30 giugno 2007

Il mio frantoio




L'Azienda nasce dall'esperienza pluriennale della Famiglia Nardone che ha sempre dedicato le proprie energie in questo specifico settore sin dal 1860, e la nuova generazione è entrata attivamente nella gestione dell'azienda.
Affiancato dal padre Pasquale e mamma Fiorina il figlio Leonardo ha scelto di organizzare e sviluppare il settore commerciale.
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Nel binomio alimentazione e salute c’è un rinnovato interesse a sottolineare il vecchio detto che “ a tavola non si invecchia”.
La buona tavola indica nell’olio un condimento essenziale e, parlare dell’olio, è come parlare della storia dell’umanità, in particolare della vita dei popoli del Mediterraneo. Olive ed olio hanno infatti da sempre costituito una delle basi alimentari delle nostre genti. La bontà di questo condimento risiede nel fatto che, a differenza di altri grassi vegetali o animali, è costituita in larga misura da acido linoleico polinsaturo e oleico monoinsaturo. Questi, se ingerite in giuste quantità, proteggono da patologie coronariche e dall’arteriosclerosi. Infatti, essi sono responsabili dell’aumento delle Lipoproteine HDL, il cosiddetto “colesterolo buono” che funge da spazzino del colesterolo e di conseguenza diminuisce il contenuto del “colesterolo cattivo”LDL. L’olio di oliva, inoltre contiene la vitamina A,B ed E considerate essenziali nella crescita ed utili per la resistenza alle infezioni. Sin dall’antichità, accanto all’aspetto sacrale , all’olio di oliva fu riconosciuto un grande valore terapeutico. Si dice che l’Abruzzo è stata sempre la terra FORTE E GENTILE, ma forse non tutti sanno che esiste una coltivazione esclusiva di ulivo chiamata Gentile di Chieti, che non si sviluppa in altre zone. Tale pianta, che qui cresce da millenni, si è adattata perfettamente all’ambiente collinare e marino creando un prodotto unico. La cura dell’ulivo si svolge secondo antiche tradizioni. La raccolta avviene tramite mungitura per rispettatre l’integrità sia della painta che del frutto. La trasformazione in olio è quella collaudata da generazioni, eseguita sin dagli albori della storia, frangitura con molazze in granito e gramolatura, estrazione rigorosamente a pressione, ed infine chiarificazione mediante il solo travaso.

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La varietà di olive nel chietino sono: leccino, cucco,moraiolo, ma quelle da cui nasce in prevalenza l'olio imbottigliato dall'Antico Frantoio della Marina è il "Gentile di Chieti", pianta tipica della provincia, pressoché assente nelle altre regioni di resa non abbondante ma, di qualità eccellente.

Luogo di Produzione, chiarificazione ed imbottigliamento:
Oleificio: Via Adriatica Nord, 88
66035 Marina di S.Vito Chietino (Ch)
Tel. 0872/618492-61130
Email Frantoiodellamarina@email.it








27 giugno 2007

Gianni Letta: 007 GOLDMAN


Solo lo Stato ha il diritto di stampare moneta. Abdicando a tale diritto, lo Stato diventa servitore e i suoi amministratori servi di chi tale diritto ha usurpato, cioè i banchieri.

C’è di che rallegrarsi: Gianni Letta, il “Richelieu della politica italiana”, il paziente e fine tessitore nell’ombra delle più grandi operazioni diplomatiche trasversali degli ultimi lustri, finalmente ha fatto una scelta di campo: è entrato a far parte della esclusiva cerchia del potere finanziario, diventando membro dell’advisory board della banca d’affari straniera più presente in Italia: la Goldman-Sachs.

Leggo di questa investitura su La Stampa del 19 giugno, che riporta in toni trionfalistici particolari che, dalla mia ottica, appaiono invece come uno scandalo in più (tanto, sfogliando la stessa Stampa, se ne scopre uno per pagina). Si elogia la G-S come scuderia di talenti, che, attraverso una “porta girevole”, garantisce l’accesso alle più alte cariche dello Stato italiano. Niente di male, anzi, se a tale compito sopperisse una prestigiosa università; ma la G-S è tutto tranne che questo: è una fucina in cui si temprano dirigenti orientati verso la massimizzazione dei profitti, a vantaggio della G-S stessa. Del tutto naturale, vista la natura prettamente privatistica della G-S; la quale però è anche comproprietaria dell’altrettanto privata Federal Reserve americana, unione di banche private americane (già elencate in mio precedente articolo) che “prestano” al Governo USA i dollari di cui quest’ultimo dispone, che tutti credono pubblici, mentre sono in realtà molto privati.

In questa fucina global, può esserci spazio per gli interessi del popolo italiano? Io penso di no, a giudicare dal tentativo, da parte di G-S, recentemente scoperto dall’Agenzia delle Entrate di Pescara, competente in questo campo, di scippare € 200 milioni in rimborsi fasulli (assieme ad altri € 400 milioni da parte di altre banche d’affari sempre facenti parte del cartello che possiede la Federal Reserve). In effetti, queste banche d’affari, gli affari sanno farli, eccome, ma a proprio esclusivo vantaggio, e non precisamente trasparenti. E Letta non è il solo board advisor della G-S: un altro è Mario Monti, ex-commissario europeo all’anti-trust; altri sono stati, in anni recenti, Romano Prodi, Massimo Tononi, vice-ministro alle Finanze, Mario Draghi (vice-presidente e responsabile per l’Europa nel periodo della suddetta truffa) e oggi governatore di Bankitalia. E, uscendo dall’Italia, lo sono o sono stati l’ex-presidente della Banca Mondiale Paul Wolfowitz (ex vice-ministro del Tesoro USA), il suo successore Robert B. Zoellick, il ministro del Tesoro USA Henry Paulson. Insomma, una girandola di personaggi che passano con estrema disinvoltura da cariche private a pubbliche e viceversa. Con quale riguardo per l’interesse collettivo lo lascio immaginare a chi mi legge.

La Stampa riserva un trafiletto alle “magnifiche sorti e progressive” di G-S e degli uomini d’oro che hanno la fortuna di accedervi. Il trafiletto è intitolato “Tempio d’affari”, e in effetti la banca è d’affari non solo di nome: “ha chiuso il 2° trimestre con utili a $ 2,33 miliardi, su un fatturato di € 10,1 miliardi… La sua quotazione in borsa è di € 234, con una crescita del 4% nel trimestre.” Quale attività, lecita, può sfoggiare un così aureo passato e rosee prospettive per l’avvenire?

La risposta è: nessuna. Ma l’essere comproprietari della Federal Reserve significa godere dei lauti dividendi che loro competono per gli interessi sul “debito” del governo USA nei confronti della Fed stessa per la stampa di tutti i dollari circolanti (circa il contributo degli affari italiani alla composizione del “gruzzolo” non sono noti i dettagli). D’altronde, anche essere comproprietari della BCE tramite Bankitalia comporta dividere gli analoghi interessi che la BCE accolla a tutti gli Stati dell’eurozona per il privilegio di acquistare le sue variopinte banconote. Se, nonostante io batta su questo tasto da mesi, il meccanismo fosse ancora oscuro a qualcuno (anche se nessuno mai scrive a Trucioli per avere spiegazioni su un meccanismo così perverso, quasi in un processo di rimozione collettiva), cerco di spiegarlo meglio con una sorta di
Parabola

Un secolo dopo la fine del diluvio universale, alcune tribù si trovano a produrre merci diverse, in conformità alla natura dei diversi territori in cui sono insediate. Iniziano a scambiarsi merci varie, onde coprire l’arco dei rispettivi bisogni esistenziali. Si instaura così un’epoca di baratto.
Alla lunga però risulta oltremodo scomodo lo scambio di merci così eterogenee tra loro, e il calcolo dei rapporti di valore complica le operazioni. Un giorno, le tribù si riuniscono e decidono di usare come base di scambio un unico prodotto, disponibile a tutti e di comune necessità: il sale. Ciascuna tribù impiega il medesimo lavoro umano e strumentale per procurarselo, e così la proposta viene approvata all’unanimità. C’è addirittura chi, in seguito, si dedica alla sola estrazione del sale, usandolo come merce di scambio per pagare l’acquisto di altri prodotti, in un rapporto comunque proporzionale al tempo di lavoro speso per procurarsi il sale o qualsiasi altra merce. Qualora fossero in troppi a dedicarsi all’estrazione del sale rispetto alle necessità generali, ciò ne provocherebbe un eccesso, quindi una sua minor richiesta, quindi un suo minor rapporto di valore con le altre merci. Il mercato fungerebbe così da equilibratore e calmiere del suo prezzo. (Si noti che il sale ha veramente funto da “moneta” nell’antichità).

Tutto procede regolarmente finché un giorno una tribù scopre nel suo territorio l’oro e propone di adottarlo come valore di riferimento, anche in considerazione del fatto che non è deperibile né consumabile (come il sale), occupa un infimo spazio e quindi ben si presta alla circolazione e ad una più sicura custodia; insomma è ideale per il conio in monete. Se ne fissa il valore in base alla rarità e ai costi di estrazione e si ripete qui lo stesso processo virtuoso prima descritto per il sale. Un giorno, per rendere gli scambi ancora più maneggevoli, la tribù con la miniera aurea propone di mettere in circolazione delle ricevute cartacee, rispecchianti il valore di un’unità di peso d’oro: si decide di fissarla in un’oncia. I foglietti sono garantiti dal deposito, in un forziere, di un ammontare di monete, o lingotti, esattamente corrispondenti al totale delle note cartacee circolanti. Le altre tribù hanno il diritto di verificarne la corrispondenza fisica nel forziere in qualsiasi momento.

L’accordo tra tribù è che si monetizzi nuovo oro soltanto in proporzione alla nuova ricchezza prodotta, né un’oncia di più, né un’oncia di meno: insomma, l’oro che va ad aggiungersi nel forziere a garanzia delle nuove (banco)note emesse deve essere equipollente alla crescita della produzione; in caso contrario, si instaurerebbero fenomeni di inflazione o deflazione. In questa situazione le (banco)note non sono propriamente di nessuno, in quanto riflettono sia l’oro che giace a garanzia nei forzieri sia la quota di credito di ciascun cittadino nei confronti della ricchezza nazionale, in quanto frutto del suo lavoro: sono due crediti opposti che si elidono a vicenda e le note cartacee non ne sono che una memoria contabile.
Passano i secoli, popolazione e produzione crescono, e qualcuno nella tribù “aurea” si accorge che le varie tribù difficilmente possono avere una visione complessiva delle banconote in circolo, e decidono di stamparne un po’ più del dovuto; poi ancora di più, poi in maniera tale che la quantità di oro che dovrebbe giacere nel forziere è enormemente inferiore al valore nominale delle banconote circolanti. Cominciano a determinarsi fenomeni inflattivi, anche perché molti si danno a prestare denaro a interesse, il che significa che quest’ultimo richiede l’emissione di danaro in più rispetto a quello circolante, senza corrispettiva crescita della produzione: è pura rendita parassitaria. La tribù aurea, grazie ai soldi fasulli messi in giro, si era cautelativamente dotata di un apparato militare formidabile, ed ora è quindi in grado di intimorire qualunque tribù osi alzare la cresta, al sentore della truffa, e chieda di verificare la congruità delle banconote coi lingotti. Le banconote circolanti, pressoché prive di riserva aurea a garanzia, cessano ipso facto di essere anche proprietà della tribù “aurea” e diventano di esclusiva proprietà della cittadinanza: proprietà che le viene invece negata con la forza.
Mettete gli uomini d’oro (goldmen) al posto della Goldman-Sachs e di tutte le banche d’affari americane, più le banche centrali, europea, giapponese e via dicendo, tutte private e possedute dalle banche commerciali dei rispettivi Paesi, e la parabola si traduce nella situazione odierna: chi osa ribellarsi e non accetta di riconoscere come moneta di suo debito una moneta che in realtà è un suo credito, quel qualcuno rischia la galera, se privato; e l’invasione di forze armate della tribù aurea (gli USA) sul proprio suolo se si tratta di una nazione (vedi Iraq, prima, e in prospettiva l’Iran, oggi), che non vuole più starci a considerare il dollaro come oro colato (che non lo sia affatto, e in misura crescente a partire dal 1971, quando Nixon abrogò d’imperio la convertibilità dei dollari in oro, lo conferma la mancata pubblicazione da parte della Fed della massa monetaria di nuova emissione, a partire dal marzo 2006); mentre alle nazioni povere, gravate di interessi schiaccianti non resta che la resistenza armata e partigiana, definita dalle nazioni rapinanti “terrorismo”.
Il denaro circolante, quindi, riflette e incorpora tutte le fatiche sopportate dai cittadini per produrre la ricchezza della nazione. Non solo: riflette anche lo stupro che l’estrazione di materie prime e la coltivazione dei prodotti agricoli, nonché le loro successive trasformazioni, producono sull’ ambiente, ossia un bene comune, il cui utilizzo giova alla comunità se fatto secondo processi reversibili, e alla voracità di banche e loro emanazioni industriali in caso contrario. Il denaro quindi è nostro, di noi cittadini che lo usiamo in sostituzione di un baratto, oggi impensabile, ma che aiuta a rendere l’idea della proprietà delle merci scambiate e delle banconote che delle prime non sono che una convenzionale rappresentanza; e che tutto sono, tranne che di proprietà di chi le stampa e che pretende di “prestarcele” con l’aggiunta, su un prestito inesistente, di interessi comunque usurari. Pertento, solo lo Stato ha il diritto di stampare moneta (un diritto oggi arbitrariamente limitato al conio delle monete metalliche, che lo Stato, prono ai voleri dei banchieri, supinamente accetta!). Abdicando a tale diritto, lo Stato diventa servitore e i suoi amministratori servi di chi tale diritto ha usurpato, cioè i banchieri.
Ora, che un uomo con le responsabilità pubbliche che ha avuto e che continuerà ad avere, come Gianni Letta, diventi anche consulente dorato di una banca d’affari, così come lo sono stati l’attuale presidente del Consiglio Prodi e quant’altri intorno a lui, non è motivo di tripudio per i normali cittadini, proprietari di una moneta che queste banche d’affari pretendono essere loro, lucrandoci sopra quegli utili astronomici che più sopra ho evidenziato. E’ anzi motivo di profonda inquietudine, rabbia, tristezza, ripulsa.

Marco Giacinto Pellifroni

21 giugno 2007

La democrazia?


La "nostra" democrazia vista da un fan del sito di beppegrillo. Il comico della politica italiana.
"I partiti non fanno più politica. I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi.
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente... Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
Molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano.
I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della Nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l’operato delle istituzioni.
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
Il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità.
Quando si chiedono sacrifici al Paese e si comincia con il chiederli ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire."
fonte beppegrillo.it

17 giugno 2007

Elettricità senza fili: Tesla docet


Questa volta un gruppo di ricercatori del Mit sembra proprio aver fatto il colpo grosso. Non solo, e non tanto, per aver pubblicamente mostrato, venerdì scorso, la trasmissione di energia elettrica senza fili tra due bobine in rame alla distanza di due metri. Quanto, e soprattutto, per la dimostrazione sperimentale della teoria sottostante, semplice e in accordo con tutte le leggi della fisica. E inspiegabilmente mai indagata da decenni.

Il segreto della lampadina da 60 watt accesa dalla bobina ricevente nel laboratorio del Mit sta infatti in una sola parola: risonanza. Un fenomeno antico come il mondo, in cui due corpi, vibranti alla stessa frequenza, stabiliscono tra sè condizioni ottimali per un rapido e massiccio trasferimento di energia. Esempio classico è il tavolo pieno di bicchieri di cristallo con vino a diversi livelli, ciascuno emette un suono diverso se toccato da un cucchiaio. E se nella stanza un cantante emette la nota giusta uno solo di loro esplode. Perché, in risonanza su quella frequenza, si carica energia acustica emessa dalla voce, fino a provocare la rottura. Ma questo fenomeno può valere non solo nell'acustica, ma altresì nella meccanica e nell'elettromagnetismo.

Questa l'intuizione di Marin Soljacic, il fisico del Mit che per primo ha puntato sulla risonanza magnetica come chiave per la trasmissione di energia. In pratica due bobine in rame magneticamente sincronizzate su 10 megahertz che fondono i propri campi magnetici nei due metri che le separano, e, tramite queste fanno passare "code" di energia, pari al 40% di quella emessa da una delle due bobine. Risultato: abbastanza in ricezione per illuminare la lampada da 60 watt. Ovvero: corrente sufficiente anche per ricaricare la batteria di un notebook.

Il tutto con una soluzione non pericolosa. Il campo magnetico accoppiato non è nocivo per gli esseri umani, nè le correnti, a bassa frequenza, avvertibili o dannose. In realtà, spiegano i ricercatori, le bobine risonanti creano un campo magnetico non irradiante attorno a sè, che tende a contenere l'energia non scambiata con l'altro magnete, senza disperderla nell'ambiente (come invece fanno le antenne dei telefonini). In questo modo un qualsiasi dispositivo elettrico del futuro dotato di un'antenna risonante calibrata sul punto di emissione "succhierà" l'energia necessaria, senza per questo saturare l'ambiente di cariche statiche.

Finora infatti alcuni tentativi di trasmissione elettrica senza fili si valevano di emissioni elettromagnetiche "libere", catturate da speciali (e complicatissimi) chip di "raccolta" di queste frequenze disordinate, spesso di rimbalzo dai muri della stanza. Il campo risonante del Mit, invece, fa da ponte all'energia anche in presenza di ostacoli metallici, o di persone tra le due bobine. Una scoperta semplice e fondamentale, insomma, con un'applicabilità pratica estremamente promettente. Al punto che il team bostoniano ha subito coniato per lei il termine WiTricity (wireless electricity). Candidato a un luminosa carriera.
Caravita

16 giugno 2007

Il nostro pane quotidiano


Nel mondo alla rovescia dell’industria alimentare – e non solo – gli aromi atificiali sono divenuti naturali. Se facciamo assaggiare una “merendina” ad un bambino di 4 anni ci dirà che è la più grandre prelibatezza del mondo. Il nonno del bambino, che di anni ne ha 77, non riuscirà neppure ad inghiottirla e ci chiederà che cos’è questa schifezza.
I nostri palati adulterati non riconoscono più i gusti autentici, veri, sanguigni, di verdure cresciute pazientemente al sole e polli razzolanti a terra e allevati a granaglie.
Che fare? Rieducare il gusto per rieducare i consumi.

Periodicamente emerge, come dal nulla, una campagna mediatica di vero terrorismo nei confronti di un qualche cibo o categoria di alimenti di grande consumo, sulla base dell’ennesimo scandalo scaturito dalla scoperta di pratiche di preparazione o di utilizzo di sostanze alimentari fraudolente o idiotamente contro natura.
In questi servizi, che i media disseminano nell’etere e sulle pagine dei giornali, è normale imbattersi in toni indignati, accuse ad aziende particolari, inviti al boicottaggio di questo o quel cibo, appelli di associazioni di consumatori per il rispetto della legge.
Tutto quello che invece pare scomparso è il comune umile buon senso e un minimo di memoria storica.
Non intendo dire che tutto il polverone sollevato ogni volta sia semplicemente terrorismo gratuito infondato. Magari lo fosse. Però se si pensa a quello che gli umani (perlomeno in Occidente) hanno accettato ormai da decenni come standard per la loro alimentazione, viene da indignarsi di fronte all’indignazione.
Carne infetta o con residui di ormoni e antibiotici, uova marce riciclate, spaghetti al piombo, metalli pesanti in moltissimi cibi confezionati, latte panna succhi di frutta e altre bevande con coloranti rilasciati dalle confezioni in cui sono impacchettati, zucchero biotech senza calorie di cui non si conoscono nemmeno gli effetti, frutta e verdura trattata con radiazioni e conservanti di dubbia salubrità, additivi vari (alcuni con sospetta azione cancerogena), “aromi naturali” (ricordate Orwell? «La guerra è pace», «La libertà è schiavitù» ecc. ossia trasponendo nel nostro caso specifico: «Gli aromi chimici sono naturali»), grassi e amidi sinteticamente modificati, acque in bottiglia che starebbero meglio in un vascone di decontaminazione. Tutti questi cibi sono solo la punta emergente di una pratica di preparazione degli alimenti onnipervasiva e che di salutare non ha più nulla. Non si dica però per favore che nessuno ne è al corrente o che nessuno non ne è ormai perfettamente cosciente. Non si gridi allo scandalo. Parlando con i nostri vicini, con gli avventori di un bar, con una qualsiasi persona che incontriamo in un qualsiasi luogo è normale sentire lanciare anatemi al sistema dell’industria alimentare in cui siamo inseriti e che ci “costringe” a consumare veleni tinti e additivati con le sostanze più accattivanti.

Deleghiamo e ci ammaliamo
Tutti lo sanno. Già. Ma pochi agiscono di conseguenza. Meglio lamentarsi e aspettare che qualcun altro risolva il problema. La pratica della delega si è ormai incancrenita a tal punto nel cittadino moderno, che al massimo egli riesce a pensare di fondare una nuova associazione/partito che si prenda cura del problema che gli sta a cuore, cui poi ovviamente delegare il problema stesso.
E poi volete mettere la comodità di fare spesa al supermercato! E il piacere di gustare tutte quelle prelibatezze colorate? Quello degli additivi è un business miliardario. Negli USA si spendono 4 miliardi di dollari l’anno solo per queste sostanze. Certo forse sono un po’ pericolose, del resto è il prezzo che si deve pagare per il progresso.
Un progresso che ha fatto in modo che quattro italiani su dieci abbiano sempre in tasca pillole medicinali per le proprie malattie ormai croniche o quasi. La prescrizioni di medicinali è in costante aumento da anni (5,5% in più nel 2004 rispetto al 2003). Un notevole giro d’affari, e si sa che l’economia che tira aumenta il benessere… di chi?

Non ingurgitare veleni: una scelta possibile
Invece di compiangersi e di rivolgere “accorati appelli” ai politici affinché risolvano la questione (il senso del comico è un aspetto inderogabile della vita), non sarebbe meglio pensare un pochino a come si può andare alla radice del problema?
Esso è nella maggior parte dei casi un problema di perdita di controllo sulla produzione e trasformazione degli alimenti.
Se devo acquistare del pane “elaborato”, come ad esempio quello al sesamo, mi costa supponiamo 3 euro al chilo e mangerò un pane di grano e sesamo cresciuti lungo qualche autostrada, additivati di parecchi “necessari” composti chimici per la lievitazione, grassi animali di dubbia salubrità, coloranti (perché no?), zucchero e qualche altro ingrediente top secret (ma lo sapremo alla prossima crociata mass mediatica).
Se mi compro la farina da qualche agricoltore biologico della mia zona, posso farmi il pane a 0,90-1,00 euro al chilo “additivandolo” di buon sesamo biologico tostato da me direttamente. Sì proprio da me. E se volessi pure farmi lo yogurt (Maurizio Pallante docet), la differenza di costo sarebbe ancora superiore, senza contare che mi “risparmierei” pure additivi come quelli che negli yogurt industriali tengono in sospensione i pezzetti di frutta, combattendo la gravità che tende a trascinarli sul fondo. Sicuramente dei buoni prodotti… E se volessi farmi un piccolo orto, una passata di pomodoro, una marmellata, una crema di nocciole, allevarmi due galline… non oso immaginare il guadagno in salute e denaro.
E solitamente qui l’obiezione è del tipo “ma come faccio a prepararmi in casa tutte queste cose se devo andare a lavorare per vivere?”. Già: lavorare per guadagnare soldi che mi permettono di comprare pane, yogurt e tutto il resto.
L’analisi, in un certo senso molto semplicistica e sicuramente non praticabile in toto, vuole essere un po’ provocatoria. Non se ne può più di geremiadi. In effetti un po’ di riflessione su come stiamo vivendo e su quello che ognuno di noi può fare in prima persona, per evitare i veleni dell’industria alimentare, e non solo, andrebbe fatta. Perlomeno smettiamola di piangerci addosso. Siamo sinceri: siamo davvero “costretti” a ingurgitare veleni? O siamo noi che abbiamo delegato la nostra salute e il nostro bisogno di alimentarci a manager che studiano come rifilarci l’ultima porzione di “arcobalenici” mix cremosi di non so cosa, che sembrano inventati apposta per la distruzione del nostro sistema immunitario?
Suvvia, nessuno invero ci obbliga alle regole dell’alimentazione di plastica. Chiedete ai vostri nonni, quando ancora erano anziani e saggi anziché vecchi e rimbambiti pronti per il ricovero. Luogo quest’ultimo dove ci sono dei menu veramente straordinari. Menu che assaggeremo appena avremo finito il nostro ciclo di decenni di lavoro per la gloria del progresso. Sempre ammesso che il pianeta regga.
Valerio Pignatta

15 giugno 2007

La Coca: la bevanda più potente del mondo


Lontana dall'essere la salutare bevanda pubblicizzata dai suoi partner sportivi, la Diet Coke è un preoccupante cocktail di agenti chimici neurotossici e potenzialmente cancerogeni.

La Diet Coke fu introdotta per la prima volta negli Stati Uniti nel luglio 1982 ed oggi è la quarta bevanda gassata più diffusa al mondo.

Oltre ad essere la prima bevanda al mondo scelta da chi teme lo zucchero, la Coca-Cola è uno dei più longevi 'partner aziendali' (dal 1974) della Fédération Internationale de Football Association (FIFA).
Nel 1998 la compagnia firmò un accordo di otto anni, privo di precedenti, per sponsorizzare gli eventi FIFA: non solo la prestigiosa Coppa del Mondo, ma anche la Coppa del Mondo Femminile, la Confederarions Cup, vari campionati giovanili e il prossimo World Cup Trophy Trip, un giro promozionale che porterà la FIFA World Cup Trophy in varie città del mondo.

Lo scorso anno la Coca-Cola ha esteso il suo accordo di sponsorizzazione fino al 2022, una mossa che ha portato all'assurda dichiarazione da parte del presidente e amministratore delegato della compagnia, E. Neville Isdell, che il nuovo impegno della Coca Cola con lo sport più famoso del mondo 'ci offre una nuova opportunità di riunire le persone grazie al calcio'.

Le aiuta anche a sgolarsi una bella quantità di lattine e bottiglie. Un recente studio dalla compagnia di informazioni sul marketing ACNeilsen ha rivelato che il marchio Coca-Cola è il leader mondiale tra le bevande, generando oltre 15 miliardi di dollari all'anno in vendite in tutto il mondo. La Coke e la Diet Coke generano ognuna oltre un miliardo di dollari all'anno in vendite.

Cinque paesi - Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Canada e Brasile - consumano più Diet Coke di chiunque altro nel mondo: l'alternativa salutare e senza zucchero alla Coca tradizionale.

Un marketing aggressivo come la sponsorizzazione della Fifa e brillanti jingle come 'Always Coca-Cola' mantengono la Coca Cola nella nostra consapevolezza, ma prima di 'agguantare una Coca e un sorriso' al grande evento di quest'anno, informatevi su cosa state mettendo nel vostro corpo. Nonostante la Diet Coke sia fortemente associata con lo sport e la salute, in realtà è una pericolosa miscela di dolcificanti ad alta intensità neurotossici e potenzialmente cancerogeni (aspartame e acesulfame K, acidi che distruggono i denti e le ossa (acido fosforico) e coloranti che danneggiano il DNA (caramello ammonio solfito), oltre che caffeina (la quale causa dipendenza psicologica) e altri 'aromi' non divulgati.

Essa contiene anche benzoato di sodio, che può essere ridotto al suddetto benzene cancerogeno alla presenza di acidi forti, come l'acido citrico trovato in questo prodotto.

I produttori di bevande gassate sono consapevoli di questa possibilità sinergistica dagli anni '90 ma, senza alcuna pressione da parte delle autorità di regolamentazione per cambiare la loro formula, in modo da prevenire la formazione di benzene, hanno continuato a mescolare benzoati e acidi.

Ironicamente, gli sciroppi di fruttosio usati nei soliti drink sembrano rallentare questa reazione, e la formazione di benzene pare più problematica nei drink dietetici.

INGREDIENTE: ASPARTAME
SCOPO: DOLCIFICANTE
EFFETTI COLLATERALI: Si converte facilmente con il calore e durante l'immagazinamento nei suoi componenti neurotossici, phenylalanine, acido aspartico e alcol metilico. Secondo la FDA, l'aspartame è associato con mal di testa, vertigini, perdita di equilibrio, balzi d'umore, nausea, perdita di memoria, debolezza muscolare, visione annebbiata, spossatezza, debolezza, eruzioni cutanee, dolore muscolo-scheletrico. (Per un rapporto completo sulla tossicità dell'aspartame, si veda The Ecologist, settembre 2005). Le prove più recenti dimostrano che l'aspartame ingerito ai livelli che vengono attualmente rilevati nel consumo quotidiano di drink leggeri aumenta il rischio di rari tumori celebrali noti come linfomi.

INGREDIENTE: ACESULFAME K
SCOPO: DOLCIFICANTE
EFFETTI COLLATERALI: Causa cancro negli animali. E' stato dimostrato che l'acetoacetamine, un prodotto di scarto, affligge la ghiandola tirroide di conigli, ratti e cani. Nonostante sia comunemente miscelata con l'aspartame per coprire il suo gusto amaro, non ci sono studi per dimostrar se la combinazione sia sicura o se produca altri sotto-prodotti tossici.

[E' sconfortante notare che una rivista chiamata The Ecologist si basa su quella crudele non-scienza chiamata vivisezione... ndt]

INGREDIENTE: ACIDO FOSFORICO
SCOPO: ACIDIFICANTE
EFFETTI COLLATERALI: Può contribuire all'erosione dello smalto dei danti; prosciuga il calcio dalle ossa. I bambini con un alto consumo di acido fosforico soffrono di decalcificazione e un maggiore rischio di fratture, che si portano dietro per tutta la vita. I bambini che consumano quotidianamente almeno sei bicchieri (1,5 litri) di acido fosforico contenuto in drink leggeri hanno un rischio cinque volte maggiore di sviluppare bassi livelli di calcio nel sangue rispetto ai bambini che non bevono bevande gassate.

INGREDIENTE: ACIDO CITRICO
SCOPO: CONSERVANTE, ACIDIFICANTE
EFFETTI COLLATERALI: Da solo è relativamente innocuo, sebbene possa erodere lo smalto dei denti. Quando viene miscelato con il potassio o il benzoato di sodio (vedi oltre) durante l'immagazinamento, e spercialmente ad elevate temperature, può contribuire alla formazione di benzene cancerogeno.

INGREDIENTE: CAFFEINA
SCOPO: AROMATIZZANTE
EFFETTI COLLATERALI: Composto stimolante psico-attivo che può provocare cambiamenti d'umore, letargia e mal di testa. La caffeina crea dipendenza e l'ingerimento di elevate quantità può causare aborto e contribuire ad ulcere peptiche e disturbi cardiaci. Ai livelli dei drink leggeri, la caffeina non aggiunge virtualmente alcun aroma ma, se consumata regolarmente, innesca la dipendenza da caffeina. Il consumo infantile di caffeina porta a maggiori incidenze di malessere, mal di testa, problemi del sonno e mancanza di ferro. Una bottiglia di 330ml di bevanda gassata contiene circa metà caffeina i una tazza di caffè.

INGREDIENTE: BENZOATO DI SODIO (E211)
SCOPO: CONSERVANTE
EFFETTI COLLATERALI: Persone che soffrono di asma, rinite od orticaria potrebbero vedere peggiorare i loro sintomi a seguito del consumo di benzoati. Nelle soluzioni acide (come le bevande gassose), i benzoati possono convertirsi in benzene, un noto cancerogeno. Gli studi hanno dimostrato che i livelli nei drink leggeri possono essere fino a 40 volte superiori le dosi riconosciute come 'sicure'.

INGREDIENTE: CARAMELLO AMMONIO SOLFITO (E150d)
SCOPO: COLORANTE
EFFETTI COLLATERALI: Ottenuto riscaldando zucchero, ammoniaca e composti contenenti solfito, lo zucchero può talvolta venire dal mais geneticamente modificato. L'ammoniaca è tossica a tutti i tassi di esposizione, e i caramelli ottenuti dall'ammoniaca possono danneggiare i geni, rallentare la crescita, causare un allargamento di intestini e reni, oltre che distruggere la vitamina B. Questo colorante non è mai stato pienamente considerato secondo il suo potenziale di cancerogenità e di tossicità riproduttiva.

Pat Thomas

07 giugno 2007

Quanto è difficile truccare le elezioni?

Mentre sui vari organi di stampa stanno venendo a galla i brogli avvenuti alle ultime votazioni per il comune di Palermo su youtube circola un video di un programmatore "pentito" che ha svelato il funzionamento della truffa.
video elezioni truccate

01 giugno 2007

Usa: negli uffici si lavora troppo e male e in Italia?


NEW YORK - Si lavora tanto e male negli uffici americani, ma il sospetto è che non si tratti solo di un problema delle aziende oltreoceano. Resta il fatto che in un lungo articolo il New York Times denuncia proprio come la perdita di tempo sia diventata una componente fissa nelle giornate lavorative della maggior parte delle persone.
LA PERDITA DI TEMPO - La media dei lavoratori americani spende in ufficio circa 45 ore alla settimana, anche se ci sono punte di 70 ma, secondo una ricerca di Microsoft, di queste «almeno 16 sono totalmente improduttive». Nella media degli impiegati a tempo pieno la resa migliore non si realizza prima delle 11 di mattina e non va oltre le quattro del pomeriggio. Il resto del tempo è quasi solo un presidio della posizione. Nel paese che guida il libero mercato il "facimme ammuina" resta un classico: si spostano un po' di carte da una scrivania all'altra e si tira sera.

I MOTIVI - Se gli analisti concordano sul fatto che il tempo perso sul lavoro ci sia e sia tanto, le loro opinioni divergono invece sui modi con cui lo si perde: secondo alcuni l'emorragia di efficienza maggiore finisce nella rete di Internet, secondo altri nelle riunioni. Per lo studio di Microsoft, ad esempio, esiste una media di almeno 5-6 ore a settimana di riunioni nel mondo del lavoro e, secondo il 70% degli intervistati, sono ore totalmente inutili o quasi. Ma perché si perde tutto questo tempo? Secondo Bob Kustka, fondatore della Fusion Factor, società di consulenza per i manager il motivo è ovvio: «Più a lungo si lavora, più tempo si perde. Bisogna pensare ai lavoratori come se fossero degli sportivi: in tutte le attività atletiche ci sono pause, intervalli, momenti nei quali si devono recuperare le forze. E questo avviene anche negli uffici». Tenendo anche conto che non tutti hanno la tempra di Federer o di Gattuso.
LE SOLUZIONI - Quindi se lavorare per molto tempo significa quasi sempre lavorare anche molto male, la soluzione sembra semplice: lavorare meno e meglio. Alcune compagnie americane stanno prendendo proprio questa strada, che si è aperta dietro a un principio che suona come uno slogan: «Guarda quello che produco, non come lo produco». Nel quartier generale della società Best Buy, a Mineeapolis, per esempio, si è adottato un acronimo che è poi diventato di moda: il "Rowe", che in sostanza sta per «i risultati sono l'unico scopo del lavoro». Quindi, in pratica, basta orari fissi o gara a chi resta di più a presidiare la scrivania: liberi tutti, l'importante è fare e, se uno è veloce, meglio per lui: si riposi, ma a casa.
Stefano Rodi