31 maggio 2008

Manipolazione sui farmaci


Le indagini dei PM della Procura di Torino durate oltre tre anni, hanno portato alla luce non solo "mazzette" e "benefit" per ottenere il permesso alla commercializzazione, ma anche mancati e tempestivi controlli sugli effetti indesiderati di farmaci, affinchè "non passassero in maniera rapida informazioni su prodotti che hanno creato situazioni di rischio per la salute, anche mortali". Scoppia così, con discrezione e senza tanto clamore lo "scandalo AIFA" , dalle derive allarmanti e preoccupanti, se si pensa che l’uso del farmaco sta divenendo sempre più comune e facilmente accessibile.

Con discrezione e senza tanto clamore da parte dei media, scoppia lo "scandalo AIFA" , che ha portato all’arresto di oltre sette dirigenti dell’ente pubblico per il controllo della commercializzazione dei farmaci. Le accuse sono di corruzione e concussione, mentre si fa strada la gravissima ipotesi di attentato alla salute pubblica, come grave conseguenza dell’autorizzazione alla messa in commercio di medicinali pericolosi per la vita dei cittadini.

Lo spettro delle responsabilità dell’Aifa sembra ampliarsi sempre di più, in considerazione dell’estrema delicatezza della sua funzione e delle implicazioni economiche connesse al mercato dei farmaci generici, nonché di quelli da banco e quelli specialistici. Infatti, le indagini dei PM della Procura di Torino durate oltre tre anni, hanno portato alla luce non solo "mazzette" e "benefit" per ottenere il permesso alla commercializzazione, ma anche mancati e tempestivi controlli sugli effetti indesiderati di farmaci, affinchè "non passassero in maniera rapida informazioni su prodotti che hanno creato situazioni di rischio per la salute, anche mortali". A tal fine sono stati manomessi i "bugiardini" omettendo delle controindicazioni per ottenere più facilmente la licenza di vendita, vendendo farmaci con etichette senza revisione.

L’inchiesta iniziale sulla "falsificazione dello studio di bio-equivalenza dei farmaci generici con la marca dal brevetto scaduto", si è giunti a casi di corruzione per accelerare o rallentare l’ iter di approvazione sul mercato di nuovi prodotti, nascondendo eventuali effetti pericolosi riscontrati durante la sperimentazione, per sfociare così nel "disastro colposo" per la messa in commercio di farmaci non perfetti. Nonostante la gravità dei fatti, tuttavia, il Ministero della Salute richiama alla calma e afferma che, in fin dei conti, "sono farmaci conosciuti, diffusi in tutto il mondo", e non vi sono reali rischi per i cittadini.


Un’affermazione avventata e incosciente considerando che tra i farmaci coinvolti vi sono comunissimi antibiotici e diuretici, sino agli psicofarmaci, antipertensivi e antiasmatici, gran parte di essi con brevetti scaduti e dunque che dovevano essere nuovamente sperimentati. Invece sono stati bypassati dall’Aifa con assoluta superficialità, basandosi spesso sugli studi di società che hanno svolto i test in Paesi esteri non soggetti ad alcuna normativa cautelare. Uno dei casi trapelato attraverso la stampa è quello del Minirin della Ferring, indicato per la enuresi notturna dei bambini, ma divenuto pericoloso dopo il decesso di un bimbo in Francia, senza che questo sia stato segnalato all’autorità in maniera tale da consentirne ancora la circolazione senza la revisione delle etichette. Un esempio questo che pone dei legittimi dubbi sia sulle attività di controllo, sia sulle modalità in cui lo Stato e le società farmaceutiche ci cautelano.

La semplice informazione dei foglietti illustrativi non può pretendere di preservare la salute del cittadini, che si può così ritenere cosciente di assumere "un veleno" per il semplice fatto che è riportato nella posologia e nelle controindicazioni. A questo occorre aggiungere l’aggravante che il nostro sistema sanitario, governato in tutto e per tutto da aziende farmaceutiche e chimiche, è totalmente basato sulla prescrizione di farmaci per ogni impercettibile sintomo che spesso ha natura biologica, ma ha cause psicologiche. La medicina moderna, dopo aver distrutto ogni genere di malattia di origine virale o batterica, si sta prevalentemente dedicando alla cura dei mali della "infelicità" e dello "stress" prescrivendo per ogni singolo sintomo la terapia che inesorabilmente ci trasforma in malati patologici o in dipendenti. Le derive sono allarmanti e preoccupanti, se si pensa che l’uso del farmaco sta divenendo sempre più comune e facilmente accessibile alle persone che "si sentono malate", e questo non solo grazie alle liberalizzazioni che consentono la vendita delle cosiddette "medicine da bando", ma anche in relazione alla manomissione degli studi e delle etichette, rilasciate proprio da organismi ed entità come l’Aifa.

E così diventano liberi da ogni prescrizione medica farmaci che contengono agenti cortisonici, anti-staminici, antipertensivi, grazie alla semplice riconversione della fascia e del rapporto costo-beneficio. È chiaro che l’introduzione dei farmaci da banco non costituisce certo una manovra economica che può danneggiare le società farmaceutiche, quanto il risultato di una strategia di marketing che consente di ampliare il mercato e di colpire anche strati della società più bassi. Queste infatti sono le più deboli e vulnerabili, soggetti alla dipendenza e alla tossicodipendenza da farmaci, in relazione ai loro gravi malesseri economici e sociali da cui si sentono oppressi. A questo punto, le Istituzioni non possono non lanciare un grave campanello di allarme sui mancati controlli da parte degli enti di sorveglianza, che rischiano così di creare nell’intero sistema dei gravi vuoti che avranno in futuro conseguenze devastanti. La manomissione delle licenze di vendita o delle procedure di certificazione porta al crollo dell’intero sistema di fiducia e di cooperazione, in quanto si va a compromettere tutti gli studi e i processi che si basano sulla veridicità di determinati controlli. Manca da sempre, d’altronde, una maggiore sorveglianza sui test e gli studi delle società farmaceutiche, lasciando poi che le Istituzioni si affidino solamente a delle semplici valutazioni statistiche per definire il rapporto costo-beneficio. Ovviamente, quello dell'Aifa è l'ennesimo scandalo o tangentopoli che magari consentirà il cambio dei dirigenti e dei soggetti al potere, ma non potrà certo scalfire il grandere potere dei giganti delle industrie farmaceutiche. Tuttavia, il più grande fallimento per la nostra società è il credere che una medicina possa costituire la soluzione ad ogni nostro problema, dettato invece da un sistema consumista e globalizzata che ha distrutto la natura umana con tutte le sue imperfezioni.

fonte:Etleboro

30 maggio 2008

Il colpo di Fulmine


Perché e, come avviene il colpo di fulmine? Sappiamo che a volte si innesca un meccanismo misterioso e fantastico. C'è un risvolto mistico in tutto questo.

Da sempre infatti amore e guerra sono andate di pari passo, in passato un re impotente o comunque che non poteva generare figli non poteva governare un paese, e gli stessi cavalieri e paladini erano screditati se avessero rifiutato di giacere nel letto di una fanciulla che glielo avesse chiesto. Ancora oggi questo legame tra guerra e amore e’ ricordato in molti detti popolari come il comunissimo “in amore ed in guerra tutto e’ permesso”.

L’energia “amorosa” , generata da una donna , puo’ rendere l’uomo invincibile e da qui la tradizione di una antichissima tecnica di combattimento chiamata appunto “Colpo di fulmine”.

Un interessante episodio da narrare in tal senso e’ quello di Cuchulainn, il mitico eroe d’Irlanda, il leggendario sovrano si trova dalla sua maga-iniziatrice Scatach quando una notte,la figlia della sacerdotessa, Uatach, innamorata dell’eroe decide di sedurlo andando a riposare nuda nello stesso letto. L’eroe infastidito all’inizio rifiuta la proposta ma ecco che la fanciulla , in cambio di una semplice notte d’amore promette al re di spiegare come ottenere dalla madre una terribile tecnica di combattimento che lo avrebbe reso invincibile.

Ancora una volta , dunque , e’ attraverso la donna che l’uomo diventa imbattibile e infatti solo dopo aver giaciuto con Uatach e poi successivamente con la stessa sacerdotessa Scatach che Cuchulainn ottiene il segreto della micidiale Scarica di Fulmine che lo renderà famoso in battaglia.

L’esempio del mitico re irlandese non e’ l’unico, questa strana tecnica di combattimento era conosciuta anche da Lug , Batraz e molte altre divinità celtiche che , a loro volta , l’avevano sempre appresa da una donna. Ricordi di questa magica arma fisico-spirituale li ritroviamo successivamente nella Materia di Bretagna, e in particolare in una delle prime versioni del “Lanzelot en Prose”, la storia di uno dei più famosi paladini della tavola rotonda, appunto Sir Lancellotto.

Anche il paladino arturiano è da sempre circondato da donne-maghe , da Viviana a Morgana, esseri fatati che gli insegnano l’arte della guerra, ma solo una donna speciale potrà rendere l’eroe invincibile e tutto nascerà da uno “sguardo” o come oggi lo definiremmo da un “colpo di fulmine”.

“…Colpito al suo arrivo dalla sua beltà, lei gli sembra incomparabile più splendida da vicino, ed egli le appare più alto e più forte. La regina prega Dio di far di lui un valoroso per la pienezza della bellezza di cui lo ha favorito…”

Questi versi del “Lanzelot en prose” descrivono perfettamente il colpo di fulmine dopo il quale il paladino diventa il cavaliere più forte del regno, ed e’ ancora una volta l’amor fulmineo a trasformarsi in arma e “folgore divina”.

Solo chi conosce la “donna” puo’ cosi’ esser un grande eroe, solo chi conosce l’ “amore” puo’ diventare invincibile come puo’ essere letto tra le righe di tutta la mitologia celtica alla quale la materia di Bretagna si rifa’, e cosi’ il figlio indomito di Cuchulainn , non conoscendo l’amore viene ucciso in battaglia dal proprio padre che, non riconoscendolo, lo sconfigge proprio con la tecnica del colpo di fulmine, stessa sorte toccherà a Galaad, figlio di Lancillotto. Infatti il cavaliere dal cuore puro e designato per l’arduo compito della cerca del Graal potrà portare a termine a differenza del padre proprio perché pudico, ma in realta’ sara’ proprio questa sua mancanza d’“amore” a decretare la sua fine , infatti perira’ fulminato dalla luce stessa della mistica coppa d’Amore!

Colui che non conosce la “scarica di fulmine” non potrà essere invincibile e nessun cavaliere potra’ mai conoscerla senza la propria donna, il tramite d’amore che permette il raggiungimento della mistica folgorazione il cui ricordo, ancora oggi, si conserva nella tipica espressione “colpo di fulmine.

28 maggio 2008

Biologia delle relazioni interpersonali


Il nostro cervello e la nostra mente sono plasmati continuamente dalle interazioni quotidiane, ancor di più dalle relazioni che producono apprendimenti significativi. Se il processo di comunicazione è descrivibile in chiave psicologica e umanistica, altrettanto importante appare la dimensione biologica. Abbiamo bisogno di vedere per credere, e le implicazioni biologiche di una relazione affettiva con una funzione stabilizzante sul tono dell’umore o di regolazione emotiva, come può realizzarsi in una psicoterapia, a livello di circuiti e centri cerebrali, cominciano ad essere svelate e confermate dalle immagini ottenute con le nuove tecniche di visualizzazione cerebrale.

E’ possibile dunque studiare la biologia della relazione e della psicoterapia, superando la visione storicamente dicotomica del rapporto mente-corpo e mente-cervello? “Molti sono rimasti sorpresi e colpiti a riguardo - afferma Massimo Biondi, direttore del Dipartimento di Scienze psichiatriche e Medicina psicologica dell’Università “La Sapienza” di Roma - in realtà questa non è una novità dal punto di vista concettuale, senz’altro lo è dal punto di vista della concreta visualizzazione degli effetti che una psicoterapia ha di fatto sul cervello. Vi è una serie crescente di evidenze che potrebbe suggerire come esista un comune principio organizzatore delle diverse terapie, farmacologiche e psicoterapiche, e una matrice finale comune di esse, sebbene attuate secondo metodi differenti”.

Dello stesso avviso Boris Cyrulnik, neuropsichiatra, direttore delle ricerche in etologia clinica all’Università di Toulon-Var, famoso in tutto il mondo per l’abilità di raccontare attraverso le storie ed i libri le sue teorie, in particolare la teoria della resilienza (le condizioni biologiche, affettive e culturali che modificano la recettività di un organismo, rendendolo capace di affrontare e superare situazioni fortemente problematiche): “Chi era riuscito a dominare le proprie emozioni con l’aiuto di uno psicoterapeuta o di un farmaco, ha imparato a dominare il proprio dolore, a poco a poco, parola dopo parola, affetto dopo affetto, molecola dopo molecola, e ciò ha diminuito il tasso di cortisolo evitando l’atrofia delle cellule ippocampiche. Agendo su qualsiasi punto del sistema relazionale, sulla cellula nervosa, sul modo di vedere le cose o sull’ambiente circostante, è possibile stimolare nuovamente la secrezione di BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor) che alimenta il cervello”. (Di carne e d’anima, Frassinelli).

Abituati a rappresentarci biologicamente i fenomeni mentali in termini di neuroni, sinapsi e molecole, può sembrare un paradosso avanzare l’ipotesi, sostenuta da Biondi in più occasioni, che “la terapia più biologica a livello fine neuronale, di plasticità molecolare, di rimodulazione di circuiti e reti neurali, non sia in realtà quella farmacologica, bensì la psicoterapia”. Siamo ancora in una fase sperimentale, condotta principalmente nel campo dei disturbi ansiosi e delle sindromi depressive.

A prescindere dalla relazione terapeutica, qualcosa di strutturalmente profondo può avvenire durante il periodo sensibile creato da un innamoramento. “Anche a livello biologico, la relazione amorosa offre una possibilità di metamorfosi o cambiamento di direzione - scrive Cyrulnik - l’intensità emozionale e le secrezioni ormonali hanno un effetto sul cervello che corrisponde ad una nuova sinaptizzazione, ovvero all’attivazione di vie neurologiche dapprima non coinvolte nel circuito sinaptico. Tutto è predisposto per agevolare una nuova impronta, una seconda possibilità, ossia quella di modificare le rappresentazioni negative di sé acquisite nel corso dell’infanzia per intraprendere un nuovo stile di socializzazione e ciò spiega la possibilità di resilienza offerta dall’amore”. (Parlare d’amore sull’orlo dell’abisso, Frassinelli).
di Rosalba Miceli

27 maggio 2008

Pesticidi nel piatto: il 47% della frutta è contaminata


Legambiente presenta il rapporto annuale sui residui chimici nell'ortofrutta E' ancora la frutta la regina dei fitofarmaci, più "inquinata" rispetto alle verdure.

pesticidi.jpgRimane ancora alta al 47,4% la percentuale di campioni di frutta contaminati da uno o più residui, mentre continua a risultare meno problematica la verdura analizzata di cui risulta contaminata il 15,4%. Ad aumentare, in modo significativo e correlatamene all'aumento del numero dei controlli, è invece la contaminazione dei prodotti derivati, tra i quali olio e vino, di cui ben il 18,3% contiene uno o più principi attivi. Sono questi i risultati di Pesticidi nel piatto 2008, il dossier di Legambiente sulla presenza di residui chimici nell'ortofrutta, realizzato sulla base dei dati forniti dai laboratori pubblici provinciali e regionali relativi alle analisi condotte nel corso del 2007.

A presentarlo, questa mattina a Terra Futura, la mostra convegno alla Fortezza da Basso di Firenze, il direttore generale di Legambiente Rossella Muroni, Francesco Panella, presidente UNAAPI (Unione nazionale associazioni apicoltori italiani), Fausto Ferruzza, direttore di Legambiente Toscana, Michele Mazzetti e Roberto Gori, rispettivamente responsabile e direttore tecnico Arpat Toscana.

In generale, la percentuale dei campioni irregolari di prodotti ortofrutticoli (cioè fuori legge per superamento dei limiti di concentrazione di residuo chimico o per uso di pesticidi non autorizzati) registra un lievissimo miglioramento, con l'1% dei campioni irregolari contro l'1,3 dello scorso anno, mentre sale leggermente la percentuale di campioni con uno o più residui passando al 28% dal 27,2 del 2007.

Un risultato che testimonia sicuramente una maggiore attenzione da parte degli operatori agricoli nell'uso sempre più attento della chimica nel campo, alla salubrità dei cibi e alle richieste dei consumatori, sempre più favorevoli ai prodotti provenienti da un'agricoltura di qualità.
Tra i casi eclatanti, anche quest'anno come nel 2007, le mele che ormai sembrano rappresentare più il frutto della strega di Biancaneve che il famoso stratagemma per stare in salute e togliersi il medico di torno: solo il 38,8% è ancora esente da pesticidi, mentre il 26% dei campioni analizzati presenta un principio attivo, il 34,1% contiene più di un residuo e addirittura l'1,1% risulta irregolare.
Altri frutti poco "naturali" sembrano essere gli agrumi: su 746 campioni analizzati 14 risultano irregolari (1,9%), 386 regolari senza residuo (51,7%), 219 regolari con un residuo (29,4%) e ben 127 (pari al 17%) contaminati da più di un residuo. Oltre l'81,6% delle verdure analizzate risulta, invece, regolare e privo di residui chimici, il 18% presenta uno o più residui e lo 0,3% è proprio irregolare.

Un segnale preoccupante arriva, invece, dalle analisi dei prodotti derivati, in cui si è registrato un aumento dei casi di contaminazione, particolarmente nei campioni di vino e olio.
Un dato particolarmente significativo se si pensa che tra questi compaiono proprio quei prodotti tipici del made in Italy e alcuni tra gli alimenti preferiti dai bambini come succhi di frutta e omogeneizzati. Nel dettaglio, i campioni di prodotti ortofrutticoli e derivati analizzati nel corso del 2008 dai laboratori pubblici provinciali o regionali sono 10.048 con una diminuzione delle analisi effettuate pari al 4,2 % rispetto all'anno precedente.

Anche nel 2008, risulta molto vario il comportamento dei diversi laboratori rispetto al numero di analisi effettuate e ai principi attivi ricercati, con il Molise che si conferma "Maglia Nera" nazionale per non aver saputo ancora fornire i dati richiesti. "Il costante anche se lento miglioramento dei dati - ha dichiarato Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente - conferma la validità delle battaglie a favore di un'agricoltura di qualità, il più possibile sana, stagionale e legata al territorio.
Pur aumentando le evidenze scientifiche della gravità dei pesticidi sulla salute umana e ambientale non si è ancora provveduto a cambiare una legislazione ferma da trent'anni che non prevede ancora un limite alla somma di più residui nello stesso alimento, ignorando il principio di precauzione.

Continuano ad essere tollerate, infatti, concentrazioni singolarmente consentite di più principi attivi su uno stesso prodotto, con potenziali sinergie anche tra sostanze che, come il procimidone, il vinclozolin o il captano, l'Epa - l'americana Environmental protection agency - ha da tempo classificato come possibili o probabili cancerogeni". Va sottolineato, infatti, che la normativa vigente non considera ancora la questione del multiresiduo: la presenza contemporanea, entro i limiti di legge, di più principi attivi su uno stesso prodotto.
Così si continuano a registrare "campioni da record", prodotti considerati in regola ma che presentano contemporaneamente numerose concentrazioni di residui di fitofarmaci diversi, i cui effetti sulla salute e sull'ambiente andrebbero adeguatamente verificati. Ad aggiudicarsi il record quest'anno è un campione d'uva bianca proveniente dalla Sicilia che contiene ben 9 residui di pesticidi. 6 residui sono stati rilevati su un campione di uva nera siciliana e su 11 campioni di agrumi provenienti dalla Spagna e dalla Calabria analizzati nel Lazio.

Numerosi campioni di pere con oltre 5 principi attivi sono stati, poi, segnalati dall'Emilia Romagna, mentre una banana con 6 residui è stata segnalata dalla Lombardia, che registra anche una mela Golden con 5 principi attivi e due campioni di uva italiana con 6 e 5 residui.
Pesche contaminate da 5 diversi pesticidi sono state segnalate dai laboratori della Sardegna, mentre ancora dalla Sicilia vengono registrati casi eclatanti di pomodorini a grappolo di produzione locale con 8 e 7 residui contemporaneamente. Tra i derivati, invece, i campioni decisamente fuorilegge sono 6 (3 oli di oliva in Puglia, 2 in Lombardia e un vino sempre analizzato in Puglia), su 1.917 prodotti.

L'attenzione al tema della chimica in agricoltura deve rimanere alta e sollecitare la ricerca di nuovi e meno impattanti metodi di produzione. Va segnalato infatti, che anche quest'anno - e in misura ben più evidente e preoccupante del passato - si sono verificate le morie delle api e gli spopolamenti degli apiari in corrispondenza delle semine effettuate con semi conciati e con la dispersione di molecole neonicotinoidi nei campi.
A lanciare l'allarme sono state ancora una volta Legambiente e Unione nazionale associazioni apicoltori italiani che insieme hanno rivolto un appello al Governo per la sospensione immediata degli insetticidi killer, e per l'aggiornamento delle procedure di autorizzazione che tengano in ben altro conto l'impatto ambientale delle nuove e potentissime molecole tossiche persistenti nell'ambiente.

"La Francia - ha dichiarato Francesco Panella - da molti anni ha sospeso l'uso di queste molecole su tutte le colture visitate dalle api e dagli altri insetti impollinatori.
Qualche giorno fa è stata la volta della Germania. In Italia invece nonostante i ripetuti allarmi e le denunce di apicoltori e ambientalisti rischiamo che con la prossima semina si riproponga lo stesso disastro. Bisogna sospendere d'urgenza, sulla base del principio di precauzione, le autorizzazioni d'uso dei preparati a base di clothianidin, thiamethoxam, fipronil e imidacloprid e rivedere le procedure per una seria, trasparente valutazione pubblica dell'impatto ambientale dei prodotti chimici usati in agricoltura".

Tornando al rapporto, nel complesso, le analisi condotte sui prodotti derivanti da agricoltura biologica sono ancora molto esigue. Il totale dei campioni bio analizzati in Italia è inferiore a 400 prodotti, un dato molto scarso se paragonato agli oltre 10.048 campioni di agricoltura tradizionale. I dati relativi a queste analisi hanno perciò scarso valore statistico, soprattutto se si considera che 10 regioni su 15 fanno controlli su meno di 15 campioni.
I principi attivi più spesso riscontrati - sia nei campioni irregolari che in quelli regolari - sono Chlorpirifos, Procimidone, Captano, Carbofuran, Cyprodinil, Diclofluanide, Dimetoato, Ditiocarbammati, Endosulfan, Fenitrotion, Imazalil, Malathion, Metalaxil, Tiabendazolo.

www.greenplanet.net

25 maggio 2008

Falso allarme Vitamine



L' A.M.A. (American Medical Association) dichiara che le vitamine possono uccidere.

L'ultimo tentativo della medicina convenzionale per screditare gli integratori alimentari vitaminici si trova un uno studio molto discutibile pubblicato nel Journal of American Medical Association (JAMA) in cui si sostiene che le vitamine possono aumentare il rischio di morte.

Lo studio afferma di aver preso in esame una raccolta di ricerche su: Vitamina A, beta-carotene, Vitamina C, E e selenio, concludendo che la maggior parte di questi nutrienti sono veramente dannosi per la salute.

Ovviamente questo è uno studio effettuato da ricercatori della medicina convenzionale -un'industria che promuove come sani e sicuri composti chimici brevettati, nonostante molti farmaci approvati dalla FDA stiano uccidendo 100.000 Americani ogni anno (immagina il c..... trambusto se le vitamine uccidessero anche solo una piccolissima frazione di questo numero).

Per evitare di essere imbrogliati da una discutibile ricerca sulle "vitamine", dobbiamo attentamente considerare gli interessi finanziari degli autori di questa ricerca.
La rivista JAMA incassa ogni anno milioni di dollari di pubblicità dalle compagnie farmaceutiche.
L' A.M.A. da parte sua, ha a lungo operato per gettare discedito sulle medicine alternative, tanto da essere considerata poco credibile da chiunque abbia un minimo di familiarità con i rimedi naturali.

* Come falsificare uno studio sulle vitamine *

Falsificare uno studio sulle vitamine è estremenente facile. Basta utilizzare le forme di vitamine sintetiche ed evitare quelle naturali che sono ricavate dagli alimenti o dalle piante. Queste vitamine sintetiche sono a tutti gli effetti prodotti chimici industriali, possono essere chiamate "Vitamina E" o "Vitamina C" oppure "Vitamina A" ma non hanno nessuna somiglianza funzionale con le vere vitamine che troviamo in natura.

E' perlomeno curioso che nel mondo nessun ricercatore della medicina convenzionale abbia mai testato le vitamine naturali di ampio spettro, i nutrienti o i fitochimici come appaiono in natura. Il motivo è conosciuto: essi scoprirebbero un universo di medicine naturali che renderebbe obsleti molti medicinali brevettati.

Un secondo modo per falsificare una ricerca è semplicemente isolare i vari risultati che si vogliono inserire nelle analisi statistiche. E' un trucco comunemente usato da alcuni ricercatori disonesti che hanno l'obiettivo di screditare i rimedi naturali.
Per far questo eliminano precedenti studi che hanno dimostrato risultati positivi ed includono solo quelli che che hanno dato esiti negativi. Poi preparano un'analisi statistica su tutti gli studi che hanno raccolto e......sorpresa! Queste vitamine sono pericolose. Fra l'altro, molti degli studi sono stati condotti su pazienti terminali con aspettativa di vita di poche settimane, indipendentemente dai trattamenti cui venivano sottoposti.

Una terza via per distorcere la scienza è confondere la gente con "l'offuscamento statistico".
Per esempio, i rapporti su un particolare studio confondono il rischio assoluto con il rischio relativo. La Vitamina A, secondo i rapporti esaminati da questo studio, ha aumentato il rischio di mortalità del 16%.
Ma questo è un rischio relativo, significa che se una persona su 100 normalmente muore, allora 1,16 persone su 100 dovrebbero morire prendendo questa Vitamina A sintetica. In altre parole, non ci dovrebbe essere un ulteriore decesso su 100 o addirittura 1000 persone.

Invece, è curioso che quando i ricercatori della medicina convenzionale riportano risultati del rischio di mortalità per i loro farmaci con prescrizione medica, essi usano SEMPRE il rischio assoluto. Scrivono:" Questo farmaco ha aumentato il rischio dell'1 per cento". Ma quello che non dicono è che può esserci un buon 200% di rischio relativo di mortalità, in funzione della base di riferimento dei valori assoluti di mortalità.
Così, se solo 0,5 persone muoiono per, ad esempio, una malattia cardiaca durante un particolare studio, ma se 1,5 persone muoiono per aver preso un determinato farmaco durante lo studio, il rischio relativo diventa del 200% (1 in più rispetto a 0,5). Ma le riviste medico scientifiche e i principali giornali riportano che c'è stato solo "l'1 per cento di aumento".

Si riesce a vedere come funziona il giochetto?:

- Tutte le statistiche sui pericoli dei farmaci da prescrizione medica sono classificati secondo il RISCHIO ASSOLUTO per far apparire più piccoli i valori ottenuti.

- Tutte le statistiche sui pericoli delle vitamine (anche se sintetiche) sono classificati come RISCHIO RELATIVO per far apparire i valori più grandi (così tutte le vitamine o integratori appaiono pericolose).

E' in questo modo che la medicina convenzionale mente con le statistiche. Ed è solo uno dei tanti trucchi utilizzati per disinformare il pubblico sui reali pericoli dei farmaci o dei benefici dell'approccio nutrizionale.

Questa ricerca pubblicata dal JAMA ci fa comunque ricordare un punto importante: il composti chimici sintetici sono pericolosi per la salute. Se prendi "vitamine" economiche prodotte sinteticamente, stai facendo a te stesso più male che bene. Questi produttori di "vitamine" spesso appartengono alle stesse case farmaceutiche. Quindi, attenzione quando comperate vitamine o integratori alimentari nei supermercati o nelle farmacie.

Comunque, i ricercatori delle medicine convenzionali tentano di confondere la differenza fra "vitamine-spazzatura " e vitamine di qualità, classificandole tutte come integratori alimentari, senza tenere conto di come vengano realmente prodotti.

Così, screditando pochi composti chimici (anche le LORO vitamine), essi possono in effetti scoraggiare le masse dal prendere QUALSIASI vitamina o nutriente, inclusi quelli di buona qualità.

Questo è chiaramente il loro obiettivo: usare il P.I.D. (paura-incertezza-dubbio) per far allontanare i consumatori dall'uso degli integratori alimentari in modo che i pazienti si rivolgano solo ai farmaci sintetici che producono profitti miliardari alle case farmaceutiche. I farmaci le rendono ricche mentre le vitamine ed i nutrienti naturali sono dei concorrenti per le loro vendite.

Una volta compresi i motivi economici delle parti coinvolte, questo trucco della scienza-spazzatura diventa quasi ovvio: i promotori dei farmaci useranno sempre sporchi trucchi per screditare gli integratori nutrizionali perchè fare questo è nel loro interesse finanziario.

In ogni caso c'è un semplice modo per verificare che la ricerca del JAMA è un completo controsenso.
Basta chiedere a 100 persone che assumono diversi tipi di farmaci e confrontare la loro salute con quella di 100 persone che prendono vitamine e altri integratori alimentari. Non ci vorrà molto per indovinare chi è il più sano.

Per cui la domanda è ovvia: se le vitamine sono così pericolose, dove sono tutti questi morti fra i consumatori di integratori? E se i farmaci sono così sicuri e salutari, dove sono tutti questi pazienti super-sani?
Le persone più sane saranno proprio quelle che prendono integratori o che comunque seguono un'alimentazione sana ed equilibrata e che praticano regolarmente esercizio fisico......e che soprattutto evitano i farmaci.

* Perchè molti ricercatori della medicina convenzionale sono degli analfabeti in materia di nutrizione.*

La medicina occidentale tutt'ora non considera la nutrizione. Essi ritengono che gli effetti positivi sulla salute siano ottenuti tramite un singolo ed isolato composto chimico. Ma la nutrizione non funziona in questo modo. In natura, per esempio, la vitamina C non è un composto singolo, piuttosto una sinfonia di fitonutrienti complementari che funzionano in concerto. I ricercatori convenzionali quasi mai testano la medicina delle piante usando tutti i nutrienti in modo completo. Perchè? Perchè non applicano il concetto di sinergia nutrizionale.

Con la pubblicazione di questa ricerca, la distorsione della realtà sulla salute umana ora è completa. Secondo l'Associazione Medica Americana, le vitamine e gli integratori ci uccuderanno mentre i farmaci ci renderanno più sani...........

(M. Adams)

24 maggio 2008

RiminiWellness: una partecipazione














Toccato il record storico con la terza edizione di RiminiWellness, manifestazione organizzata da Rimini Fiera SpA al quartiere fieristico e sulla Riviera con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, Provincia e Comune di Rimini. L'evento, dedicato a fitness, benessere e sport, ha sancito la leadership in Italia per numero di visitatori certificati, di espositori, per il grande successo di pubblico presente agli eventi organizzati sul territorio e per l'attenzione mediatica. Ancora una volta, la manifestazione rappresenta la conferma di un binomio, Rimini e Wellness, imbattibile per esperienza organizzativa e vocazione del territorio.

Nei quattro giorni, record di pubblico con 130.029 visitatori: (+ 30% sul 2007).
Ecco alcuni numeri che hanno contribuito a determinare il successo di RiminiWellness 2008: 13 padiglioni, 330 aziende (tra dirette e rappresentate) oltre 150 mila metri quadrati occupati (di cui circa 90.000 indoor e 60.000 outdoor), la più estesa area acqua indoor mai realizzata prima con 300 mq di vasche, 27 palchi (2 pilates, 5 acqua, 2 ballo, 1 danza, 3 spinning, 12 fitness, 2 rowing), 1200 mq dedicati agli incontri business, 400 presenter, più di 1000 ore di lezioni, 5 eventi speciali oltre 100 eventi notturni.
Ho partecipato anche io, ma rimasto molto deluso dal settore alimentazione. Dirò di più, mi hanno dato un campione in omaggio che ho rilasciato in modo molto molto veloce. Non ho assimilato, ho rifiutato proprio. Forse un'allergia che devo ben valutare.
Il resto, è un evento e, tale rimane. Ognuno propone qualche novità, ma siamo ben lontani dai voli pindarici di pochi anni fa. Una fiera, quella del sorriso malinconico. Una serie di sguardi smarriti alla ricerca del benessere perduto. Una gran voglia di rivincita, prima che le ali vengono tarpate. Pensiamo a stare meglio, il resto, il futuro è un rebus. Da risolvere al più presto.

20 maggio 2008

Colazione per i bambini: un RITO importante


Abituare i propri figli a fare colazione spesso è una gran fatica. La mattina non si alzerebbero mai, il tempo sembra non bastare e la fretta fa da padrone. Sembra proprio difficile trovare il tempo da dedicare al primo pasto della giornata, che è il più importante per partire al meglio, come ci ricordano sempre i nutrizionisti.
Nell’ottica di sensibilizzare e rafforzare la famiglia verso un gesto mattutino di almeno 10 minuti, prosegue e si intensifica il progetto “Prima la colazione! 10 minuti mangiando sano” promosso da Kellogg’s, in partnership con SIO.
Ecco le 5 regole del “buon senso” per fare colazione insieme al tuo bambino suggerite dagli esperti di SIO e dai nutrizionisti di Kellogg’s

1. Il tempo da dedicare alla colazione va guadagnato assieme fin dalla sera prima:
fai capire a tuo figlio che è meglio non rimandare alla mattina tutte quelle operazioni che lo preparano ad affrontare la giornata. Fate assieme l’elenco delle cose da preparare prima di andare a dormire, ad esempio lo zaino con i libri e i quaderni, i vestiti che indosserà, la borsa della palestra.
2. La colazione è il momento in cui scrivere assieme l”agenda della giornata”:
al mattino si può ripercorrere insieme il programma della giornata e mettere a punto tutti gli appuntamenti che li aspettano durante la giornata.
3. Approfitta della colazione per confrontarti e risolvere le questioni della sera prima:
la notte porta consiglio e la mattina, una volta riposati, i problemi si possono affrontare più serenamente. Rimandare una discussione aiuta a prendere distanza dal problema e ad affrontarlo costruttivamente con i proprio figli.
4. Fai riscoprire il gusto di mangiare lentamente:
il cibo ha un sapore e una consistenza tutta da imparare a riconoscere. Insegna al tuo bambino il piacere di assaporare e sgranocchiare bene quello che si sta mangiando. Questo migliorerà la masticazione del cibo e quindi la digestione e l’assorbimento dei nutrienti.
5. Divertitevi a comporre la colazione “su misura”:
marmellata, yogurt, latte, frutta e cereali pronti sono alimenti sani, nutrienti e sempre vari. Provate composizioni diverse della colazione e giocate con il cibo: farete diventare la colazione un momento di divertimento.

16 maggio 2008

Mangiare poco: benessere fisico ed economico


Tutti, o quasi, vorremmo vivere di più. Come fare? C’è un sistema abbastanza semplice e funziona, già oggi (senza aspettare che gli scienziati trovino i geni dell’invecchiamento e il modo di farli esprimere al nostro organismo).

Basta mangiare poco.

Ma perché chi mangia poco vive di più? Questo fino a poco tempo fa non si sapeva. Adesso c’è qualche idea in più. Sembra che c’entrino l’ormone della crescita e l’insulina. Vediamo perché. Ricercatori dell’Università del Sud dell’Illinois — il lavoro è pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences — hanno studiato topi normali e topi cui era stato «spento» con l’ingegneria genetica il recettore per l’ormone della crescita (è la proteina cui si lega l’ormone della crescita, ormone che esercita le sue funzioni sulle cellule proprio grazie a questo recettore).

Metà degli animali veniva tenuta a dieta, l’altra metà aveva cibo a volontà. Gli animali normali a dieta sono vissuti di più di quelli che mangiavano liberamente. Fin qui niente di nuovo. Gli animali senza recettori per l’ormone della crescita vivevano a lungo, con o senza dieta, ma mai di più degli animali normali a dieta.

Vuole dire che:

1) ridurre le calorie della dieta è come tirare via il gene per il recettore dell’ormone della crescita;

2) le due cose insieme—poche calorie e non avere il recettore per l’ormone della crescita — non allungano la vita ancora di più. Questi esperimenti dimostrano che la vita degli animali (e non c’è ragione che non sia così per l’uomo) si può allungare un po’—del 30% circa —ma probabilmente non di più. Chi mangia tanto — uomini e topi — diventa resistente all’azione dell’insulina (è l’ormone che serve a utilizzare gli zuccheri che prendiamo con gli alimenti). Così l’organismo non utilizza bene gli zuccheri e c’è obesità, pressione alta, diabete e poi ci si ammala di cuore. I ricercatori dell’Illinois hanno documentato molto bene che i topi normali che mangiavano a volontà erano resistenti all’azione dell’insulina e questo si corregge bene con la dieta.

Anche l’ormone della crescita induce resistenza all’insulina. Spegnere il recettore corregge il difetto, tanto è vero che i topi senza recettori per l’ormone della crescita avevano comunque una buona sensibilità all’azione dell’insulina, con la dieta certamente, ma anche se li si lasciava liberi di mangiare quanto volevano. Studiare l’ormone della crescita e la resistenza all’insulina è quasi certamente un modo per capire di più dei meccanismi dell’invecchiamento, e persino per provare a fare un farmaco che possa allungare la vita (pillola della longevità o del buon invecchiamento). Ma ci sarà, un giorno o l’altro, un farmaco così?

È molto probabile. Costerà anni di lavoro e centinaia di milioni di dollari (o di euro), e quando arriverà sarà pubblicizzato come il farmaco dell’immortalità. E davvero allungherà la nostra vita? Forse, un po’. Proprio come succede adesso se uno mangia di meno. Qualche anno fa il professor Sirchia, allora ministro, aveva suggerito che i ristoranti riducessero le porzioni. Fu polemica, e si capisce. Ma è proprio così che si deve fare se si vuole vivere un po’ di più, al ristorante e — per chi ci va poco o mai — a casa.

Giuseppe Remuzzi

14 maggio 2008

L'acqua fonte vitale


Per ottenere un chilogrammo di lana pronta per la vendita servono circa 1.000 litri d’acqua.
Anche le esigenze civili però non scherzano: 120-160 litri per riempire una vasca da bagno, 80-100 litri per un lavaggio in lavatrice, 30 litri per una doccia.
Ma quanta acqua abbiamo ancora a disposizione?
E come viene gestita questa risorsa nel nostro Paese?

Una delle prime azioni che compiamo, la mattina, è aprire il rubinetto dell’acqua per lavarci. Una delle prime azioni che compiono milioni d’africani – negli stessi istanti – è camminare per alcuni chilometri per recarsi al pozzo e riempire una tanica d’acqua.
Già questa differenza ci aiuta a comprendere che il problema “acqua” non è ugualmente avvertito nel pianeta: per altri ancora – pensiamo agli abitanti di New Orleans – la stessa parola è quasi sinonimo di terrore.
Il “pianeta acqua” è un universo composito: piacere e dolore lo attraversano, secondo le situazioni e il nostro atteggiamento nei suoi confronti. Come trattiamo “sorella acqua”?
Ad essere onesti, non troppo bene: fiumi e canali – un tempo vie di comunicazione e fornitori d’alimenti – giacciono abbandonati alle periferie delle città; accanto, frequentemente, sorgono i campi nomadi e tutto ciò che la nostra società non considera degno d’esser osservato: rifiuti, carcasse d’auto abbandonate, scheletri di lavatrici. “Fratello fiume” non ha compiuto un ingresso trionfale nella modernità: al pari dei Rom, scorre silenzioso e quasi rifiutato dalle popolazioni. Per gli amministratori pubblici spesso è una “grana” perché occorre spendere soldi per gli argini, per le opere di canalizzazione, per la depurazione.
Eppure, silenziosamente, “fratello fiume” porta acqua alle nostre case e si porta via tutti i nostri rifiuti, fino a depositarli in mare. Forse, un po’ di riconoscenza non guasterebbe.

Quanta ne resta?
Per ottenere un chilogrammo di lana pronta per la vendita servono circa 1.000 litri d’acqua: gli usi industriali come questo ingoiano enormi quantità del prezioso liquido. Anche le esigenze civili però non scherzano: 120-160 litri per riempire una vasca da bagno, 80-100 litri per un lavaggio in lavatrice, 30 litri per una doccia.
Spesso dimentichiamo che anche l’insalata che serviamo in tavola esisterebbe, senza irrigazione, in quantità sensibilmente minore: ce ne accorgiamo quando una prolungata siccità causa repentini aumenti del prezzo degli ortaggi.
Eppure, come afferma il proverbio – “passata la festa, gabbato lo Santo” – appena il periodo di siccità termina ci scordiamo di tutto e dirigiamo la nostra attenzione su eventi che riteniamo più importanti: dalle crisi di governo al calcio mercato. Ci dimentichiamo che stiamo sottovalutando il liquido che compone il nostro corpo per il 90% circa e che è alla base di tutte le attività umane: dall’impasto di una pizza all’irrigazione di un campo di meloni.
Viene allora spontaneo chiedersi: quanta acqua abbiamo? Sulla carta tanta, un mare d’acqua, ma proprio qui iniziano le distinzioni. Mari ed oceani contengono il 96,5% dell’acqua del pianeta. L’acqua dolce (escluso il vapore acqueo) rappresenta il 2,5% delle risorse idriche di Gaia: sembrerebbe tanta – viste le dimensioni degli oceani – ma abbiamo fatto i conti senza l’oste.
Il 70% dell’acqua dolce è contenuta nelle calotte polari e nei ghiacciai permanenti, mentre poco meno del 30% riposa nelle falde acquifere a grande profondità; viene spontaneo chiedersi: e l’acqua che scende dal mio rubinetto?
L’acqua che usiamo sta tutta in quel “poco meno” del 30%: la quantità d’acqua dolce che circola nel “ciclo dell’acqua” – ossia evapora dal mare, cade sotto forma di precipitazioni e torna al mare scorrendo nei fiumi – è circa lo 0,3% dell’acqua dolce presente nel pianeta. Considerando la totalità delle riserve idriche (dolce + salata), l’acqua effettivamente utilizzabile dall’uomo è lo 0,008% del totale.

Cresce la domanda, diminuisce l’offerta
Per molti secoli l’uomo non si è preoccupato un gran che di fiumi e laghi: erano lì da sempre.
I nostri antenati potevano permettersi quel lusso perché interagivano ma non modificavano il ciclo dell’acqua, sia per quantità che per qualità dell’acqua.
Il gran mutamento avvenne con la rivoluzione industriale: industria (metallurgia e tessile) e agricoltura estensiva necessitano di quantità d’acqua enormi. L’inurbamento richiede la concentrazione di grandi masse d’acqua in pochi punti, e quindi la creazione di complessi sistemi di distribuzione.
Su questi problemi, sta cadendo la classica tegola: il mutamento climatico, che sconvolge la tradizionale piovosità di molte aree.
Le alterazioni generate dal mutamento climatico sono complesse: con molta approssimazione, possiamo affermare che la piovosità tende ad aumentare nelle aree settentrionali ed a diminuire man mano che si scende verso i Tropici e le aree equatoriali. L’Italia, per venire a noi, è oramai compresa in toto nell’area di diminuzione delle precipitazioni.
Nel mese di gennaio del 2007, il direttore della Protezione Civile, Bertolaso, ha dichiarato: «Dobbiamo abituarci a situazioni estreme. Temo che gli scenari dei prossimi mesi siano chiari: passaggi repentini da una situazione climatica all'altra». Come non ricordare l’estate del 2003?

Italia a secco
Soltanto poche settimane or sono, il presidente dell'ANBI – l'Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni –, Massimo Gargano, affermava: «È necessario varare subito un piano per gli invasi». Cosa significa? Che dobbiamo prendere coscienza del problema ed attrezzarci per affrontarlo costruendo nuovi bacini.
Qualcuno potrà ribattere che gli invasi in alta montagna già esistono, ma dimentica che quella non è tecnicamente acqua, bensì energia potenziale nell’attesa di trasformarsi in energia elettrica. In altre parole, il rilascio d’acqua dai bacini può essere necessario per gli usi irrigui ma non – nello stesso periodo – per quelli energetici: ecco la duplicità dell’acqua, prezioso liquido ed energia idroelettrica.
«Un vero e proprio tracollo per l'agricoltura italiana» – è l'allarme lanciato dalla CIA, Confederazione Italiana degli Agricoltori – «incombe lo spettro del 2003 quando, proprio a causa della siccità, si persero circa 5 miliardi di euro».

Tre semplici chiuse
Il dimenticato “pianeta acqua” è dunque composito ed insostituibile: dalla tazza di tè alla centrale idroelettrica, dal pomodoro alla tintura dei tessuti. Cosa possiamo fare?
Precisiamo che – a parte tanta aria fritta – non si sta facendo nulla. Allora, cosa si potrebbe fare?
I grandi laghi prealpini hanno dei livelli minimi e massimi: secondo il Limno – la Banca dati dei laghi italiani – il Lago Maggiore ha addirittura un’escursione di circa 3,2 metri dal livello di massimo invaso al minimo, quello di Como di circa un metro e pressappoco 2 metri il Garda.
In primavera, i laghi raggiungono alti livelli con le piene primaverili e lo scioglimento delle nevi, ma tutta quell’acqua se ne va con il finire della primavera, e in estate – quando servirebbe – sono già ai livelli minimi.
Basterebbero tre chiuse, tre sole chiuse che permettessero di mantenere i laghi agli alti livelli primaverili, per rilasciare poi lentamente l’acqua durante l’estate e utilizzarla per gli usi irrigui.
Costo? Pochi milioni di euro. Non miliardi come il Ponte sullo Stretto di Messina.
Quanta acqua si riuscirebbe a trattenere in quel modo? Circa 1 miliardo e mezzo di metri cubi d’acqua. A quanto ammonta la portata del Po nella stagione di magra? Secondo il Consorzio Navigare sul Po, a circa 420 m3/s: con quell’acqua sarebbe possibile raddoppiare la portata del Po per un periodo pari a circa 41 giorni, ossia proprio nei momenti più acuti della siccità.
Dalla gestione delle risorse idriche, quindi, dobbiamo passare a quella del sistema acqua: sembra un cavillo, ma è una distinzione profonda e di merito.

La gestione delle acque dolci
In Italia, non esiste il concetto di gestione delle acque dolci: nei paesi dell’Europa Centrale, le merci viaggiano per il 30% su fiumi e canali, da noi meno dell’1%. Il “pianeta acqua” incrocia anche il mondo del trasporto, e dove lo fa i risparmi sono evidenti: in Germania il passaggio delle merci dalla produzione alla distribuzione costa circa il 2% in meno che in Italia, proprio l’aggravio che comprende il trasporto. L’UE, nel suo libro bianco La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte ricordava che il bacino del Po è sotto-utilizzato per le sue potenzialità di trasporto, ed era disposta a finanziare fino al 50% della fase di progetto e fino al 10% delle opere per rendere navigabile il Po, dal Delta a Piacenza con diramazione verso Milano. I costi? Il Consorzio Navigare sul Po li stimò nel 2000 in circa 400 miliardi di vecchie lire: circa 200 milioni di euro che, con il contributo europeo, si sarebbero ridotti probabilmente a 100.
Qualcuno ne ha sentito parlare? Si è fatto qualcosa?
Purtroppo, manca in Italia una visione politica che sia vicina alle necessità del Paese, che guardi alla soluzione dei problemi senza verificare, prima, se “tangenziale” fa rima con “tangente”.
Sorella acqua è d’animo gentile e ci sta mandando innumerevoli segnali: la stiamo sottovalutando, ingiuriando, violentando. Non sia mai che passi ai fatti.

ACTIMEL: dietro l'etichetta


L’intestino umano è un ecosistema unico, ed il marchio di garanzia di qualsiasi ecosistema sano è la presenza di una grande diversità di microorganismi. Se siete schiavi delle bevande probiotiche (cosiddette salubri) potrebbe darsi che stiate procedendo verso l’instaurarsi di uno squilibrio dietetico poco salubre.

Quasi il settanta per cento del nostro sistema immunitario risiede nell’intestino. Le nostre viscere hanno anche un sistema nervoso – il sistema nervoso enterico – che è altrettanto complesso del sistema nervoso centrale (cioè il cervello e le innervazioni spinali) ed influenza in modo altrettanto importante la salute mentale e la sfera emozionale. Perciò mantenere il vostro intestino in buona salute è molto importante. Per farlo bisogna che vi sia un buon equilibrio nella presenza di batteri buoni e cattivi che sono propri dell’intestino umano. Di solito in un sistema digerente sano i batteri “buoni” superano quelli cattivi; e quando sono attivi aiutano anche a trasformare gli acidi organici in zuccheri, abbassano il colesterolo, sintetizzano le vitamine, suddividono gli enzimi, le proteine e le fibre presenti nel cibo ed aumentano le difese immunitarie.

E’ chiaramente dimostrato che mangiare yogurt fresco – che contiene benefici microorganismi vivi – è una sana abitudine che può migliorare il sistema immunitario. Tale evidenza, in merito ai prodotti pseudo farmaceutici come ad esempio Actimel – lanciato sul mercato come “alimento funzionale” – è meno chiara.

Un recente studio effettuato dalla “Reading University” ha scoperto che metà delle bevande probiotiche, degli yogurt e di altri prodotti analoghi, ad un’attenta analisi non erano conformi ai sei criteri fondamentali per determinare la buona qualità dei prodotti, cioè secondo i parametri che definiscono gli alimenti sicuri e assumibili dagli esseri umani. Devono essere freschi e in grado di sopravvivere ai succhi gastrici per poter raggiungere l’intestino in quantità tale da avere effetto; che esistano prove cliniche, sulla base di test scientifici, che ne affermino i benefici effetti sulla salute; la loro composizione sia chiaramente specificata; che l’etichetta sia chiara; che abbiano una durata effettiva che ne garantisca i benefìci sino alla data di scadenza.

Alcuni prodotti, incluso Actimel della Danone, sono ritenuti “soddisfacenti” – il che significa che contengono organismi vivi che sono in grado di raggiungere l’intestino. Nonostante ciò, si sa poco in merito ai benefici che può portare a lungo termine o qualsiasi altro effetto cui può portare l’assumere ogni giorno queste bevande dolci in nome della salute.


Una delle ragioni nasce dal fatto che le bevande probiotiche sono abbastanza nuove; dodici anni fa questo mercato non esisteva. Oggi nel Regno Unito, quello che va sotto il nome di “mercato delle bevande salutari” – che comprende drink probiotici ed altri che abbassano il livello del colesterolo – ha raggiunto ora i 227 milioni di sterline e nello scorso anno si è incrementato di uno stupefacente 65% . Più di 830 milioni di bottigliette sono state vendute negli scorsi 12 mesi, e questo equivale a 14 bottiglie per ciascun cittadino inglese.

Di queste, oltre un milione di bottigliette di Actimel Danone vengono acquistate ogni giorno. In Inghilterra la vendita dell’Actimel rappresenta ora il 49 per cento dell’intero mercato delle bevande probiotiche, il che significa il doppio rispetto a qualsiasi altra marca.

Coppe di benessere?

La legge sulle etichette da applicare ai cibi dice che i fabbricanti non sono obbligati a specificare quanti “batteri positivi” hanno usato o quanti organismi assumerete per ciascuna porzione. Per essere salubre, un alimento probiotico dovrebbe contenere 10 millioni - preferibilmente 10 miliardi – di batteri vivi. Mentre Actimel precisa di che cosa è fatto il contenuto – prodotto della Danone a base di L. casei imunitass (marchio registrato) – non dice nulla in merito al numero di batteri vivi presenti. E difatti, l’etichetta è più pubblicitaria che informativa e suggerisce ai genitori di aggiungere una bottiglietta di Actimel nel cestino della colazione dei loro figli per “proteggerli” ed aiutare le loro difese naturali.

Mentre alcuni brevi studi hanno dimostrato che un supplemento di L.casei imunitass può aiutare a prevenire la diarrea nei bambini in fase di sviluppo, e può – al massimo in piccola misura – dare un momentaneo supporto al sistema immunitario, non vi sono studi in merito a questo e ad altri drink del genere, che dicano cosa accade a lungo termine.

Qualsiasi possa essere il beneficio che può derivare dall’assunzione di Actimel esso viene quasi cancellato dal fatto che in esso è presente anche una notevole quantità di zuccheri. Ogni bottiglia da 100 gr contiene 13 gr. di zucchero liquido. Guardando questo dato in prospettiva, un recente studio effettuato dall’OMS, afferma che, per gli adulti, un consumo giornaliero di zucchero, allo stato puro o presente nei cibi, non dovrebbe superare i 48 gr , 12 cucchiaini da te. I dietisti affermano che la quantità dovrebbe essere inferiore, circa 10 cucchiaini da te e cioè 40 gr. Partendo da questa base, una bottiglietta di Actimel fornirebbe da un quarto ad un terzo della quantità massima di zucchero assumbile ogni giorno.

Mentre è assodato che le bevande probiotiche come questa non rientrano nell’ambito dei cancerogeni, neurotossici o nei produttori di tossine ( a meno che non siano dolcificati con zuccheri artificiali) non è tuttavia dimostrato se l’assumerli porterà qualche effettivo giovamento, specialmente per coloro che seguono una vera dieta per la loro salute.

Cibare l’intestino

La mancanza di varietà nella nostra dieta significa la perdità della varietà dei nostri batteri intestinali. Tutti quelli che vengono definiti “fermenti buoni” dell’intestino devono essere nutriti quotidianamente affinché ogni batterio che muore e viene espulso sia regolarmente rimpiazzato. Perché ciò si verifichi, noi, idealmente, dobbiamo includere circa 40 gr (circa 1 oncia e ½) di vari carboidrati solidi, spesso indicati come ‘prebiotici’, nella nostra dieta quotidiana. Senza il loro cibo preferito, molti dei batteri buoni presenti nell’intestino possono velocemente morire, con la conseguenza di diminuire le difese e influire negativamente su altre funzioni del corpo.

I prebiotici si trovano nella maggior parte della frutta fresca, nella verdura e nei cereali integrali – banane, carciofi, cicoria e frumento ne sono particolarmente ricchi. Più includerete questi elementi nella vostra dieta, più aumenterete, in modo naturale, la presenza di una salubre diversità di batteri buoni nel vostro intestino ed avrete meno necessità di assumere un supplemento speciale di elementi probiotici che altro non farebbero se non creare una sovra abbondanza di un solo tipo di batteri.

Ingredienti

Yogurt, Latte scremato: Ingredienti base. Sono entrambi pastorizzati, cosa che distrugge gli elementi nutritivi e muta la struttura delle proteine del latte (specialmente della caseina) trasformandole in qualcosa che il vostro corpo non è preparato a digerire. Ciò elimina virtualmente i batteri buoni che sono naturalmente presenti nel latte e nello yogurt.

Zucchero liquido: Dolcificante. L’etichetta non spiega se questo è sciroppo di fruttosio o sciroppo di glucosio. Il primo è devastante per la salute, aumenta il colesterolo, rende più difficile il controllo del peso, altera l’equilibrio del magnesio, aumenta la resistenza all’insulina e causa l’aumento della pressione.

Destrosio: Dolcificante. Viene anche chiamato glucosio. Uno zucchero che provoca l’immediato rialzo della glicemia portando ad un eccessiva produzione di insulina, un calo degli zuccheri del sangue, un senso di fatica e di depressione. Il destrosio deriva dal grano di frumento, da tenere presente se avete un’intolleranza per il frumento.

Amido di Tapioca modificato: Addensante, stabilizzante. Questo addensante buono per qualunque scopo deriva dalle radici della Cassava o della Yucca, lo si trova sia nelle bevande e negli yogurt come negli adesivi, negli esplosivi, nei prodotti di carta e nel finissaggio dei tessuti. Non è una sostanza presente in natura e non aggiunge principi nutritivi né si conoscono i suoi effetti sulla salute.

L. Casei Imunitass: Sostanza probiotica. Da studi fatti si è appreso che combatte la diarrea dei bambini e (in parte) i disturbi provocati da batteri quali l'E. coli. Nelle persone, studi non ufficiali dimostrano che ha un blando effetto rinforzante sulle funzioni immunitarie.

Insaporitori: Aggiungono gusto. Insaporitori significa profumi, aromi. Questi derivano da elementi petrolchimici e contengono le stesse neurotossine, cancerogene ed allergogene che si trovano nei profumi.

Titolo originale: "Behind the Label: Actimel"
DI PAT THOMAS
The Ecologist

13 maggio 2008

La musica cura i pazienti colpiti da ictus



Secondo uno studio svolto in Finlandia, la musica fa bene al cervello perché aiuta le persone colpite da ictus a recuperare più in fretta. Secondo i ricercatori, le persone che hanno ascoltato musica per alcune ore ogni giorno, hanno migliorato più rapidamente la loro memoria verbale rispetto a pazienti che non hanno ascoltato musica né audiolibri.

La terapia della musica è stata sempre utilizzata in una grande varietà di trattamenti, ma lo studio pubblicato nella rivista Brain è il primo che dimostra chiaramente gli effetti della musica sulle persone.

Secondo i ricercatori, queste scoperte dimostrano per la prima volta che ascoltare musica durante lo stadio di ripresa da un ictus, può aumentare le possibilità di recupero cognitivo ed evitare uno stato d’animo negativo.

L’ictus, che si verifica quando l’afflusso del sangue al cervello subisce un arresto, causa la distruzione dei tessuti del cervello e rappresenta una delle cause principali a livello mondiale di morte oltre che di disabilità permanente. Tra le cure vi sono i farmaci in grado di far diluire il sangue e i tentativi di abbassare il livello di colesterolo.

Lo studio ha osservato 60 persone colpite di recente da ictus all’arteria cerebrale media nella parte destra o sinistra del cervello. Questo tipo di ictus è quello più comune e influisce sulle capacità motorie, linguistiche e su molte altre funzioni cognitive.

Una parte delle persone sottoposte a osservazione ascoltava ogni giorno la sua musica preferita o utilizzava audiolibri mentre l’altro gruppo non ascoltava alcun tipo di musica.

Tre mesi dopo essere stati colpiti da ictus, in coloro che avevano ascoltato la musica si poté osservare un miglioramento del 60% nella memoria verbale rispetto a un 18% in coloro che avevano usato gli audio libri e il 29% in quelli che invece non avevano ascoltato nulla.

Inoltre, nel 17% di coloro che avevano ascoltato la musica, fu evidente un miglioramento nella capacità di concentrazione, come conferma Teppo Sarkamo, psicologo presso la Cognitive Brain Research Unit dell’Università di Helsinki, responsabile dell’esperimento.

Secondo lui non sarebbe possibile affermare con esattezza ciò che accade nel cervello ma sulla base delle ricerche precedenti e della teoria, si può affermare che la musica può aiutare a riattivare quelle zone del cervello che sono state danneggiate e questo mostra come la musica possa rappresentare un ulteriore trattamento, oltre tutto molto non dispendioso, per curare le persone colpite da ictus.


MICHAEL KAHN - Reuters

11 maggio 2008

OGM: scacco ("matto") alle contaminazioni?


È uno dei rischi più temuti delle coltivazioni di piante transgeniche: la possibilità di contaminazioni, anche accidentali, dei raccolti normali. Ma, invece di preoccuparsi di come contenere alla base il fenomeno, alcuni ricercatori dell'Università di Hangzhou propongono un altro tipo di soluzione: usare un erbicida per eliminare le piante ogm dalle coltivazioni tradizionali. Il team cinese ha infatti pensato di rendere le piante di riso gm sensibili al benzatone, un diserbante al quale le piante normali sono invece naturalmente resistenti. In questo modo, dicono gli scienziati, si potrebbe eliminare facilmente l'eventuale riso modificato dai campi tradizionali, che già vengono trattati con benzatone per distruggere le erbe infestanti.
Esperimenti pericolosi

CHE SOLUZIONE ORIGINALE...
Peccato che l'eventuale contaminazione non si limita alla stessa specie, ma può avvenire anche tra specie diverse, che ereditano caratteristiche genetiche estranee con risultati imprevedibili. Fatto chiaramente dimostrato da una ricerca che il governo britannico ha condotto nel 2005. E poi, se la soluzione sono i diserbanti, man mano sarà necessario utilizzare sostanze nuove e più potenti. E poi (ancora), non sono decenni che ci si batte per ridurre l'uso di pesticidi e diserbanti, che hanno un provato impatto negativo sull'ambiente? E non era anche per questo che l'industria giustificava gli ogm?
fonte:focus.it

09 maggio 2008

Quando l'olio non sa di olio


Li hanno bloccati sul più bello. L'olio extra vergine pugliese, "quello tinto con la clorofilla... che è veleno ed è pure cancerogeno", ridevano per telefono, stava per sbarcare negli Stati Uniti. I container pronti, gli acquirenti già trovati: sono arrivati i carabinieri e hanno sequestrato tutto. Intanto però avevano già invaso i piccoli market di Milano e provincia. Ma anche molti negozi in Germania, Svizzera, e per rimanere in Italia, in Toscana, Liguria, Veneto. Il prossimo business era quello dell'Europa dell'est. In un anno e mezzo avevano messo già sul mercato 400 mila lattine di olio contraffatto, cattivo e pericoloso per la salute dell'uomo. "Ma in fondo, noi, mica spacciamo droga. Non facciamo niente di male", si rincuoravano tra loro.

Era una banda organizzata quella dell'olio alla clorofilla, un'"associazione a delinquere" esperta e specializzata, tanto che molti dei componenti sono riconducibili a famiglie della criminalità organizzata. È la mafia di Cerignola (la patria dei caporali del pomodoro), quella radicata nello spaccio di droga e nel commercio di auto rubate. Che, a qualche chilometro di distanza dalla centrale del vino adulterato, aveva messo mano sul grande business della sofisticazione alimentare. E piano piano stava avvelenando l'Italia. Tutti i giorni, a tavola, condendo l'insalata.

A scoprire la banda della 'Mercedes bianca' è stata la procura di Foggia insieme con i carabinieri del Nas di Bari: 39 arresti, quattro famiglie (Pedico, Errico, Sinerchia-Giannatempo e Merra) che, come fossero i mandamenti mafiosi, si erano divisi il territorio, ma condividevano i modi di operare, il business, le tecniche di avvelenamento. Taroccavano l'olio. Poi lo marchiavano con etichette di aziende inesistenti ma dal nome ammiccante (Il Frantoio, La Torre, Le gocce d'oro), con tanto di spiegazione altisonante sul retro ("È olio ottenuto mediante frangitura e sgocciolamento naturale a freddo di olive selezionate"). Lo imbottigliavano. E partendo dalla Puglia o dalla Campania lo caricavano su un furgone Mercedes bianco e con l'aiuto di compaesani emigrati al Nord invadevano i mini-market dell'hinterland milanese e di altre regioni nel Nord.

Il business era enorme: una lattina da cinque litri di olio taroccato costa all'associazione circa 5 euro (comprese le spese di trasporto, le etichette, i contenitori metallici in banda stagnata, i tappi e l'olio di semi). Da quel furgoncino bianco veniva scaricato e venduto nei market del nord Italia come "olio extravergine di oliva" a 20 euro. Il guadagno netto era di oltre il 400 per cento. In 18 mesi, da quando cioè i Nas coordinati dal pubblico ministero Giuseppe Gatti si sono messi sulle tracce della banda, sono state immesse sul mercato un centinaio di tonnellate di prodotto per un giro di affari di quasi 10 milioni di euro. Frutto, come spiega uno degli investigatori, di un marketing criminale: "Un tempo dal Sud arrivava olio sfuso, costava poco, ma era cattivo. Ora invece si truffano i consumatori sfruttando proprio il fatto che l'olio fosse doc, che arrivasse dagli uliveti pugliesi, che fosse fatto come un tempo". Avevano fatto le cose in grande, come si legge sulle etichette pirata: "L'olio prodotto prima del confezionamento viene conservato in recipienti a temperatura costante in assenza di luce e aria", tanto che "potrebbe formarsi un leggero deposito sul fondo. Ciò è dovuto a precipitazioni naturali che non pregiudicano, anzi denotano la genuinità del prodotto". Quel 'deposito sul fondo' in realtà poteva essere muffa. La banda utilizzava la clorofilla in garage lerci a San Ferdinando di Puglia, un paese a pochi chilometri da Foggia. Oppure acquistava "olio proveniente da organismi geneticamente modificati, olio la cui natura ed eventuale non tossicità sono ancora tutte da dimostrare", scrive il gip di Foggia, Lucia Navazio, che ha arrestato le 39 persone.

A leggere le carte, la Procura è arrivata appena in tempo. L'8 giugno 2007 i carabinieri del Nas sequestrano a Pietro Errico - considerato "il capo indiscusso del sodalizio delinquenziale" - 1.680 litri di olio alla clorofilla pronte a partire per gli Stati Uniti. Dicono gli investigatori che si trattava soltanto di un assaggio del nuovo, grande business: dopo aver invaso il nord Italia, aver cominciato a vendere in Svizzera e Germania, era l'America la nuova frontiera. Errico aveva contattato già l'intermediario per la vendita, preparato la prima partita. I container erano pronti all'imbarco quando sono intervenuti e hanno sequestrato tutto i Nas di Taranto, allertati dai colleghi baresi. Il business negli ultimi mesi stava crescendo, e parecchio. Per questo la banda aveva deciso di non fare più tutto in casa ma di rivolgersi a professionisti del settore per produrre etichette e bottiglie, per di più ditte campane. Era proprio dalla provincia di Napoli che partivano i camion Mercedes alla volta del Nord. Le sofisticazioni venivano realizzate però sempre e soltanto in Puglia; a coordinare le operazioni c'era sempre un componente della famiglia e a colorare l'olio provvedeva un gruppo di rumeni, assoldati e istruiti in mesi di addestramento. A volte sbagliavano, però. Tanto che l'estate scorsa un uomo pugliese dell'organizzazione si prese una bella 'cazziata' dai milanesi. Tanti rifornitori si stavano lamentando che "l'olio faceva schifo. Diglielo, altrimenti qua succede il casino. Dovete tagliarlo meglio", come urlava al telefono uno dei rivenditori, ascoltato dai carabinieri.
L'inchiesta nasce proprio da un errore di sofisticazione. Una serie di utenti segnalano ai Nas di Torino la presenza in commercio di olio cattivo. Vengono così ordinate alcune analisi e l'esito non lascia dubbi: non si trattava di extravergine, ma di olio di semi colorato. Le bottiglie sequestrate in Piemonte portano l'etichetta della Cooperativa Agricola Latorre di Andria. La cooperativa però non esiste. Da Torino viene così mandata un'informativa a Bari e gli uomini del comandante Antonio Citarella in due giorni riescono a risalire al centro si smistamento dell'olio taroccato: il 12 dicembre del 2006 sequestrano a Cerignola circa 30 mila etichette di varie aziende olearie inesistenti, tappi, cartoni per imballaggi, attrezzature varie, e 20 chili circa di sostanza scura, presumibilmente clorofilla. "Da quel momento abbiamo cominciato a risalire la piramide", raccontano gli investigatori: "Era come una matrioska, un sistema fittissimo di scatole cinesi: da un'etichetta arrivavamo a un'altra, indagando su un gruppo malavitoso risalivamo a un altro". "Un effetto devastante non soltanto sul piano del danno arrecato ai singoli destinatari del prodotto alimentare", spiega la giudice Navazio di Foggia: "Ma, se possibile, ancora di più all'immagine del mercato dell'olio extra vergine di oliva italiano. Hanno creato etichette ammiccanti per il consumatore per vendere e truffare meglio. Utilizzando il marchio del made in Italy è stata gravemente lesa l'immagine del mercato nazionale del settore, vista la ricerca di canali di commercializzazione del prodotto all'estero". Gli americani se ne facciano una ragione: per l'olio taroccato doc dovranno ancora aspettare un po'.
fonte: espresso.it

06 maggio 2008

In calo il desiderio Sessuale: Perchè?


Ci sono sempre le eccezioni che confermano la regola.E, anche le isole.

Il calo del desiderio, soprattutto maschile, è triplicato negli ultimi 10 anni. Ad evidenziarlo i sessuologi, ginecologi e andrologici che a Roma hanno anticipato alcune delle novità più significative che verranno presentate nel corso del 9° Congresso della Federazione Europea di Sessuologia sotto la presidenza di Chiara Simonelli, sessuologa dell’Università “La Sapienza” di Roma e vice presidente della Federazione.
“Noi ginecologici – ha sottolineato il prof. Salvo Caruso, Presidente della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica e professore di Ginecologia all’Università di Catania – vediamo sempre più italiani con un calo del desiderio e quello che sorprende è che sono le coppie giovani ad avere meno voglia di fare l’amore. Lo confessa lei al ginecologo. La situazione è in crescendo nelle regioni del Nord rispetto al Sud ma questo perché c’è una maggiore apertura aa confessare quello che una volta era inconfessabile.
La donna di oggi – ha proseguito - ha “sdoganato” la sessualità e si rende conto che non c’è da vergognarsi a raccontarla. E’ in grado di fare confronti, addirittura si sente in diritto di farli. E quando il confronto è per lei deludente, non si rassegna. Alla fine si sfoga con il ginecologo e davanti a questo calo del desiderio che sembra essere irrisolvibile chiede la “pillola dell’amore”. Oggi un 30% delle donne insoddisfatte del rapporto chiede la “pillola dell’amore” per il proprio partner. E così questa pillola, assunta un tempo dall’uomo nel silenzio e nella clandestinità, adesso è assunta con il consenso della partner, anzi con il suo invito”.
Ma le sorprese non finiscono qui: gli esperti hanno infatti rilevato come 40 coppie italiane su 100 non facciano l'amore, o lo facciano molto poco. E sono soprattutto gli uomini a ritrarsi, declinando al maschile l'abusato pretesto del mal di testa, per poi magari rifugiarsi tra le braccia di una prostituta o, meglio ancora, di una donna virtuale su internet. Sono sempre in voga nelle coppie italiane le vecchie 'perversioni', filmini e travestimenti, ma crescono infatti anche quelle legate alle nuove tecnologie.
“Nei giovani uomini italiani siamo alle soglie dell'anoressia sessuale – ha affermato il prof. Giorgio Franco – Andrologo, Professore associato Dip. Di Urologia Università La Sapienza di Roma - - C'è un notevole calo del desiderio nel giovane, superiore a quello che vedevamo e vediamo nel maschio adulto. A questo calo del desiderio si unisce l'eiaculazione precoce che colpisce quattro milioni di italiani.
I giovani italiani a partire dall'adolescenza sono soggetti emancipati e informatissimi sul sesso. Quando questi giovani si trovano fra i 25 e i 35 anni a fare i conti con i problemi dell'adulto e vivono i rapporti intimi in una relazione affettiva duratura non sanno gestire la sessualità giorno dopo giorno. Non sapendo gestire la propria sessualità cercano un porto sicuro e lo trovano nella fantasia, finendo tra le braccia di quella che potremmo definire l'amante del nuovo millennio e cioè la donna virtuale incontrata su internet. C'è anche un termine che definisce questa situazione: cybersexual addiction dove vengono sintetizzate due dipendenze, una sessuale e una tecnologica”.
Inoltre è in aumento la 'Sindrome di Amsterdam', cioè la tendenza degli uomini a mettere su Youtube filmati contenenti le proprie partner. “Grazie a un semplice telefonino si filma la propria donna in atteggiamenti spinti e la si mette su Youtube - ha spiegato la Simonelli - dove tutti la possono vedere ma nessuno la può toccare”.
Nel corso del Congresso verrà inoltre presentato una indagine realizzata prendendo in esame le cartelle cliniche di 402 pazienti, uomini e donne tra i 17 e i 70 anni, che si sono presentati all’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma chiedendo consigli su come superare le loro difficoltà sessuali (63% di uomini e 71% di donne che vivevano in coppia). Dall’indagine è emerso come gli uomini, sia single che con una partner stabile, lamentano in primo luogo un problema: la disfunzione erettile (rispettivamente 28,7% e 37,7%), segue l’eiaculazione precoce (13,8% e 22,5%). Nei single (17%) rispetto a quelli che vivono una relazione stabile (5,1%) il problema assillante è quello dei problemi psicologici. Al contrario gli uomini in coppia (14,5%) lamentano molto più dei single (5,3%) il calo del desiderio.
Per quanto riguarda le donne, quelle che vivono una relazione stabile hanno problemi a letto soprattutto a causa di vaginismo e mancanza di orgasmo (22,7% e 12,5%) e in secondo luogo per problemi psicologici (12,5%). Al contrario, le donne single hanno soprattutto problemi di relazione e psicologici (35,7%) e solo in minima parte si lamentano per difficoltà di carattere sessuale (5,4% vaginismo e 3,6% mancanza di orgasmo).
fonte:italiasalute.it

02 maggio 2008

Il latte artificiale della Nestlè


La Nestlé S.A è la più grande azienda mondiale nel settore alimentare e Produce e distribuisce una grandissima varietà di prodotti alimentari, dall'acqua minerale agli omogeneizzati, dai surgelati ai latticini.

In Italia, la Nestlè arriva nel 1913, costituendo la “Henri Nestlè” ed aprendo lo stabilimento di Abbiategrasso nel 1924 per la produzione di latte condensato e farina lattea. Ma la storia come grande impresa comincia nel 1988, quando acquisisce, dalla “Cir” di Carlo De Benedetti, la Buitoni-Perugina, per una cifra di 1.600 miliardi di lire. Anche da noi partiranno una serie di acquisizioni e fusioni che la renderanno leader nel settore alimentare: la Perrier, grazie alla quale ha acquisito i marchi di acqua minerale Vera, San Bernardo e una quota della Compagnie Financiere du Haut-Rhin (Cfhr), grazie alla quale nel ’97 ha acquisito il gruppo San Pellegrino-Garma (Sanpellegrino, Levissima, Recoaro, Pejo, Fiuggi, Panna, Claudia e San Bitter), cosi ora la multinazionale controlla circa il 25% del mercato italiano; nel ’93, approfittando della privatizzazione dei prodotti del gruppo Sme, la Nestlé aggiunge alla sua ricca tavola i marchi Motta, Alemagna, La Cremeria, Antica Gelateria del Corso, Maxicono, Surgela, Marefresco, La Valle degli Orti, Voglia di pizza e Oggi in Tavola; grazie all'acquisizione di Italgel, il cui pacchetto di controllo (62%) è costato 437 miliardi di lire, fa salire il fatturato della divisione italiana a 3765 miliardi di lire e consente alla multinazionale svizzera di entrare, anche in Italia, nel panorama dei gelati e dei surgelati. Infatti, secondo un vecchio patto tra multinazionali alimentari, al colosso di Vevey fu assegnato il diritto di sfruttamento del marchio Findus in diversi paesi europei ma non in Italia dove è tuttora in mano alla concorrente Unilever.

Nel nostro paese il gruppo svizzero conta 24 stabilimenti con circa 7 mila dipendenti e controlla, oltre a quelli già citati, i marchi Smarties, Kit Kat, Galak, Lion, Crunch, After Eight, Quality Street, Rowentree, Cailler, Toffee, Polo, Fruit Joy, Orzoro, Latte condensato e cioccolato Nestlé (dolci), Nestea, Beltè, Spumador (bevande), Vismara, King's (insaccati), Sasso (olio), Berni (conserve), Locatelli, Mio, Fruttolo, Fiorello (latticini), Pezzullo (pasta), Maggi (cucina generale), Friskies, Buffet (cibi per animali) e naturalmente il famigerato latte in polvere per neonati Nidina e i boicottati Nesquik e Nescafè (autentici portabandiera della multinazionale elvetica).

Ovviamente, a questa strategia di ampliamento commerciale, è corrisposto un forte aumento di peso politico. La Nestlè fa parte di ERT, un’associazione europea creata per rappresentare gli interessi delle multinazionali in sede europea e fa parte pure di EuropaBio, associazione che raggruppa le industrie con interessi nel settore delle biotecnologie, il cui scopo è d’intervenire a tutti i livelli per legittimarne l’impiego. Inoltre, secondo alcune fonti, finanzia fortemente entrambi i partiti americani, tanto che per la campagna presidenziale del 2002 avrebbe “investito” 153.000 dollari, destinati per il 23% al Partito Democratico e per il restante 77% al Partito Repubblicano.

Una volta chiarite le dimensioni dell’azienda e ripercorso un po’ la sua storia, cominciamo a parlare delle sue nefandezze. Nel 1989, in Brasile, i lavoratori di una fabbrica di cioccolato inscenarono uno sciopero per denunciare le condizioni di lavoro penose, la discriminazione nei confronti delle donne, la mancanza di adeguati indumenti protettivi e di adeguate condizioni di sicurezza. In breve tempo quaranta operai furono licenziati, compresi quasi tutti gli organizzatori dello sciopero. Nel 2002, l'agenzia Oxfam rivelò che la Nestlé aveva fatto causa all'Etiopia per 6 milioni di dollari. L'Etiopia, uno dei paesi più poveri del mondo, si trovava in un periodo di carestia che metteva in pericolo la vita di oltre 11 milioni di persone. La Nestlé chiedeva un risarcimento per un'azienda del settore agricolo di sua proprietà, nazionalizzata nel 1975 dal regime marxista di Mengistu. basti pensare che un solo anno di vendite realizzate da Nestlé è pari a 8 volte il PIL della misera Etiopia. Nel dicembre del 2002 Nestlè ha accettato di accordarsi con le autorità etiopi per ricevere 1,6 milioni di dollari. Nel 2005, la Nestlé Purina commercializzò tonnellate di cibo per animali contaminato nel Venezuela. I marchi incriminati includevano Dog Chow, Cat Chow, Puppy Chow, Fiel, Friskies, Gatsy, K-Nina, Nutriperro, Perrarina e Pajarina. Morirono oltre 500 fra cani, gatti, uccelli e animali da allevamento. Il problema fu attribuito a un errore di un produttore locale che aveva immagazzinato in modo scorretto il mais contenuto in tali cibi, portando alla diffusione di un fungo tossico nelle riserve. Nel marzo del 2005, l'Assemblea Nazionale del Venezuela stabilì che la Nestlé Purina era responsabile a causa di insufficienti controlli di qualità, e condannò l'azienda a risarcire i proprietari degli animali intossicati.

Ma il problema più grave che riguarda la Nestlè, è quello della diffusione del latte in polvere nei paesi poveri. Comunemente si pensa che questo sia migliore di quello materno,in quanto è arricchito di sali minerali e vitamine, ma studi scientifici dimostrano il contrario; infatti quello materno è più salutare e protegge maggiormente il bambino dalle infezioni, oltre ad avere importanti effetti immunitari. Secondo l’UNICEF, i bambini allattati artificialmente sono esposti alla morte il 25% in più rispetto a quelli che usano il materno. la prima ragione è da ricercarsi nella denutrizione dovuta al fatto che molte famiglie guadagnano troppo poco per attenersi alle dosi prescritte. Secondo uno studio condotto dall'organismo inglese War on Want, nel 1974, in Nigeria, il costo dell'alimentazione artificiale di un bambino di tre mesi rappresentava il 30% del salario minimo di un operaio. Il costo passava al 47% quando il bambino raggiungeva i 6 mesi. Se consideriamo che dall'80 al '90 i salari sono diminuiti del 30-40%, non deve stupire se il latte è annacquato diverse volte più del prescritto, con il risultato finale che i bambini, lungi dal crescere belli e robusti, diventano rachitici e sottopeso fino a morire.

La seconda ragione per cui l'allattamento al biberon uccide, è la mancanza di igiene.

L'acqua con cui il latte è preparato è spesso malsana ed è impossibile sterilizzare biberon e tettarelle senza la comodità del fornello e senza disinfettanti.

Mamme con pochi soldi, poche comodità e poche conoscenze igieniche somministrano ai loro bambini latte allungato in biberon a malapena sciacquati, con tettarelle esposte all'aria, su cui si posano di continuo decine di mosche. Le inevitabili conseguenze sono infezioni intestinali che provocano diarree mortali.

Secondo l'UNICEF, un milione e mezzo di bambini muoiono ogni anno perché non sono allattati al seno. Il problema è che l’uso del latte artificiale era iniziato per aiutare quei bambini che non potevano nutrirsi con quello materno, ma ora a causa delle multinazionali si è diffuso a dismisura. Le pubblicità spingono le donne ad usare il biberon, spacciato per elemento di sviluppo. . Oltre a distribuire cartelloni pubblicitari recanti immagini di bambini sani e paffuti negli ospedali, le ditte produttrici si mettono in contatto con i medici locali. Organizzando corsi e seminari per il personale sanitario fanno entrare in uso i loro prodotti negli ospedali. I rappresentanti delle ditte arrivano a fingersi infermieri per convincere le donne incinte a comprare il prodotto commercializzato. In questo sono molto facilitati dalla carenza di informazioni mediche (spesso le uniche disponibili sono proprio quelle fornite dalle ditte produttrici).

Una delle più redditizie tattiche di marketing usata in particolar modo della Nestlé è di dare gratis il latte per bambini o i sostituti agli ospedali e ai reparti maternità. In molti casi, viene dato abbastanza latte perché tutti i bambini nati all'ospedale siano allattati con il biberon. Alle madri viene spesso dato anche un barattolo campione da portare a casa. Dare il latte con il biberon ai neonati fa si che il latte materno venga progressivamente a mancare e l'allattamento al seno diventi impraticabile. Di conseguenza il bambino diventa dipendente del latte artificiale. Una volta a casa, le madri non ricevono più il latte gratis, ma se lo devono comprare. Da questo nascono da una parte i profitti della multinazionale e dall'altra le spaventose conseguenze di malattie e denutrizione. Tutte queste forme di “pubblicità” violano il Codice Internazionale redatto da UNICEF e OMS proprio per arginare le speculazioni alimentari.

Ovviamente anche altre multinazionali alimentari attuano comportamenti scorretti, ma la Nestlè è la multinazionale più potente del mondo nel campo agro alimentare, vende il 25% dei suoi prodotti nel Sud del Mondo e controlla circa il 35-50 % del mercato globale del cibo per bambini, indirizzando tendenze di marketing che influenzano le altre ditte. Inoltre ricorre a irresponsabili tecniche di marketing più spesso di ogni suo concorrente, infatti da quasi due decenni l'IBFAN (International Baby Food Action Network) rende note periodicamente le trasgressioni al Codice da parte delle ditte produttrici attraverso la pubblicazione "Breaking the Rules", e si può notare come la Nestlè sia responsabile del 25% delle violazioni generali, quasi il doppio delle sue concorrenti.

Manuel Zanarin