Cucina Ideale, in uno scorcio utopico di un'America Ideale. Una scena davvero surreale, che non è di questo mondo, visto che mancavano almeno tre bottiglie di vino vuote, un pò di biancheria sporca, una bella pila di piatti incrostati, un tubetto pieno di ansiolitici e un giornale che strilla a caratteri cubitali di omicidi, testate nucleari e schiave sessuali coreane.

E poi, ecco. Il logo. L'immagine del prodotto. La suadente voce fuori campo. Era lo spot per un articolo nuovo di zecca: Kellogg's Organic Rice Krispies [i Rice Krispies Biologici Kellogg's]. Oh, e le braccia ti capitombolano.

Se le pronunci ad alta voce, le parole ti si raggrumano nella strozza, ti imbavagliano. I Rice Krispies Biologici Kellogg's, con in cima alla scatola la scritta BIOLOGICI a caratteri cubitali, rampanti di una felicità serena e posticcia, portatori di immagini fittizie di salute e natura, e della protezione del vostro Bimbo Ideale contro i milioni di veleni appiccicaticci e la nefasta monnezza rigurgitata da quelle ipertrofiche megacorporation del tipo... Bè, del tipo Kellogg's.

I Rice Krispies Biologici Kellogg's. Come dire "Barrette Dietetiche Loockheed Martin" oppure "Acqua Oligominerale Exxon". Auto-mortificazione, ma non certo in senso buono.

È stato in quel momento che l'ho udito. L'uggiolio lamentoso, il singulto e il gemito e il piagnucolio, come di un albero che si spara alla chioma. La campana a morto che accompagna l'estremo respiro del "vero" biologico.

Perché è così, non c'è più. Il biologico è morto. Le corporation se ne sono apertamente impossessate, il Ministero dell'Agricoltura ne ha indebolito la definizione fino alla consunzione, la Whole Foods [grande catena di negozi di cibo organico, 3,87 miliardi di dollari di profitti nel 2004, ndt] lo ha reso chic e popolare e redditizio, e ne ha anche leso l'integrità come nessun altro, spingendo per forza di cose nell'ombra le piccole produzioni locali e ogni idea di sostenibilità, a favore di un'assurda crescita commerciale. E infine questo.

La conoscete? La conoscete la definizione, quella vera? Perché è questo che "biologico" avrebbe dovuto significare, una volta: produzione locale, sostenibile, etica, senza intermediari, priva di ormoni e pesticidi. Ma la stragrande maggioranza dei prodotti biologici che hanno invaso il mercato si è appropriata solo di quest'ultimo aspetto (a volte a malapena), giusto quello che basta a soddisfare le patetiche linee guida del Ministero. Ah, il governo. Non c'è niente che vi faccia venire un maggior desiderio di darvi una mattonata sul cranio.

Un esempio: lo yogurt biologico di Stonyfield Farm. Comer fa notare BusinessWeek, questa roba non viene prodotta in una idilliaca fattoria come quella che si vede nell'etichetta, ma piuttosto in un gigantesco impianto industriale. I camion portano il latte da tutta una serie di fornitori, ed è possibile che ben presto comincino a importare alcuni degli ingredienti biologici - disidratati, in polvere - dalla Nuova Zelanda, per venire incontro alla domanda interna, distribuendoli per tutto il paese tramite compagnie di trasporto su gomma altamente inquinanti.

È questa la cruda realtà, il vero prezzo del biologico "mainstream". È evidente che non ci sono abbastanza fattorie locali piccole ed ecologicamente sostenibili per produrre abbastanza materiale da rifornire tutta la nazione dei Wal-Mart. Si sono fatti enormi compromessi. E questi compromessi significano che ormai del biologico quel che rimane è un guscio vuoto.

"Biologico", secondo un Ministero dell'Agricoltura pappa e ciccia coi lobbisti, non indica un cibo prodotto con attività sostenibili (cioè non distruttive per l'ambiente). Non indica la produzione locale. Non indica un trattamento etico degli animali. Non indica nemmeno che le ditte che lo producono debbano essere appena un pò più eque, o degne di fiducia, o socialmente responsabili. Ora significa soltanto niente pesticidi, niente fertilizzanti di sintesi, niente OGM.

È sufficiente tutto questo? In fondo, il fatto che grandi industrie come la Kellog's e la General Mills, per non parlare dei terrificanti mega-discount tipo Wal-Mart, si siano buttati sul biologico, si tradurrà certamente in un'enorme diminuzione di additivi chimici nella dieta degli Statunitensi, centinaia o addirittura (alla lunga) migliaia di quintali di pesticidi e ormoni e fertilizzanti tolti dall'intera catena alimentare. Benefici del genere non possono essere sottostimati: è una gran cosa davvero. Ma c'è un intoppo, e bello grosso. Ormai migliaia di prodotti si proclamano biologici, ma molti di essi si limitano a sostituire gli additivi chimici e i pesticidi con una pletora di processi industriali altrettanto inquinanti e deleteri che neutralizzano qualsiasi eventuale beneficio per la salute, prima di tutto l'incremento di trasporti e consegne a livello globale che il "biologico industriale" richiede, che introduce nell'ambiente tante di quelle sostanze chimiche da controbilanciare quelle inutilizzate a livello di coltivazione.

(A proposito di questo, se volete leggere un bel libro sulla questione delle aziende agricole, i prodotti biologici, i fast food e soprattutto sulla dieta degli americani, leggetevi "The Omnivorès Dilemma" di Michael Pollan. Tratta la faccenda meglio di quanto potrei mai farlo io. È un must per le letture estive, anche se adesso è autunno).

Che dire della Whole Foods? Forse il massimo dell'ambivalenza, una straordinaria società che, singolarmente, ha dato il maggiore contributo alla larga diffusione del biologico, della conoscenza di una sana alimentazione, e del miglioramento degli standard di coltivazione e allevamento in tutto il settore, per non parlare del fare una spesa più piacevole. Ma, nello stesso tempo, anche solo grazie al suo successo e alla sua espansione, la Whole Foods è quella che ha più contribuito ad annacquare il vero significato della parola "biologico".

Mettiamola così. A meno che non facciate la spesa direttamente dal contadino o presso una cooperativa di quasi-hippy, o vi diate davvero da fare e troviate un'azienda agricola a conduzione davvero familiare entro il raggio di cento miglia da casa vostra, e stabiliate un rapporto con loro, cominciando a comprare DAVVERO prodotti locali, la possibilità che il vostro prossimo acquisto "biologico" corrisponda al suo significato originale equivale alla probabilità di imbattersi in un seno naturale su Playboy. E magari è così che dev'essere, per ora.

Il che ci riporta ai Rice Krispies biologici della kellogg's. Industriali fino al midollo, manco per il cavolo coltivati localmente, manco per il cavolo sostenibili, e prodotti dalla stessa ditta che vi intossica i figli coi Pop-Tarts e i Froot Loops e gli Scooby-Doo Berry Bones, una ditta che si preoccupa della salute del pianeta tanto quanto Dick Cheney se ne frega di quella dei fagiani. Ed è ovvio, distribuiscono quella monnezza per tutto il paese, con aerei e camion che bruciano tanto carburante da far gongolare Bush e sogghignare i baroni del petrolio, perché ci dev'essere tanto da ridere, no? Di voi, naturalmente.

Vabbè, ma almeno contribuiscono ad eliminare migliaia di tonnellate di monnezza chimica dalla catena alimentare, no? Quantomeno FANNO FINTA di essere responsabili.

Il problema è che hanno semplicemente sostituito quelle sostanze chimiche con un additivo ancora più tossico: l'ipocrisia.

Bè, voi riuscite a digerirla?
MARK MORFORD
San Francisco Gate

22 ottobre 2006

S. Vito: Il Cantico del Signore delle Onde


Nell'occasione della inaugurazione del Trabocco di Rinaldo Veri il 30 luglio il prof. Alberto Di Giovanni ha creato e letto una considerazione poetica.

IL TRABOCCO SIGNORE DELLE ONDE( trabocco rules the whaves).
A Punta Tufano, nel cuore della Costa dei trabocchi, sulle "vestigia degli antichi padri" rinasce il TRABOCCO RULES THE WHAVES), per la passione e la cura di Rinaldo veri, erede diretto e custode della tradizione e della civiltà terramaricola della Gente di vallevò di Rocca S. Giovanni.

Un luogo dell'anima che rinvia ad un mondo reale e fantastico insieme;
che parla di faticose e ingegnose soluzioni nell'affrontare la realtà e la vita;
che racconta magici totem e di eventi esistenziali che si perdono nel tempo;
che incanta con la sua aura poetica e con il suo soffio epico non decifrabile a pieno.
Un groviglio di esperienze, di conoscenze, di scoperte, di fede e di speranza, di mente e di cuore.
Testimonianza viva dell'eterna tensione esplorativa dell'uomo-Ulisse.
Simbolo eloquente della precarietà esistenziale umana,
in guardinga simbiosi con una Natura che non è possibile dominare e possedere definitivamente.
Rimane sempre vivo ed intenso il fascino del Trabocco.
Si erge fiero con la sua maestosa fragilità;
dispiega e gode la sua LIBERTA', nel coraggio di una sfida che non ignora il rischio della tempesta e della sconfitta.
Ti prende, ti sorprende ti esalta, ti sbigottisce, rende con scioccante immediatezza il senso della finitezza e dell'orgoglio dell'uomo che agita la fiaccola di Prometeo.
Domani il sole si leverà ancora sul mare!/?
E' agitato dai flutti, ma non fa tempesta
(FLUCTUAT, NEC MERGITUR!)
.

Aggiungiamo poi che oltre ad essere un poeta, il Di Giovanni è il Carmelo Bene sanvitese.
Chi era presente all'inaugurazione ha assistito ad un evento che il Signore delle Onde non pensava di aspirare.
Servirà come augurio,
come la speranza che le cose migliori vengano migliorate SEMPRE.

20 ottobre 2006

Uomini veri: Francesco Giuffrida


In questo Paese chi fa il proprio dovere passa per un fanatico e rischia di pagarla cara. Tale è lo spirito dei tempi. Ho già scritto di Francesco Giuffrida, il dirigente della Banca d’Italia che svolse un incarico di consulenza per la procura della Repubblica di Palermo nell’ambito del processo Dell’Utri. Giuffrida verificò tra l’altro che una parte ingente degli iniziali capitali berlusconiani (circa 250 milioni di euro in valuta attuale) è di origine misteriosa, cioé non documentata e si suppone mafiosa. In tal modo ha contribuito alla condanna a nove anni per mafia del principale collaboratore dell’ex presidente del Consiglio. Imperdonabile.

E infatti Francesco Giuffrida, che più di recente si è occupato dei traffici finanziari di Roberto Calvi, in merito alla cui morte è stata riaperta un’inchiesta, è sotto processo a Palermo, citato in giudizio dalla Fininvest, che gli chiede i “danni morali” per la sua “negligenza”. Tutto questo in concomitanza con l’avvio del processo d’appello al medesimo Dell’Utri.

Il metodo è sempre lo stesso: intimidire, vendicarsi, delegittimare. Punirne uno, il più “fanatico”, per educarne cento. Ho ricevuto questo appello, firmato da un amico di Giuffrida. Lo pubblico qui sotto e invito a diffonderlo, per far sentire la nostra solidarietà a una persona con la schiena dritta.

“Desidero rivolgermi a te direttamente e personalmente, non ricorrendo questa volta al consueto invio multiplo, per un appello di solidarietà che mi sta molto a cuore, e che riguarda una persona che è un mio caro amico da sempre, Francesco Giuffrida. Nella stessa forma, diretta e personale, invierò questo messaggio a tutte le persone che so essere sensibili al tema dell’integrità e del coraggio civile. Per chi non lo ricorda, dirò che Francesco Giuffrida è il coraggioso dirigente della Banca d’Italia (Vice-direttore a Palermo) che su richiesta e incarico della Procura della Repubblica di Palermo ha condotto una accurata e scrupolosa perizia tecnica sui flussi di capitali diretti alla Fininvest, per il processo a Marcello Dell’Utri.

Per questo suo lavoro Francesco dovrà comparire in giudizio il 12 ottobre, citato dalla Fininvest per presunti danni morali. La citazione è arrivata alla vigilia del processo d’appello per Dell’Utri, e in corrispondenza con un altro incarico attribuito, sempre a Francesco, questa volta dalla Procura di Roma, che evidentemente lo ritiene un tecnico assai affidabile, per indagare sui movimenti di capitali legati alla vicenda di Roberto Calvi. “Sembra una minaccia, un modo per zittirlo e intimorirlo al processo”, ha dichiarato in giugno un magistrato al giornalista del Corriere Cavallaro. Non solo: la citazione comporta il concreto rischio che tutta la sua attività di esperto, e le perizie che gli sono state affidate, vengano delegittimate.

Francesco Giuffrida dovrà andare a difendersi di fronte ad un uomo che è stato condannato per mafia, solo per aver fatto il suo lavoro e per averlo fatto bene, e dovrà farlo da solo, visto che nemmeno la Banca d’Italia, ovviamente a conoscenza della sua collaborazione con il tribunale, si è mossa per un‘azione di sostegno, o per tutelarlo in sede di giudizio. Perchè questo appello? per rompere il silenzio e la solitudine che lo circondano (solo Felice Cavallaro ha scritto un articolo sul Corriere, e un altro è uscito sulla Repubblica, entrambi in giugno, poi più nessuna informazione), contro il pericolo che questo isolamento, quasi omertoso, può comportare per Francesco e la sua famiglia.

Per questo chiedo a te, e agli altri a cui manderò questa lettera, di fare quanto è nelle tue facoltà affinché l’appello abbia la più ampia diffusione possibile, per non lasciare solo Francesco, ma soprattutto per dare il giusto risalto a comportamenti di integrità, rigore personale e coraggio che meritano di essere conosciuti, messi in evidenza e portati ad esempio. Anche un semplice messaggio di risposta può significare molto”.

Giuseppe Giolitti

18 ottobre 2006

Il conto corrente alle isole Cayman è della Banca d'Italia!


Che la Banca d'Italia avesse un conto corrente la cosa stupisce.
Perchè una banca di una nazione ha un conto corrente?
Per dipanare la matassa dobbiamo scrivere molti numeri, ma ne vale la pena.
Partiamo dal conto corrente, dal libro “Euroschiavi” di Marco Della Luna ed Antonio Miclavez, Arianna editore.
alle isole Cayman sono stati trovati i seguenti conti:
700 26891 A01 N BANCA D'ITALIA UFFICIO RISCONTRO VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA
709 27154 A01 N BANCA D'ITALIA SERVIZIO RAPPORTI CON L'ESTERO, UFFICIO RISCONTRO 2484 VIA NAZIONALE, 91 I-00184 ROMA ITALIA.
Queste sono informazioni riservate, non possono essere date a chiunque ma, ipotizzando che sia vero, troveremo tanti tasselli che formano il mosaico finale.
Prima di tutto la Banca d'Italia è una "società per azioni" speciale con statuto speciale, in poche parole privati che gestiscono i soldi di una nazione.

Proviamo a seguire il percorso dei soldi passo dopo passo.
La collettività ha prodotto nuovi beni e servizi che non può immettere con successo sul mercato perchè manca la necessaria monetizzazione pari ad esempio a 5 miliardi di €. Lo Stato emette titoli di debito pubblico pari a 5 mld di € per il quale l’autorità monetaria emette nuova moneta.
Prima di questo istante ci trovavamo in questa configurazione:
- debito dello Stato: 1.500 mld di €;
- banconote in circolazione al passivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia: 100 mld di euro.
Dopo l’effettuazione dell’operazione ci troveremo in questa configurazione:
- debito dello Stato: 1.505 mld di €;
- banconote in circolazione al passivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia: 105 mld di euro;
- nuovi 5 mld di € di titoli di debito pubblico all’attivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia;
- nuovi 5 mld € virtuali monetizzano la società.
Qualora la Banca d'Italia decidesse o avesse la possibilità di trasferire ai risparmiatori quei nuovi titoli di debito pubblico in cambio di 5 mld di €, cosa succederebbe nella sua Contabilità in termini di situazione patrimoniale, conto economico e trattamento fiscale?
Succederebbe che la banca d'Italia incasserebbe 5 mld di € che stornerebbe dalle banconote in circolazione, così come pure stornerebbe dall'attivo i titoli di Stato.
Ma i 5 miliardi di € ricevuti dai risparmiatori che fine fanno? Essi sono annullati contabilmente dalla messa al passivo delle monete emesse a costi pressoché nulli nel passaggio precedente. La parola “Cayman” in questi casi risulta particolarmente sinistra per la collettività ed interessante per chi smaneggia quelle somme. Otterremmo quindi la seguente configurazione:
- debito dello Stato: 1.505 mld di €;
- banconote in circolazione al passivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia: 100 mld di euro;
- ritorno alla configurazione di partenza dei titoli di debito pubblico all’attivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia;
- 5 mld di € in nero da sistemare da qualche parte.

Il mondo accademico giura che quei 5 mld vengono distrutti, ma qualche dubbio appare lecito. Ipotizziamo che gli si creda e si creda anche alle tiepide ed incerte dimostrazioni presentate da bankitalia nei suoi bilanci. Otterremmo la seguente configurazione:
- debito dello Stato: 1.505 mld di €;
- banconote in circolazione al passivo della situazione patrimoniale della Banca d’Italia: 100 mld di euro.
Ma questo non è ciò che serve alla collettività; ad essa serve una monetizzazione di 5 mld di euro SENZA contrarre nessun indebitamento, perché è essa che ha prodotto quei nuovi beni e quindi quei 5 mld di € sono dello Stato che la rappresenta.
La procedura è identica anche nei paesi “comunisti”. Non è difficile ora comprendere la genesi del pressoché generalizzato indebitamento pubblico di tutti gli Stati.
Se invece lo Stato emettesse per proprio conto le monete oppure la banca centrale gli cedesse le monete emesse a costi tipografici e questi ne postasse l’importo all’attivo del proprio bilancio, la configurazione che si otterrebbe sarebbe la seguente:
- lo Stato non si indebiterebbe;
- il corpo sociale beneficerebbe dei 5 mld di € per effettuare le transazioni necessarie alla messa sul mercato dei nuovi beni prodotti da esso stesso.
È proprio questo ciò che serve alla collettività.

Come funziona per legge il SIGNORAGGIO
La BCE e le dodici Banche dell’area dell’euro, che insieme compongono l’Eurosistema, emettono le banconote in euro dal 1° gennaio 2002 (Decisione BCE 6 dicembre 2001, n. 15 sulla emissione delle banconote in euro, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 337 del 20.12.2001, pp.52-54, e successive modifiche). Con riferimento all’ultimo giorno lavorativo di ciascun mese l’ammontare complessivo delle banconote in euro in circolazione viene redistribuito sulla base dei criteri di seguito indicati.

Dal 2002 alla BCE viene attribuita una quota pari all’8 per cento dell’ammontare totale delle banconote in circolazione, mentre il restante 92 per cento viene attribuito a ciascuna BCN in misura proporzionale alla rispettiva quota di partecipazione al capitale della BCE (quota capitale). La quota di banconote attribuita a ciascuna BCN è rappresentata nella voce di stato patrimoniale Banconote in circolazione. La differenza tra l’ammontare delle banconote attribuito a ciascuna BCN, sulla base della quota di allocazione, e quello delle banconote effettivamente messe in circolazione dalla BCN considerata, dà origine a saldi intra Eurosistema remunerati. Dal 2002 e sino al 2007 i saldi intra Eurosistema derivanti dalla allocazione delle banconote sono rettificati al fine di evitare un impatto eccessivo sulle situazioni reddituali delle BCN rispetto agli anni precedenti. Le correzioni sono apportate sulla base della differenza tra l’ammontare medio della circolazione di ciascuna BCN nel periodo compreso tra luglio 1999 e giugno 2001 e l’ammontare medio della circolazione che sarebbe risultato nello stesso periodo applicando il meccanismo di allocazione basato sulle quote capitale. Gli aggiustamenti verranno ridotti anno per anno fino alla fine del 2007, dopodiché il reddito relativo alle banconote verrà integralmente redistribuito in proporzione alle quote, versate, di partecipazione delle BCN al capitale della BCE (Decisione BCE 6 dicembre 2001, n. 16, sulla distribuzione del reddito monetario delle BCN degli Stati membri partecipanti a partire dall’esercizio 2002, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 337 del 20.12.2001, pp.55-61, e successive modifiche).

Il Consiglio direttivo della BCE ha stabilito che il reddito da signoraggio della BCE, derivante dalla quota dell’8 per cento delle banconote a essa attribuite, venga riconosciuto separatamente alle BCN il secondo giorno lavorativo dell’anno successivo a quello di riferimento sotto forma di distribuzione provvisoria di utili (Decisione BCE 17 novembre 2005, n. 11, in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L 311 del 26.11.2005, pp.41-42). Tale distribuzione avverrà per l’intero ammontare del reddito da signoraggio, a meno che quest’ultimo non risulti superiore al profitto netto della BCE relativo all’anno considerato o che il Consiglio direttivo della BCE decida di ridurre il reddito da signoraggio a fronte di costi sostenuti per l’emissione e la detenzione di banconote. Il Consiglio direttivo della BCE può altresì decidere di accantonare l’intero reddito in discorso o parte di esso a un fondo destinato a fronteggiare i rischi di cambio, di tasso di interesse e di prezzo dell’oro. La distribuzione dell’acconto sugli utili da parte della BCE, corrispondente alla quota di reddito da signoraggio della BCE stessa riconosciuta all’Istituto, è registrata per competenza nell’esercizio cui tale reddito si riferisce, in deroga al criterio di cassa previsto in generale per i dividendi e gli utili da partecipazione.

Per l’esercizio 2005 il Consiglio direttivo della BCE ha deciso che l’intero ammontare del reddito da signoraggio resti attribuito alla BCE stessa.

Ma, possiamo pensare alla tassa sul suv se poi i nostri debiti (creati dal nulla dalle agenzia di rating)vengono accantonati nell'Isola Cayman?
Ma di chi sono questi debiti/crediti. Ogni giorno il debito aumenta ed il conto corrente riceve plusvalenza, questi sono i ricchi che guadagnano esentasse (in nero) e, agiscono nell'ombra.
Molti lo sanno ma, fanno finta di niente. Ma fino a quando questo giochino andrà avanti? Il problema dell'Italia è il nero? No, ma anche questo esproprio aristocratico dei ricchi non aiuta, anzi prende in giro prima i politici "banditi" poi i cittadini onesti o quelli che sono rimasti tali.

16 ottobre 2006

Steorn: l'energia che c'è ma non si vede


Una bella notizia, ma aspettiamo con ansia i risultati del test indipendente.
La Steorn, una compagnia Irlandese, ha annunciato di aver prodotto una tecnologia rivoluzionaria basta sull'interazione dei campi magnetici che produce energia pulita, gratuita e illimitata. Non è una cosa da poco: se fosse vero, non dovremmo più ricaricare il nostro cellulare (e l'auto), e non ci sarebbero più emissioni inquinanti. Inoltre, le componenti di questa tecnologia sono già disponibili: presto potremo verificare.

La tecnologia della Steorn sembra violare il 'Principio di Conservazione dell'Energia' (Lo ricordo? 'Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma'), considerato il principio fondamentale sul quale regge l'intero Universo: Steorn ha pagato un annuncio sul The Economist per catturare l'attenzione degli scienziati che si occupano di Fisica Sperimentale e che vogliono accettare la sfida di prendere parte ai test per verificare come viene creata energia illimitata. I risultati saranno pubblicati in tutte le riviste specialistiche del Mondo.

Sappiamo ancora poco, in sostanza,dato che la Steorn ha fatto solo 3 dichiarazioni in relazione a questa tecnologia:

1. La Tecnologia ha un coefficiente di efficacia superiore al 100% 2. La creazione dell'energia non deriva dalla consunzione delle componenti necessarie a produrla. 3. Non c'e' un mutamento dell'ambiente in cui si produce energia (ad esempio il riscaldamento della temperatura). La somma di queste 3 dichiarazioni è che la tecnologia genera energia illimitata.

Trovo che la cosa sia molto affascinante: Un'azienda giovane costruisce un dispositivo che crea energia pulita e libera per tutti e chiede in modo limpido che questa tecnologia venga studiata da terze parti: è un anno che Sean McCarthy, Presidente di Steorn, sottopone a ristrette comunità scientifiche i risultati dei suoi test privati, ora si è rivolto al The Economist che sta componendo una 'super giuria' di 12 scienziati che analizzeranno in dettaglio il dispositivo.

"Abbiamo scelto di pubblicare la dichiarazione su un giornale Economico e non Scientifico semplicemente perchè vogliamo attirare l'attenzione generale, e mostrare la piena e immediata disponibilità commerciale di questa tecnologia. Durante gli anni del suo sviluppo, questa è stata approvata da vari ingegneri e scienziati indipendenti. Adesso cerchiamo 12 dei più qualificati e cinici esponenti della Comunità Scientifica Mondiale per formare una giuria indipendente, che testi la tecnologia in laboratori indipendenti e pubblichi i suoi risultati. Non ci facciamo illusioni sul fatto che la nostra proposta riceverà molte critiche, visto che sfida i principi basilari della Fisica. Tuttavia, le implicazioni della nostra scoperta vanno molto oltre la curiosità scientifica: potrebbero risolvere tutte le urgenze mondiali relative all'ambiente e all'energia. La necessità è impellente, ci occorre quanto prima la pubblica approvazione della comunità scientifica".

Successivamente all'approvazione, la Steorn intende fornire la licenza gratuita della sua tecnologia alle organizzazioni del settore energetico che intendono sviluppare progetti di fornitura idrica ed energetica ai paesi del Terzo Mondo: i dettagli verranno annunciati più avanti.

13 ottobre 2006

Gli schiavi di Guantanamo


Che la situazione di Guantanamo, base americana a Cuba non fosse chiara è arcinota ma, se la notizia fosse vera siamo immersi in un mare di falsità.
IL 95 % dei prigionieri rinchiusi nella base statunitense di Guantanamo, territorio cubano occupato, furono comprati da soldati statunitensi in Pakistan. Lo denuncia Clive Stafford, avvocato di 36 detenuti.

In un articolo pubblicato sul settimanale britannico “New Statesman”, Stafford afferma che i detenuti di Guantanamo, per la maggior parte, non furono arrestati in Afghanistan, bensì catturati in territorio pachistano, e successivamente venduti all’asta come schiavi ai militari statunitensi per un minimo di 5000 dollari.

L'avvocato, nonché direttore dell'organizzazione non governativa Reprieve, sostiene che quegli acquisti effettuati da Washington spiegherebbero il motivo per cui tanti indigenti finirono nella prigione della base di Guantanamo. Come sottolinea nel suo libro “La linea di fuoco”, pubblicato di recente, lo stesso presidente pachistano Pervez Musharraf ha riconosciuto l'arresto nel suo paese di oltre 600 persone, ed il pagamento da parte degli Stati Uniti di milioni di dollari per le 369 persone che consegnò loro. Stafford assicura che solo il 5 % degli oltre 600 confinati a Guantanamo furono catturati da soldati statunitensi. Gli Stati Uniti aprirono quel carcere nel gennaio del 2002, dopo l'invasione dell'Afghanistan avvenuta alla fine del 2001, in rappresaglia per l'appoggio fornito dal regime talebano ad Osama Bin Laden e alla sua rete Al-Qaida, ritenuti responsabili degli attentati contro gli edifici di Washington e New York, commessi l’11 settembre di quell'anno.

Finora non è stato emesso alcun giudizio nei confronti dei detenuti di Guantanamo, considerati dagli Stati Uniti come combattenti illegali, ai quali non riconoscono le garanzie solennemente dichiarate nella Convenzione di Ginevra.

11 ottobre 2006

Il trasporto della materia è alla luce


COPENAGHEN (DANIMARCA) - Un esperimento che sembrerebbe aver dimostrato la possibilità concreta di realizzare in futuro il cosidetto computer quantistico ed un suo importante derivato la crittografia quantistica, vale a dire la possibilità di inviare messaggi inintercettabili. Per la prima volta nella storia infatti sono stati teletrasportati oggetti di natura diversa, come luce e materia.

L'ESPERIMENTO - Il trasferimento, realizzato da un gruppo di ricercatori del Max Planck Institute of Quantum Optics (MPQ) e del Niels Bohr Institute dell'Università di Copenaghen guidato da Eugene Polzik e descritto su Nature, è avvenuto alla distanza di mezzo metro e i ricercatori sono convinti che sia possibile ripetere con successo l'esperimento coprendo distanze maggiori. Ben lontano dal sogno fantascientifico di trasferire uomini e oggetti da un pianeta all'altro, il risultato ottenuto in Danimarca, rappresenta un passo in avanti importante e potrebbe essere cruciale per mettere a punto futuri sistemi per immagazzinare e trasmettere grandi quantità di informazioni.
TELETRASPORTO - Il teletrasporto consiste nel trasferire uno stato quantistico da una particella ad un'altra senza che avvenga un legame fisico. Si basa sul processo per cui le proprietà di due particelle possono essere vincolate insieme anche se sono lontane. Nel passato informazioni simili sono state trasferite fra oggetti della stesa natura, per esempio da ioni a ioni o da fotoni a fotoni. Adesso, nell'esperimento promosso dalla Fondazione danese per la ricerca sull'ottica quantistica (QUANTOP), per la prima volta il gruppo danese coordinato da Polzik ha trasmesso uno stato quantico da un gruppo di fotoni (i componenti elementari della luce) a un gruppo di atomi di cesio. Secondo lo stesso ricercatore si tratta del primo passo per riuscire a immagazzinare l'informazione quantistica negli atomi e quindi a trasferirla utilizzando i fotoni. Polzik non ha dubbio che le tecniche alla base del teletrasporto siano destinate a rivoluzionare la comunicazione fra i computer. «In futuro - ha osservato il ricercatore - l'informazione non sarà più codificata e trattata nel linguaggio binario, come accade oggi, ma in stati quantistici che possono esistere simultaneamente. In questo modo diventerà possibile trasferire una quantità di informazioni decisamente maggiore». Inoltre Polzik è convinto che le future reti di comunicazione basate sul teletrasporto saranno completamente sicure.
corriere.it

09 ottobre 2006

Le Iene: "Un deputato su 3 usa droghe"

I risultati saranno presentati nella trasmissione in onda domani sera alle 21 Capezzone: "Lo dico da sempre..." e la leader di AS lancia una petizione.

ROMA - Droga in parlamento? Il test sui deputati effettuato, con uno stratagemma, dalle Iene, rischia di innescare una miccia politica. Con il radicale Daniele Capezzone che commenta caustico: "Io l'ho sempre detto..." e Alessandra Mussolini che pretende i nomi dei consumatori.

Il test, eseguito su 50 deputati a loro insaputa e i cui risultati verranno presentati nella prima puntata della nuova serie del programma (domani sera alle 21 su Italia 1), potrebbe creare non poco imbarazzo nei palazzi della politica: un onorevole su tre fa uso di stupefacenti, prevalentemente cannabis, ma anche cocaina. Questo il dato: il 32% degli 'intervistati' è risultato positivo: di questo il 24% (12 persone) alla cannabis, e l'8% (4 persone) alla cocaina.

L'esame è il drug wipe, un tampone frontale che, spiega Davide Parenti, capo autore delle Iene, "ha una percentuale di infallibilità del 100%". In realtà il tossicologo Piergiorgio Zuccaro, direttore dell'Osservatorio Fumo, alcol e droga dell'Istituto superiore di sanità, definisce il drug wipe un test "serio e scientificamente valido, ma non sufficiente da solo a confermare la positività all'uso di droghe. Normalmente se il drug-wipe è negativo il risultato è confermato come tale, ma se è invece positivo è necessaria la conferma ulteriore di laboratorio, dal momento che possono verificarsi dei falsi positivi".

I deputati sono stati avvicinati con la scusa di un'intervista. poi, una finta truccatrice, si accorgeva che la fronte dell' intervistato era "troppo lucida" e tamponava. In realtà l'ignaro si era sottoposto, senza saperlo, al test che svela se si è fatto uso di stupefacenti nelle ultime 36 ore.

"Il test - spiega sempre Parenti - è infallibile al 100% se si sono assunte sostanze stupefacenti nelle ultime 36 ore. Il che vuole dire che basta averne fatto uso più di due giorni prima per risultare negativi. L'errore, piuttosto, può essere fatto per difetto: può succedere che il test non rilevi chi ha fatto uso di cannabis coca o altro ma non che risulti positivo se qualcuno è pulito".

Nel servizio-inchiesta non si riconosceranno i deputati sottoposti al test: "Noi stessi non sappiamo chi, dei 50 testati, sono i 'positivi'. Per noi la parte interessante non è la violazione, ma il dato percentuale". Ed è proprio sull'anonimato che punta il dito la battagliera Mussolini: "Vogliamo sapere chi tra i rappresentanti del popolo usa droga, come e da chi la compra ma soprattutto se la vende: ci manca solo l'onorevole 'pusher'". E tanto per far capire che non scherza la leader di Alternativa Sociale ha già attivato una petizione online sul sito del partito da presentare ai presidenti delle Camere.

Più scanzonato Capezzone: "Leggo dello stratagemma usato da 'Le Iene', cui vanno i miei complimenti. Dal canto mio, ho sempre detto che, se un cane poliziotto entrasse in alcuni luoghi della 'politica ufficiale', prima gli andrebbe in tilt il naso e poi si arrenderebbe...".

E Carlo Giovanardi, l'ex ministro "padre" della recente legge sulla droga, chiede ironicamente che l'esame sia esteso anche al Senato: "Se le Iene vogliono dire che anche in Parlamento c'è chi consuma cocaina - afferma Giovanardi - scoprono l'acqua calda". Per concludere, con una pesante allusione: "Basta andare a vedere tra i senatori a vita..."
la repubblica.it

03 ottobre 2006

La Storia la scrivono i doppiogiochisti:gli Inglesi


Sella di Monteluce tratto da "Verità sulla finanza italiana"

Tutto ciò potrebbe sembrare frutto di una brutta fantasia.Ma non per coloro che conoscono la storia della diplomazia inglese. In ogniepoca, lo strumento monetano è stata l'arma principale dell'imperialismo britannico. E' fatale che il peso della tradizione determini il comportamento inglese. Anche i popoli sono prigionieri delle loro abitudini.

Pochi sanno che il metodo inglese di dominio delle colonie nord americane fu quello di proibire la costituzione di banche locali, di rendervi scarsa lamoneta, per comperare con poche sterline tutta la produzione di quei territori. La Banca di Inghilterra ottenne la chiusura delle banche dei quaccheri americani, che effettuavano i finanziamenti alla agricoltura.
«Scarsissimo vi correa i1 denaro; scrive uno storico, e la comune miseria, tutti manteneva facilmente in servitù. Mentre essi (gli inglesi) con poche monete accaparravano tutto il prodotto di quelle regioni». La deficienza di mezzi monetari, ossia la politica di restrizione creditizia, provocò tale miseria da rendere impossibile il pagamento delle tasse. E per ribellarsi alla gabella sul the scoppiò la rivoluzione che liberò quei territori ed armò Washington.

La stessa tecnica fu usata dalla diplomazia inglese in Francia. In questo paese, in materia finanziaria, il governo subì la scandalosa influenza di un agente Inglese, durante la reggenza di Luigi XV. Il tentativo di Law di rinnovare le finanze francesi si è spezzato contro gli intrighi di Dubois, agente Inglese per documentate prove storiche. In accordo col governo di Londra Dubois operò con ogni mezzo per infrangere il tentativo di dilatazione creditizia: sopraffece Law, divenne arcivescovo di Chambrai, fu cardinale il 25 giugno 1721; l'anno successivo divenne primo ministro mentre il reggente stava morendo, e il re era tredicenne. Con lui Londra fu onnipotente in Francia. Ma le finanze della nazione disperate.

Si! Tutto ciò potrebbe sembrare frutto di fantasia. Purtroppo non lo è! Negli anni scorsi abbiamo letto infinite volte che lo sbarco alleato in Sicilia, la rinuncia a sbarcare in Grecia, la cessione del paesi danubiani a Stalin, furono errori di Roosevelt. Nelle memorie di sir Winston Churchill, queste tesi sono riconfermate e documentate: pure noi abbiamo avuto infinite volte il sospetto che le cose non stessero così e che dietro le quinte della storia ci fossero retroscena ignoti ai popoli, che prima o poi avrebbero finito per venire alla luce. Indizi raccolti nei nostri viaggi e nei nostri colloqui, con uomini politici tra i più qualificati, ci avevano persuaso che il gioco diplomatico non era stato condotto dagli USA, ma dall'Inghilterra. Con una abilità diplomatica consumatissima, corrispondente alla sua altissima qualificazione di nazione civile, essa doveva avere mosso le fila,lasciando credere che i promotori de1le iniziative fossero gli americani: e non a caso. Ciò era servito a disorientare gli avversari; quegli avversari cioè che essa combatteva, senza che gli interessati sapessero neppure di essere combattuti. Sempre ed ovunque era stato scritto che Churchill era stato fautore di uno sbarco a Salonicco e che Eisenhower aveva imposto la Sicilia !

Ed oggi, mentre scriviamo queste pagine, un episodio fa improvvisamente luce sulla verità di quanto affermiamo. La documentazione che lo sbarco in Italia è stato imposto da Churchill è stata offerta in questi giorni dalla Casa Bianca, per rispondere a una mossa di Truman turista in Italia. Il fatto è importante perché prova esplicitamente che «Churchill si oppose anche allo sbarco nei Balcani». Quale è la portata di queste rivelazioni, e quale era il gioco diplomatico che Londra perseguiva? Se lo sbarco alleato fosse avvenuto in Grecia, se le armate anglo-americane avessero risalito il bacino danubiano, Grecia, Romania, Bulgaria, Austria e forse Polonia sarebbero state liberate. Gli eserciti alleati si sarebbero incontrati coi russi ben più a nord di Vienna. Il bacino danubiano si sarebbe organizzato con delle libere democrazie; e la prevalenza cattolica delle popolazioni, le avrebbe fatte gravitare verso S. Pietro. La Jugoslaviasarebbe restata monarchica e cattolica. L'Italia infine sarebbe stata liberata senza colpo ferire, per semplice manovra di aggiramento. Glieserciti risalenti dalla Grecia al Danubio puntando su Vienna avrebbero costretto i tedeschi a ritirarsi dalla penisola, prima di essere tagliati nella loro strada del ritorno.
Lo sbarco in Grecia e la penetrazione nel bacino danubiano avrebbero posto la pietra angolare alla nascita di una Europa cattolica, organizzata intorno a una Italia intatta. La minaccia di un controllo sul mediterraneo e sul continente, da parte di una potenza protetta dalla croce di Cristo, capace di influenzare con la sua voce oltre mezzo miliardo di cattolici sparsi in tutti gli angoli della terra, era ben più grave per Londra, della minaccia di un impero fascista, rivendicante il mare nostrum, sempre in potenziale antitesi con la Francia e con gli altri stati rivieraschi. Londra corse ai ripari. Churchill prese in mano la situazione.
Lo sbarco a Salerno fu effettuato in apparente accordo tra gli anglo-americani. II velo del retroscena non fu mai sollevato. Il giorno in cui l'ex presidente degli Stati Uniti Truman venne per una visita di piacere in Italia, giunto a Roma, benché battista, si reco a rendere visita al sovrano Pontefice. Si ignorano gli argomenti trattati nel colloquio. Dopo tre giorni, Truman si recava a Salerno. Visitava il luogo dello sbarco alleato. Molte colline circondavano la località; col suo più grande candore,dichiarò che la località era stata scelta male, era costata una massa enorme di perdite; concluse: «La scelta deve essere opera di qualche testa di scoiattolo di generale ». Il generale che comandava il settore era il presidente in carica degli Stati Uniti: Eisenhower. La notizia piombò come un fulmine alla Casa Bianca, dove si stava preparando la campagna presidenziale. Nella precipitosa necessita di scaricare il presidente, gli archivi segreti furono aperti ed il mondo sbalordito venne a sapere che lo stratega dello sbarco in Italia, e della bocciatura dello sbarco in Grecia, era lo stesso personaggio che aveva orientato la mossa strategica con cui gli alleati cedettero graziosamente gli stati danubiani a Stalin. II signor Wiston Churchill primo ministro di S. M. britannica: era il 23 maggio 1956.
Era evidente che lo sbarco a Salerno. come lo sbarco in Sicilia, non erano serviti a liberare l'Italia, e tanto meno a liberare l'Europa. Servirono a passare il rullo compressore sul territorio italiano per predisporre quella disorganizzazione della penisola che avrebbe impedito alla Chiesa cattolica di dedicarsi immediatamente alla riorganizzazione del continente europeo.
Faceva parte di un piano il cui sviluppo era previsto per il «tempo di pace ». La paziente e preveggente iniziativa britannica aveva predisposto il suo gioco con una visione a largo raggio sorprendendo alleati ed avversari. Certo nello stesso tempo Londra stava già studiando le azioni che avrebbero portato a completare lo smantellamento (anche economico e produttivo) della nostra nazione.
Sullo sbarco in Italia, la sera del 23 maggio 1956 Washington diramava queste comunicazioni riportate da tutta la stampa: «Le battaglie, si osserva al Pentagono, furono il risultato della «diretta consultazione» degli Stati Maggiori inglese e americano. Esse tendevano a eliminare l'Italia dalla seconda guerra mondiale. Se poi si vuole risalire alla persona che ha la responsabilità di queste operazioni, si dice a Washington, allora bisogna varcare l'Atlantico e cercarla in Inghilterra. Fu il primo ministro Winston Churchill che ideò il progetto britannico di«knocking Italy out of the war», ossia di mettere l'Italia fuori combattimento. In un certo senso, nota un militare di consumata esperienza, questo progetto fu per mesi l'idea fissa di Churchill. Fu la sua « intuizione strategica ». Egli difese vigorosamente la sua tesi durante la conferenza di Washington del maggio del 1943, e allora ottenne una parziale approvazione. Poi segui l'invasione della Sicilia; Mussolini cadde senza spargimento di sangue. Churchill torna alla carica con la sua « intuizione strategica », e i capi di stato maggiore inglese e americano studiarono il piano di sbarco a Salerno. L'operazione portava naturalmente la firma del generale Eisenhower.

«Anche lo sbarco di Anzio si ricorda al Pentagono, faceva parte del disegno di Winston Churchill. Egli lo sostenne vigorosamente. Lo ideò come un mezzo per rompere la stasi sul fronte di Cassino. Una testa di ponte ad Anzio, egli disse ai generali, avrebbe disfatto la resistenza tedesca, e avrebbe condotto al1a rapida conquista di Roma. «Il primo ministro inglese, ricordano a Washington, era così innamorato della sua idea, che partecipa ad alcune .conferenze strategiche. Alcuni generali americani, tra cui Eisenhower, considerarono il piano con sospetto e preoccupazione, e ritennero che in ogni caso le forze dislocate per lo sbarco erano troppo esigue. Tanto per accontentare gli americani, e aggirare le loro obiezioni, le forze furono raddoppiate. Ma alla resa dei conti il generale Clark si avvide che non erano sufficienti per il grosso obiettivo:Roma.

«La testa di ponte di Anzio fu occupata da truppe al comando del generale John P. Lucas. Il primo scontro violento avvenne all' alba del 22 gennaio 1944. Si era sperata in una rapida penetrazione attraverso i Colli Albani, il che avrebbe permesso di rompere le linee di comunicazione che portavano al fronte tedesco del Sud: in particolare la roccaforte di Cassino. Ma gli alleati fecero troppo affidamento sulla loro superiorità aerea. I tedeschi riuscirono a contenere la testa di ponte senza indebolire le loro linee difensive.«Il capro espiatorio fu naturalmente il generale John Lucas. Gli fu tolto il comando della testa di ponte. Ma non pochi storici e studiosi di arte militare sono del parere che il generate Lucas sia stato la «vittima silenziosa» che ha coperto gli errori dello statista insigne. Le truppe asserragliate nella testa di ponte di Anzio non riuscirono ad aprirsi la strada che nel maggio, e Roma, mal. grado i piani e le previsioni diChurchill, non fu conquistata che il 4 giugno. Dal 1944 la quinta armata americana perdette 52.130 uomini.

«Nel suo libro Crusade in Europe, il generale Eisenhower ha rivelato le obiezioni che fece al primo ministro Churchill durante una conferenza in Tunisia. Eisenhower predisse delle «pesanti perdite» e suggerì di rivedere il piano con Ia massima attenzione. Ma Churchill era ormai deciso a mettere in azione il suo piano». Il generale Mark W. Clark alla domanda: «Quali errori sono stati commessidagli alleati?», ha risposto: «Avremmo dovuto sbarcare nei Balcani. A quest'ora la Russia non sarebbe a Berlino».

Striscia la notizia: 1, 10,100.000


L'informazione genuina in Italia è in mano ai comici come Beppe Grillo o Ezio Greggio che danno informazioni e gag sullo steso piatto.
Mentre giormalisti blasonati hanno portato al bavaglio dell'informazione a livello delle republiche delle banane non rimane che ascoltare i comici, almeno una risata è assicurata. Ma fino a quando basterà?
L'istituto che si occupa del livello di democrazia dell'informazione ha declassato l'italia al 80° posto, ma, fino a quando i nostri giornalisti sono così corrotti o collusi non si hanno vie di uscita.
Quindi, viva i comici che fanno, loro malgrado, i giornalisti ma non uno ma dieci o centomila. Quando centomila comici cominceranno a denunciare tutto il denunciabile, nessuno sarà esente dal dito puntato contro l'illegale o l'immorale.

29 settembre 2006

Fare debiti con i soldi degli altri: TELECOM


Per coloro i quali non hanno ancora ben chiaro il meccanismo della creazione dal nulla di denaro da parte delle banche commerciali (una delle derivazioni del signoraggio)pubblichiamo una e-mail del nostro amico Marco Saba sull’affare Telecom:Dunque senti questa: Marco Tronchetti si fa prestare 42 miliardi di euro dalle banche (debitoTelecom) per comprarsi la Telecom. Si chiama privatizzazione, ma è un riciclaggio di signoraggio.
Le banche creano 42 miliardi dal nulla (pescando nel potere d'acquisto di tutti noi) e indebitanoTelecom per cui poi con le bollette del monopolio della borchia (90% di tutte le linee fisse), ildebito viene ripagato da questo 90% di utenti (sempre noi).I 42 miliardi Telecom sono invisibili al PIL, poiché si tratta di operazioni finanziarie, per l'appuntonon contate nel PIL (quindi le speculazioni bancarie non contribuiscono alla crescita del PIL tantorichiesta dalla BCE... ecco perché se ne parla spesso come del denaro invisibile, del denaro buconero:
ricordate la società BUCONERO dell'affare Parmalat?)
Quindi, *Tronchetti + banche* rubano rendite monetarie al popolo sovrano, e se le rifanno purepagare sotto forma di bollette Telecom!
Ora la società è decotta perché è decotta la catena di Sant'Antonio della proprietà basata sull'ariafritta (Olimpia ed altre olimpiaggini).
Conoscendo i nostri ladri, cosa s'inventeranno ancora? Messa in liquidazione di Telecom, consuccessivo acquisto all'incanto, a prezzi da Zimbabwe, da parte della solita cordata degli amicidegli amici. Finanziati, ovviamente, dalle banche. In secula seculorum.E tu continuerai a pagare la bolletta telefonica maggiorata alle banche, ripianando un debito fasullo.Evviva l'Italia!
Triste vero? ma purtroppo è la sacrosanta verità. Quindi queste privatizzazioni, lette con l’ottica del signoraggio, rivelano tutto lo squallore della situazione attuale: le banche“prestano” il denaro all’acquisitore (amico dell’amico) il quale non si indebita lui personalmente, ma fa ricadere il tutto sulla società da acquisire che essendo di fatto in monopolio, ripaga tranquillamente il debito con le bollette nel caso Telecom oppure deipedaggi autostradali nel caso di autostrade e nel frattempo già che ci siamo, risolve anchequalche debituccio personale. Quindi i cittadini sono stati “truffati” ben quattro volte:
uno perché società e banche statali costruite con i soldi pubblici (leggi dei cittadini)sono state svendute a prezzi da saldi di fine stagione, come il Banco di Napoli(s)venduto dallo stato a 32 ml di euro e rivenduto dopo pochi anni a ben 1000 ml dieuro!
due perchè le banche finanziano le acquisizioni con il denaro virtuale ovvero creato da un click del computer (che i vostri computer non sono buoni e che questi giochi di prestigio sono appannaggio solo delle banche!)
Tre perché questi soldi apparsi miracolosamente dal nulla aumentano l’inflazione reale e fanno aumentare i prezzi (leggi diminuiscono il potere di acquisto);
Quattro perché il debito ce lo fanno ripagare a noi (non ricordiamo più se per la seconda o terza volta) con le bollette ed i pedaggi che non diminuiscono mai, e comepotrebbero se servono per mandare avanti la baracca, tra cui gli stipendi d’oro e lestock option dei super manager e per ripagare il debito?
Poi le banche finanziatrici si ritirano, incassano soldi veri e via pronti per la prossima acquisizione (leggi via Trochetti & c. e dentro un altro amico dell’amico dell’amico…).
tratto da centrofondi.it

28 settembre 2006

I conti dell'operazione Libano


Pomero si avventura sul conto della missione in Libano snocciolando dati che sono da verificare. Non si può fare dell'erba tutto un fascio ma i dati sono questi.
La portaerei Garibaldi costa 3 milioni di euro al mese, un maresciallo costa 12mila euro... Fatti i conti, con la missione libanese le spese per la difesa diventano uguali all'ultima finanziaria.

«Sono passate due settimane da quando, sul ponte di volo di Nave Garibaldi, ho rivolto il saluto al contingente che aveva iniziato a muoversi alla volta delle coste libanesi»: così ha ricordato il ministro della difesa Parisi nella visita in Libano il 12 settembre. Non ha però detto agli italiani che in queste due settimane, solo per tenere in navigazione la portaerei Garibaldi, si è speso oltre un milione e mezzo di euro. Il suo costo mensile di esercizio ammonta a 3.080.650 euro, equivalenti a 5,8 miliardi delle vecchie lire. Questo e altri dati sulla spesa per la missione sono contenuti nel disegno di legge, presentato dal governo e approvato dalle commissioni esteri e difesa della Camera.
Solo come «costo esercizio mezzi» si prevede in settembre-ottobre, oltre a quella per la Garibaldi, una spesa mensile di 1,2 milioni per i mezzi blindati e 1,8 per gli aerei che, insieme ad altre voci, portano il totale mensile a 12,6 milioni di euro. Aggiungendo le spese per alloggiamento, viveri e servizi, il «totale spese funzionamento» supera i 14 milioni di euro mensili. Vi sono poi gli «oneri una tantum», soprattutto per l'«approntamento in patria della marina militare», che ammontano a 15,5 milioni.
Molto maggiori sono le spese per il personale. La «Early entry force» conta 295 ufficiali, 1.250 sottufficiali e 951 volontari. Essa è quindi composta per circa il 62% da ufficiali e sottufficiali, ossia dal personale meglio pagato. Ad esempio un maresciallo capo, la cui retribuzione mensile ammonta a circa 2.900 euro, costa quale «trattamento economico aggiuntivo» per la missione in Libano 9.450 euro al mese. Questo sottufficiale costa quindi allo Stato oltre 12mila euro al mese. Complessivamente, solo per il «trattamento di missione» dei 2.496 militari in Libano, si prevede una spesa mensile di 22,3 milioni.
Il costo mensile della missione, nel periodo settembre-ottobre, sfiora quindi i 52 milioni di euro. Salirà ancora quando, a novembre, subentrerà la «Follow on force», composta da 2.680 militari: 335 ufficiali, 1.290 sottufficiali e 1.055 volontari. Solo per il loro «trattamento di missione» si spenderanno circa 24 milioni di euro al mese che, con gli oltre 14 del «costo esercizio mezzi», porteranno il totale a oltre 38 milioni mensili. Si aggiungeranno 18,4 milioni per gli oneri, inspiegabilmente definiti anche in questo caso «una tantum». Il costo della missione salirà così in novembre di 4,6 milioni, arrivando a 56,6 milioni mensili. Per dicembre invece, abolita l'«una tantum», dovrebbe scendere a circa 35 milioni mensili. Questo nelle previsioni. Ma se la situazione dovesse complicarsi, il costo sarebbe sicuramente maggiore.
La missione in Libano e le altre (soprattutto in Afghanistan) comportano, oltre alla spesa immediata, un costo indotto. L'Italia impegna all'estero nell'arco di un anno oltre 30mila militari su base rotazionale, più 3mila pronti a intervenire. Ma per mantenere e potenziare tale capacità occorre assumersi ulteriori oneri anche in termini di bilancio: come ha sottolineato Parisi, vi è una «carenza di risorse» che può incidere sulle capacità operative delle forze armate, il cui personale assorbe oltre il 70% del bilancio della difesa. Ciò può portare a «inaccettabili situazioni debitorie nei programmi internazionali», come quello del caccia statunitense Jsf cui partecipa l'Italia. Occorre quindi «un flusso di risorse costante e coerente con gli obiettivi», che farà crescere la spesa militare italiana, già al 7° posto mondiale con oltre 27 miliardi di dollari annui in valore corrente e 30 a parità di potere d'acquisto.
Sommando la spesa militare al costo delle missioni si raggiunge una cifra annua equivalente a quella della finanziaria 2006. E poiché i soldi (denaro pubblico) da qualche parte devono venir fuori, occorre «tagliare» in altri settori. Come hanno documentato Cgil Cisl e Uil, la finanziaria 2006 prevede tagli alle spese sociali di 12,7 miliardi, che colpiscono soprattutto sanità ed enti locali. Si mettono così a rischio i servizi erogati ai cittadini nonché posti di lavoro. Sono previsti inoltre tagli per 27 miliardi per la costruzione e l'ammodernamento delle reti metropolitane, tranvie e passanti ferroviari. Nella finanziaria si propone inoltre, per il 2006, un drastico taglio dei fondi destinati agli aiuti per i paesi in via di sviluppo, 152 milioni di euro in meno rispetto ai 552 stanziati nel 2005. Siamo così intorno allo 0,1% del pil rispetto a un obiettivo dell'1%. E mentre nella finanziaria 2006 si destina un miliardo di euro per la «proroga» delle missioni militari all'estero, si stanziano nientemeno che 30 milioni annui per la cancellazione del debito dei paesi poveri altamente indebitati. Quanto si spende in due settimane e mezzo per la missione militare in Libano.

27 settembre 2006

Hemingway: ho ucciso con gioia!


Tutto sommato, a Günter Grass è andata bene. Potremmo definirlo il mancato incontro fatale tra due futuri premi Nobel. Se nell'aprile 1945, quando venne fatto prigioniero dagli americani, l'allora giovanissimo Waffen-SS si fosse imbattuto in Ernest Hemingway, probabilmente avrebbe fatto la misera fine di tanti suoi commilitoni. Tanti quanti? Centoventidue, almeno secondo i calcoli (veri o immaginari) dello scrittore americano. Tutti prigionieri di guerra tedeschi, disarmati. Crauti, come li definiva con disprezzo, che l'autore di Addio alle armi uccise, a suo dire provandoci gusto, durante l'anno nel quale accompagnò le truppe alleate come reporter di guerra.

Un'altra delle tante spacconerie di Hemingway? L'ennesima esagerazione di un uomo «larger than life», più grande della vita, appassionato di caccia grossa come di corride, patito delle armi e del pugilato, consumatore smodato di donne, alcol e sigari? Può darsi. E Rainer Schmitz non lo esclude neppure. Ma poiché carta canta, il giornalista tedesco ha voluto attirare l'attenzione su passaggi fin qui trascurati di alcune lettere dello scrittore, due di esse peraltro inedite in Germania. Appena uscito per i tipi di Eichborn, il suo libro Cosa è successo al teschio di Schiller? Tutto quello che non sapete sulla letteratura
è una raccolta ragionata e molto ben documentata di episodi, aneddoti e curiosità poco noti o del tutto sconosciuti su autori celebri.

Hemingway si unì (embedded, come si direbbe oggi) al 22esimo reggimento della IV Divisione di fanteria americana col grado di ufficiale. In realtà, non doveva soltanto raccontare le gesta degli alleati; in quel periodo infatti lavorava già anche per l'Oss, il servizio d'intelligence antesignano della Cia. Grazie alla sua perfetta conoscenza del francese, lo scrittore fu il governatore di fatto di Rambouillet, alle porte di Parigi, dove tranquillizzò la popolazione, gestì il villaggio e soprattutto interrogò centinaia di prigionieri tedeschi. «Qui è molto piacevole e divertente — scrisse nell'autunno del 1944 a Mary Welsh, che sarebbe diventata la sua quarta e ultima moglie —, molti morti, bottino tedesco, tante sparatorie e ogni tipo di battaglia».

La lettera incriminata, quella che secondo Schmitz non ha mai avuto l'attenzione che avrebbe meritato, è quella che Hemingway scrisse il 27 agosto 1949, quattro anni dopo la fine della guerra, al suo editore, Charles Scribner: «Una volta ho ucciso un crauto-SS particolarmente sfrontato. Al mio avvertimento, che l'avrei abbattuto se non rinunciava ai suoi propositi di fuga, il tipo aveva risposto: "Tu non mi ucciderai. Perché hai paura di farlo e appartieni a una razza di bastardi degenerati. Inoltre sarebbe in violazione della Convenzione di Ginevra". Ti sbagli, fratello, gli dissi. E sparai tre volte, mirando allo stomaco. Quando quello cadde piegando le ginocchia, gli sparai alla testa. Il cervello schizzò fuori dalla bocca o dal naso, credo».

Meno di un anno dopo, il 2 giugno 1950, l'autore di Per chi suona la campana torna a evocare la sua esperienza di guerra in una lettera ad Arthur Mizener, docente di letteratura alla Cornell University. È la corrispondenza dove tira il macabro bilancio della sua passione omicida: «Ho fatto i calcoli con molta cura e posso dire con precisione di averne uccisi 122». Uno di questi tedeschi, prosegue Hemingway, «era un giovane soldato che stava tentando di fuggire in bicicletta e che aveva all'incirca l'età di mio figlio Patrick». Questi era nato nel 1928, quindi la vittima doveva avere 16 o 17 anni. A Mizener, lo scrittore spiega di avergli «sparato alle spalle, con un M1». La pallottola, calibro 30, lo aveva colpito al fegato.

Questa lettera non era mai stata pubblicata prima d'ora in Germania. Nessun testimone si è mai appalesato, per confermare queste ammissioni di Hemingway. Inoltre, come ammette Schmitz, «nelle sue lettere il premio Nobel è sempre stato incline all'esagerazione, a nutrire il mito del suo machismo». Ma anche i suoi ammiratori concedono che durante la Seconda guerra mondiale egli abbia probabilmente violato la Convenzione di Ginevra. E soprattutto, si chiede l'autore, «perché quest'ammissione senza alcuna necessità?». Di certo, fa notare Schmitz, nessuno finora ha indagato seriamente negli archivi di guerra, per far luce su questo aspetto non marginale della vita di uno dei grandi della letteratura mondiale di ogni tempo.

Indizi sul fascino che l'atto di uccidere esercitasse su Hemingway se ne possono naturalmente trovare a iosa. «Mi piace sparare con un fucile, mi piace uccidere e l'Africa è il posto dove farlo», scrive nella primavera 1933 a Janet Flanner. Parlava sicuramente di animali, quelli abbattuti durante il safari di due mesi nello stesso anno, che poi avrebbe immortalato in Verdi colline d'Africa.
Ma più di ogni altro, si può ricordare l'attacco di un articolo a firma Ernest Hemingway apparso su Esquire nell'aprile 1936: «Certamente nessuna caccia è paragonabile alla caccia all'uomo e chi abbia cacciato uomini armati abbastanza a lungo e con piacere, dopo non si è mai interessato di null'altro».
Paolo Valentino

26 settembre 2006

Forni a microonde: quale pericolo?


Negli stessi anni '70 iniziarono a comparire anche in Europa e Stati Uniti le prime ricerche che mettevano in dubbio la sicurezza dei cibi cotti a microonde. Studi istologici su broccoli e carote cotti con microonde rilevarono che la struttura molecolare dei nutrienti veniva deformata a tal punto da distruggere le pareti cellulari. Da allora fino al nostri giorni gli studi condotti sono stati diversi (vedi box) e gli aspetti più controversi che sono stati evidenziati riguardano:
- l'emissione di microonde dagli apparecchi;
- i rischi igienici dovuti ad una cottura non omogenea;
- la migrazione di sostanze tossiche contenute negli involucri all'interno dei cibi;
- un'alterazione anormale delle sostanze nutritive degli alimenti; - un'alterazione cancerosa del sangue in seguito al consumo di questi alimenti.
Nonostante il fatto che nei vari paesi siano stati stabiliti dei valori limite di esposizione alle microonde, nulla è stato fatto invece per ammonire l'utilizzatore sui possibili rischi evidenziati da questi studi. Questi valori limite infatti si riferiscono esclusivamente alle emissioni di microonde verso l'esterno del forno e non alla quantità di radiazioni cui sono sottoposti i cibi all'interno dei forni.
Gli effetti sul sangue
Lo studio più significativo sui rischi legati all'assunzione di cibi cotti a microonde rimane quello del professor Bernard Blanc dell'Università di Losanna e del dottor Hans U. Hertel, uno scienziato indipendente con una lunga esperienza nell'industria alimentare e farmaceutica. Nel 1989 Blanc e Hertel proposero alla Swiss Natural Fund, insieme all'Università di Losanna, una ricerca riguardante gli effetti sull’uomo del cibo cotto con microonde, ma fu rifiutata. La ricerca fu per questo ridimensionata e condotta con fondi privati.
Furono testati otto volontari, che per alcuni mesi seguirono una dieta macrobiotica e ai quali ogni 15 giorni vennero somministrati a stomaco vuoto, alimenti crudi, cotti con metodi convenzionali, scongelati o cotti in un forno a microonde.
Immediatamente prima dei pasti e poi 15 e 120 minuti dopo, avveniva prelevi di sangue.
E’ importante sottolineare che i volontari non erano a conoscenza del metodo di cottura del loro cibo e quindi è da escludere un condizionamento psicosomatico.
Come si può osservare nel grafici, le analisi rilevarono differenze significative tra gli effetti sul sangue del cibo cotto a microonde e quelli del cibo cotto con metodi convenzionale
In particolare venne riscontrata una riduzione significativa dell’emoglobina e una e un aumento dell’ematocrito, dei leucociti e del colesterolo. Inoltre, furono evidenziati alterazioni della membrana cellulare.
«I cibi cotti con microonde – si legge nello studio – paragonati a quelli non irradiati, causano cambiamenti nel sangue delle persone testate, tali da indicare l'inizio di un processo patologico, proprio come nel caso di un iniziale processo canceroso». Ricorrendo alla bioluminescenza è stato inoltre registrato il «passaggio per induzione dall’energia delle microonde dai cibi trattati al corpo umano»
Raramente una ricerca ha scatenato una simile bufera: il professor Blanc si dissociò quasi subito dalle conclusioni dello studio, temendo per la sicurezza della propria famiglia oltre che del suo posto di lavoro. Poco dopo la FEA , associazione dei rivenditori di elettrodomestici a Zurigo, denunciò il dottor Hertel, e il 19 marzo 1993 la Corte Cantonale di Berna gli vietò di divulgare le sue conclusioni, pena una sanzione di 5000 franchi svizzeri; verdetto successivamente ribadito dalla Corte federale a Losanna. Nel 1998, la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo riconobbe in questo verdetto una grave violazione della libertà di espressione e condannò la Svizzera a un risarcimento di 40.000 franchi (un riconoscimento irrisorio rispetto alle spese processuali e ai danni economici e professionali subiti da Hertel)
Da quel momento la Corte federale stabilì che Hertel poteva sì divulgare le proprie conclusioni, ma la condizione di dichiararle non scientificamente provate.
Siamo liberi di scegliere
Da allora, un’inspiegabile cortina di silenzio è calata sulla questione dei forni a microonde. Come sempre, quando ci sono grandi interessi in ballo, la verità diventa difficilissima da trovare, sommersa com'è da fortissime pressioni che esercitano la loro influenza non solo sui mass media, ma soprattutto sul mondo scientifico e le istituzioni ad esso legate. Gli scienziati che hanno l'onestà intellettuale e il coraggio di scagliarsi contro questa logica si contano sulla punta delle dita e nella maggior parte dei casi vengono minacciati, denunciati, diffamati e perseguitati in ogni modo possibile, come dimostra la storia di Hertel. Ma finché queste persone avranno modo di parlare, noi avremo modo di ascoltare.
E di scegliere.
Negli stessi anni '70 iniziarono a comparire anche in Europa e Stati Uniti le prime ricerche che mettevano in dubbio la sicurezza dei cibi cotti a microonde. Studi istologici su broccoli e carote cotti con microonde rilevarono che la struttura molecolare dei nutrienti veniva deformata a tal punto da distruggere le pareti cellulari. Da allora fino al nostri giorni gli studi condotti sono stati diversi (vedi box) e gli aspetti più controversi che sono stati evidenziati riguardano:
- l'emissione di microonde dagli apparecchi;
- i rischi igienici dovuti ad una cottura non omogenea;
- la migrazione di sostanze tossiche contenute negli involucri all'interno dei cibi;
- un'alterazione anormale delle sostanze nutritive degli alimenti; - un'alterazione cancerosa del sangue in seguito al consumo di questi alimenti.
Nonostante il fatto che nei vari paesi siano stati stabiliti dei valori limite di esposizione alle microonde, nulla è stato fatto invece per ammonire l'utilizzatore sui possibili rischi evidenziati da questi studi. Questi valori limite infatti si riferiscono esclusivamente alle emissioni di microonde verso l'esterno del forno e non alla quantità di radiazioni cui sono sottoposti i cibi all'interno dei forni.
Gli effetti sul sangue
Lo studio più significativo sui rischi legati all'assunzione di cibi cotti a microonde rimane quello del professor Bernard Blanc dell'Università di Losanna e del dottor Hans U. Hertel, uno scienziato indipendente con una lunga esperienza nell'industria alimentare e farmaceutica. Nel 1989 Blanc e Hertel proposero alla Swiss Natural Fund, insieme all'Università di Losanna, una ricerca riguardante gli effetti sull’uomo del cibo cotto con microonde, ma fu rifiutata. La ricerca fu per questo ridimensionata e condotta con fondi privati.
Furono testati otto volontari, che per alcuni mesi seguirono una dieta macrobiotica e ai quali ogni 15 giorni vennero somministrati a stomaco vuoto, alimenti crudi, cotti con metodi convenzionali, scongelati o cotti in un forno a microonde.
Immediatamente prima dei pasti e poi 15 e 120 minuti dopo, avveniva prelevi di sangue.
E’ importante sottolineare che i volontari non erano a conoscenza del metodo di cottura del loro cibo e quindi è da escludere un condizionamento psicosomatico.
Come si può osservare nel grafici, le analisi rilevarono differenze significative tra gli effetti sul sangue del cibo cotto a microonde e quelli del cibo cotto con metodi convenzionale
In particolare venne riscontrata una riduzione significativa dell’emoglobina e una e un aumento dell’ematocrito, dei leucociti e del colesterolo. Inoltre, furono evidenziati alterazioni della membrana cellulare.
«I cibi cotti con microonde – si legge nello studio – paragonati a quelli non irradiati, causano cambiamenti nel sangue delle persone testate, tali da indicare l'inizio di un processo patologico, proprio come nel caso di un iniziale processo canceroso». Ricorrendo alla bioluminescenza è stato inoltre registrato il «passaggio per induzione dall’energia delle microonde dai cibi trattati al corpo umano»
Raramente una ricerca ha scatenato una simile bufera: il professor Blanc si dissociò quasi subito dalle conclusioni dello studio, temendo per la sicurezza della propria famiglia oltre che del suo posto di lavoro. Poco dopo la FEA , associazione dei rivenditori di elettrodomestici a Zurigo, denunciò il dottor Hertel, e il 19 marzo 1993 la Corte Cantonale di Berna gli vietò di divulgare le sue conclusioni, pena una sanzione di 5000 franchi svizzeri; verdetto successivamente ribadito dalla Corte federale a Losanna. Nel 1998, la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo riconobbe in questo verdetto una grave violazione della libertà di espressione e condannò la Svizzera a un risarcimento di 40.000 franchi (un riconoscimento irrisorio rispetto alle spese processuali e ai danni economici e professionali subiti da Hertel).
Da quel momento la Corte federale stabilì che Hertel poteva sì divulgare le proprie conclusioni, ma la condizione di dichiararle non scientificamente provate.
Da allora, un’inspiegabile cortina di silenzio è calata sulla questione dei forni a microonde. Come sempre, quando ci sono grandi interessi in ballo, la verità diventa difficilissima da trovare, sommersa com'è da fortissime pressioni che esercitano la loro influenza non solo sui mass media, ma soprattutto sul mondo scientifico e le istituzioni ad esso legate. Gli scienziati che hanno l'onestà intellettuale e il coraggio di scagliarsi contro questa logica si contano sulla punta delle dita e nella maggior parte dei casi vengono minacciati, denunciati, diffamati e perseguitati in ogni modo possibile, come dimostra la storia di Hertel. Ma finché queste persone avranno modo di parlare, noi avremo modo di ascoltare.
E di scegliere.
Cosa dice la ricerca
1973. P. Czerski e W. M. Leach (Usa) dimostrano che le microonde causano tumori negli animati.
1975. Studi su broccoli e carote cotti a microonde rilevano la deformazione detta struttura molecolare dei nutrienti
1987. Uno studio tedesco dimostra danni irreversibili all'occhio nel caso di una esposizione prolungata
Fìne anni '80. Uno studio della American National Council for radiation protection evidenzia che i figli di donne che usano forni a microonde hanno una maggiore probabilità di malformazioni.
1989. Secondo uno studio condotto a Vienna, cuocere a microonde causa cambiamenti significativi delle proteine del cibo, e in particolare nel latte per neonati
1990. All'Università di Leeds, si evidenzia che la cottura nei forni a microonde non è igienicamente sicura (5)
1992
- La ricerca di Blanc e Hertel, condotta con all’Università di Losanna, mostra un cambiamento significativo nel sangue delle persone che consumano cibo cotto con microonde - Uno studio condotto dal pediatra John A. Kerner dell'Università di Stanford in California, evidenzia che il riscaldamento del latte materno a microonde a più di 72 °C causa una sensibile diminuzione di tutti i fattori antiinfettivi testati
1993. David Bridgman, chinesiologo con molti anni di esperienza, dichiara che «il 99,9% dei miei pazienti con varie forme di allergie si mostra motto sensibile ai cibi cotti a microonde».
1994
- Una ricerca americana dimostra che l'uso di riscaldare avanzi di cibo nel forno a microonde è potenzialmente pericoloso in quanto la cottura non omogenea non garantisce protezione dall’insorgere di salmonella
- Ricerche diverse mostrano che nel latte per neonati riscaldato a microonde si possono modificare degli aminoacidi, causando in tal modo tossicità o un’alterazione del valore nutrizionale
1996. Una ricerca evidenzia la migrazione di particelle di pvc dagli involucri, utilizzati per coprire il cibo durante la cottura con il microonde, al cibo stesso.
2000. La University of California evidenziando la migrazione dagli involucri per microonde della sostanza cancerogena dietilexiladepate in una quantità compresa tra i 200 e 500 ppm (il limite della FDA è di 0.05 ppm). Tra le sostanze migrate vengono individuate anche xenoestrogeni, sostanze legate a diminuzione di spermatozoi negli uomini e tumore al seno nelle donne.

Nicholas Bawtree

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25 settembre 2006

Quando la verità è celata dai vigliacchi



Fucili, 1.265.660; mitragliatrici, 38.383; pezzi d'artiglieria di vario calibro, 9.988; carri armati, 970; automezzi, 15.500; Aerei (compresi quelli in riparazione), 4.553; Torpediniere e Cacciatorpediniere, 10; Naviglio minore, 51 unità; Vestiario per numero di capi, 500.000; Cavalli e Muli, 67.600; carburante per veicoli a motore, metri cubi 123.114.

Si tratta di un inventario parziale e riguardante le voci principali. Si devono aggiungere tutte le armi, i mezzi, le munizioni gli equipaggiamenti "recuperati" dalle 51 Divisioni "sicuramente" disarmate e dalle 29 "probabilmente disarmate", come recita il "Rapporto del Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht" generale Alfred Jodl.Il Comando Superiore del Sud (d'Italia) germanico segnalò tra i materiali di preda bellica 40.000 tonnellate di munizioni, 13.400 tonnellate di esplosivi, 24.500 tonnellate di materiali del genio, 50.000 tonnellate di apparati vari, 2.500 metri cubi di lubrificanti per motori, 12.119 tonnellate di prodotti chimici, 1.600 tonnellate di metalli non ferrosi oltre a svariate migliaia di tonnellate di materiali sanitari, vestiari, viveri, pellami. E questi dati non rientravano in quelli relativi ai materiali in seguito rinvenuti nei magazzini e in vari depositi delle forze armate italiane, sempre nell'area di competenza del Comando Superiore del Sud. Per avere una idea della massa enorme di materiali che vennero inviati al nord sino al 10 novembre 1943 dal Comando germanico sopra indicato, si consideri che vennero utilizzati 12.034 carri ferroviari e che altri trasporti vennero avviati su strada. Cifra che alla fine di novembre, segnalano i documenti ufficiali tedeschi, venne quasi triplicata.
Il comando Gruppo di Armate germaniche in Italia, segnalò inoltre il reperimento dei seguenti materiali bellici, da aggiungersi a quelli sopra indicati: 55.409 colpi per i vari pezzi di artiglieria, 64.897 bombe per mortai, 3.659.275 colpi per armi portatili e mitragliatrici, 17.735 bombe a mano, 5 tonnellate di mine. Da parte sua la 1^ Divisione da montagna tedesca comunicò di aver catturato, prima dell'attacco a Corfù, 154 pezzi di artiglieria, 750 mitragliatrici,98 mortai, 770 automezzi, 98.900 proietti per artiglierie. 170.000 le tonnellate di stazza lorda delle navi mercantili
prese agli italiani in Egeo.
Non sarà inutile dettagliare che nel totale dei materiali bellici di cui i tedeschi si impadronirono dopo il dissolvimento del regio esercito, vi furono 1.173 cannoni controcarro, 1.581 pezzi contraerei, ben 8.736 mortai, 333.069.000 sigari e sigarette, 672.000 giubbe a vento, 783.000 farsetti a maglia, 592.100 paia dì pantaloni, 2.064.100 camicie, 3.388.200 paia di scarpe, 5.251.500 paia di calze. E, ancora, 14.000 treni di pneumatici, 140.000 rotoli di filo spinato, etc. Il tutto in depositi e magazzini. Nel totale delle mitragliatrici italiane di preda bellica, i tedeschi ne rinvennero più di diecimila nuove, ben disposte nei depositi.La "questione" dei mezzi, dei materiali delle munizioni, degli equipaggiamenti e via dicendo, ha rappresentato nella "letteratura" del dopoguerra il cavallo di battaglia di quanti vennero incaricati di costruire i falsi diffusi a piene mani in un'orgia di disinformazione, distorsione, mistificazione a tutt'oggi in servizio permanente attivo. Le cifre di cui sopra (non elencate nella loro totalità per mancanza di spazio) sono tratte da documenti ufficiali tedeschi rinvenuti dagli alleati dopo l'invasione del territorio germanico e la fine della guerra. Per avere una immagine ancor più eloquente di quello che "non fu fatto" si consideri quanto segue: le industrie italiane ricevettero commesse dall'Alto Comando germanico. Ebbene, dal settembre 1943 alla fine di giugno del 1944 (in otto mesi) tali industrie consegnarono ai germanici 12.000 autocarri, 375 carri armati, 2.200 motori per aerei, 130 velivoli da trasporto, 402 velivoli da caccia, 41 navi da guerra per complessive 20.000 tonnellate di dislocamento, 12 mercantili per 9.000 tonnellate di stazza lorda. Dai documenti tedeschi si apprende che tra le commesse affidate alle industrie italiane, furono di particolare importanza tecnologica quelle assegnate alle industrie elettroniche.
Per concludere questa amara e al tempo stesso umiliante rassegna di dati, si tenga presente che i tedeschi dopo l'8 Settembre 1943 disarmarono 1.007.000 soldati italiani. Quelli internati furono circa 725.000. Cifre certamente non esatte all'unità, ma che configurano lo scenario di una tragedia immane e forniscono la misura del tradimento e al tempo stesso del successo ottenuto, senza combattere, dagli alleati grazie alla congiura dei generali e di quanti li affiancarono.
Per chiudere queste note, ancora due argomenti, non senza sottolineare che l'analisi storica sull'intera vicenda deve ancora essere affrontata e svelata nella sua interezza. E che solo tale analisi potrà rimuovere la crosta di menzogne che soffoca da oltre mezzo secolo la verità. L'8 Settembre è stato il risultato di un cumulo di vicende, tra cui - in primo piano - l'inadeguata, fraudolenta condotta strategica, logistica, delle operazioni militari. Le cifre di cui sopra confermano che i mezzi c'erano, i materiali pure, le potenzialità industriali anche. In realtà le posizioni chiave negli alti comandi erano ricoperte da generali e ammiragli che non vollero combattere e che con tale orientamento - e con le intese con il nemico - determinarono la disfatta.
Gli Alleati, segnatamente gli americani, condussero il negoziato segreto sulla base di quello che un giornalista statunitense, David Brown, definì in un suo articolo sul settimanale "Crusader", un "gigantesco bluff". Sinteticamente: gli alleati nel settembre 1943 non avevano in Mediterraneo che misere 14 Divisioni, di cui soltanto sei, diconsi sei, impiegabili per "future operazioni".

Senza contare quelle germaniche, il regio esercito ne aveva schierate, nel territorio peninsulare, ben 26, di cui più della metà di pronto impiego. E questo, si ripete, senza considerare le forze tedesche presenti e quelle in rinforzo. E' vero che gli alleati avevano la superiorità aerea, ma non si deve dimenticare che la penisola venne conquistata combattendo per venti mesi a terra e dopo una "sosta" forzata (con rilevantissime perdite) di oltre sei mesi tra Monte Lungo, San Pietro Infine, Cassino. E contro le truppe della Rsi e della Wehrmacht.
A Salerno il 9 settembre, presero terra solo quattro divisioni anglo-americane e mancò poco che fossero ricacciate in mare. L'ordine di reimbarco era già stato diramato.

Cosa sarebbe accaduto se a fianco dei tedeschi vi fossero state altre tra le Divisioni italiane dotate di "elevato spirito combattivo"? E quale sarebbe potuto essere l'esito di quello sbarco denominato "Avalanche" se la Flotta italiana fosse intervenuta con le corazzate "Vittorio Veneto", "Littorio" (nome mutato in "Italia" dopo '8 settembre) e la nuovissima nave da battaglia "Roma" e con le loro scorte di incrociatori e caccia? Il rischio che gli alleati corsero ed evitarono solo per la codardia e la pusillanimità di Badoglio lo sottolinea ancora il giornalista americano David Brown.

In quelle cruciali ore in cui Badoglio dopo aver dichiarato che la guerra continuava a fianco dei tedeschi (ai quali erano stati addirittura richieste divisioni di rinforzo per bloccare l'invasione dei nemici anglo-americani), in preda al panico nel timore di essere catturato dai tedeschi, e quando ancora la resa non era stata firmata, faceva sapere agli americani, tramite il generale Castellano, che la precondizione per la firma doveva essere lo sbarco di almeno quindici divisioni alleate, in massima parte tra Civitavecchia e La Spezia, gli Alleati temettero che il loro bluff fosse stato scoperto. Per loro sarebbe stato un disastro di proporzioni gigantesche. David Brown ha scritto: "Per cambiare le sorti di tutto bastava che Badoglio facesse dire: ". E si aggiunga che nel settembre 1943 gli alleati difettavano di portaerei.

L'obiettivo strategico degli alleati, quindi, era la neutralizzazione delle forze armate italiane. Senza tale risultato, senza ha proclamazione dell'armistizio da parte del governo italiano, lo sbarco di Salerno non sarebbe avvenuto alle ore 04.00 del 9 settembre 1943.
Le seicento navi di vario tipo (da mercantili a motozattere, da corazzate a cannoniere) si erano mosse da vari porti, Orano, Algeri, Biserta, Tripoli, Palermo e Termini Imerese. Poco dopo il tramonto dell'8 settembre si riunirono in una zona di mare circa 50 miglia o ovest della zona Salerno-Paestum. Il 9 mattino alle ore 04.00 cominciarono gli sbarchi.
Il giorno 7 i sedici convogli su cui era suddivisa la forza d'attacco vennero sorvolati e localizzati da ricognitori italiani, ma non furono attaccati. L'attacco venne invece portato dopo le 23 di quel giorno da velivoli tedeschi che colarono a picco due mezzi da sbarco. Fra le 20.00 e le 24.00 dell'8 settembre intervennero anche aerosiluranti tedeschi e italiani. Ma ai dodici aerosiluranti italiani venne ordinato di rientrare alle loro basi non appena il generale Santoro, sottocapo di stato maggiore della regia aeronautica, venne a conoscenza della notizia dell'armistizio diramata dalla radio alleata di Algeri e ne ebbe conferma dal comando supremo italiano.
Così le forze armate italiane conclusero la guerra.
Per anni ci hanno propinato la solita storia che l'armistizio è stato firmato perchè non avevamo mezzi idonei per salvare l'Italia dall'invasione degli alleati, balle...
L'ESERCITO, LA MARINA E L'AViaZIONE hanno causato la caduta del fascismo, perchè ai posti guida di queste armi i capi erano per lo più monarchici e filoinglesi.

Jacopo Barbarito

23 settembre 2006

Sigarette: aumenta anche la nicotina


Tutte le marche di tabacco esistenti al mondo hanno aumentato il dosaggio di nicotina presente all’interno di ogni singola sigaretta.

Stiamo parlando del 10% in più rispetto a sei anni fa.

I problemi derivanti da quella che sembra essere una percentuale tuttavia iniqua, possono diventare pericolosi: una così alta presenza di nicotina è di difficile eliminazione dal corpo, con conseguente aumento di rischi tumorali.

Perché è successa una cosa simile? Semplicemente perché le società produttrici di sigarette hanno tutto l’interesse a rendere più “drogati” i propri clienti. Ecco spiegato perché alcune marche superano rispetto a sei anni fa i dosaggi anche del 20%, con punte del 60%.

22 settembre 2006

Made in Danimarca la felicità


Uno studio condotto in 178 paesi da Adrian White, uno scienziato britannico dell'università di Leicester, ha assegnato ai concittadini di Amleto la palma di popolo più felice del mondo davanti a svizzeri, austriaci, islandesi, abitanti delle Bahamas e poi finlandesi e svedesi. Gli italiani sono al cinquantesimo posto, ampiamente preceduti da americani (23) e tedeschi (35), ma davanti a francesi (62) e giapponesi (90).

Lo studio ha risultati molto diversi da quello analogo pubblicato recentemente della londinese «New Economics Foundation», secondo il quale i più felici al mondo sarebbero gli abitanti del minuscolo Stato del Pacifico di Vaunatu, che adesso si ritrovano invece solo al 24.mo posto. La discrepanza è dovuta al fatto che gli studiosi londinesi avevano inserito nelle loro valutazioni, oltre a parametri come l'aspettativa di vita e la sensazione soggettiva di felicità, anche l'uso delle risorse naturali e questo aveva penalizzato le nazioni più industrializzate come la Danimarca, che era solo al 99.mo posto.

Per il nuovo studio, invece, tra i dati fondamentali per essere felici figurano un'ottima assistenza sanitaria, il benessere economico e l'istruzione. «Questo studio ha spazzato via l'idea che il capitalismo getti la gente nell'infelicità», ha dichiarato il professor White, secondo il quale ciò che conta è che funzioni bene. Nel commentare il primato raggiunto dalla Danimarca nella classifica dei paesi più felici, l'ambasciatore danese a Londra Svend Olling ha spiegato che «per la sensazione di felicità dei danesi è sicuramente importante il fatto che ci esistono differenze minime tra ricchi e poveri».

A contendere ai paesi africani le posizione di coda della classifica dove la gente è più infelice, come il Burundi (178), lo Zimbabwe (177) ed il Congo (176), figurano i più poveri paesi dell'est europeo, come la Moldova (175), l'Ucraina (174), l'Armenia (172) e la Georgia (169).
fonte corriere.it

21 settembre 2006

Moggi su Libero


La giornata di ieri è da segnare sul calendario della storia del
giornalismo. Nello stesso giorno Luciano Moggi ha iniziato la sua
collaborazione con "Libero" e il senatore Dl Antonio Polito al
"Foglio". Temiamo che il primo evento oscurerà il secondo,
purtroppo confinato da Ferrara a pagina 2, senza nemmeno lo straccio di
una foto dell'omino Bialetti. Ma l'apporto di entrambi i pensatori
non potrà che giovare al giornalismo e alla Nazione. Per il Polito
Margherito, "Il Foglio" è l'ultima tappa di un lungo
pellegrinaggio dal Pci a Berlusconi, sulle orme di Ferrara, Bondi, Foa
junior e Adornato. Il quale, anni fa, sorprese tutti con un libro
intitolato "Oltre la sinistra", che faceva pensare a una svolta
radicale: invece, oltre la sinistra, Nando aveva trovato il Cavaliere.
Così il Polito delle Libertà, che da comunista divenne blairiano
(soprattutto per la pipa), fondò "Il Riformista" purtroppo
boicottato dai lettori, poi lo lasciò per fare il senatore della
Margherita all'insaputa dei suoi elettori, poi litigò col successore
Paolo Franchi, poi lasciò "Il Riformista" senza che i lettori se
ne accorgessero, poi traslocò a "Europa" senza che i lettori se ne
accorgessero, e ora approda finalmente al giornale di Largo Corsia dei
Servi, che sembra proprio il posto suo.

Lucianone invece è appena agli inizi. La sua conversione al
giornalismo televisivo (su Antenna3) e stampato (su Libero) alla
giovine età di 70 anni è dovuta a indubbi meriti penali, che
potrebbero pure spalancargli un radioso futuro in politica: infatti è
stato squalificato dalla giustizia sportiva perché si sceglieva gli
arbitri e truccava i campionati e, per le stesse ragioni, è indagato
per associazione a delinquere dalla Procura di Napoli. Più che
naturale che, con un simile pedigree, trovasse un posto in prima pagina
su "Libero", che vanta anche un vicedirettore indagato per
favoreggiamento in sequestro di persona (il leggendario Renato Farina)
e una serie di collaboratori con un discreto curriculum (dall'avv.
Taormina, indagato per le false impronte a Cogne, a Gianni De Michelis,
pluripregiudicato per Tangentopoli). Più che un quotidiano, pare una
comunità di recupero. Dev'essere per questo che, pur non
rappresentando alcun gruppo parlamentare, incassa ogni anno svariati
miliardi di finanziamento per l'editoria di partito: è un servizio
sociale che aiuta i devianti a reinserirsi. E scopre pure nuovi
talenti, perché Moggi, con la penna in mano, è anche meglio di quando
maneggiava fischietti e orologi. «Mi corre l'obbligo di ringraziare
Feltri», «le mie non saranno sentenze ma soltanto un'attenta
disamina dei valori che già ci sono», «Pizarro è la ciliegina sulla
torta», «Berlusconi, Galliani e Braida non si discutono», «il Milan
è l'avversario principe», mentre Lazio e Fiorentina devono darsi un
«obiettivo principe: quello di non retrocedere», nel qual caso
«avranno possibilità di salvezza».

Chi l'avrebbe mai detto? Guarda un po', alle volte, cosa
t'inventa un genio del pallone: per salvarsi bisogna porsi
l'obiettivo (principe) di non retrocedere. Poi dicono che il calcio
non ha più bisogno di Moggi. Per ulteriori delucidazioni - informa
Feltri - «i lettori di "Libero" potranno interagire con Moggi
inviando direttamente domande all'indirizzo mail
luciano.moggi@libero-news.it». Un'opportunità da non sprecare,
anche per i lettori dell'Unità: scrivetegli tutto quel che pensate
di lui e della sua abitudine, purtroppo interrotta sul più bello, di
pilotare gli arbitraggi e taroccare le partite.

Di arbitri comunque parla lui stesso, in coda al suo articolo: «Gli
arbitri lasciateli lavorare, andare sereni sul terreno di gioco. Sono
semplici uomini e possono sbagliare: questo è il bello e il brutto del
calcio». Ecco, questo è importante. Se, Dio non voglia, foste tentati
di prendere un arbitro che non vi ha dato un rigore inesistente e di
chiuderlo nello spogliatoio, vergognatevi e arrossite: ma chi vi
credete di essere?

PS. Avvertenza per gli arbitri rimasti eventualmente chiusi nello
spogliatoio: scrivete a luciano.moggi@libero-news.it, le chiavi le ha
sempre lui.
di Marco Travaglio