30 agosto 2007

Un condominio sanvitese raccontato per la Mondadori


Mi ero già occupato del libro della sorella di Attilio ma la recensione del Prof. Alberto di Giovanni è un riassunto, una breve introduzione ad uno spaccato di vita quasi quotidiana di questo comune. I luoghi, sono vere i personaggi verosimili ma, la narrazione nell'abile penna di Giulia completa il contesto.
Che dire, il piccolo paesello di provincia che la Giulia adora e la Mondadori abilmente celebra. Alberto di Giovanni nella sua recensione non riassume solo la trama, va avanti entra, cesella, rende ancora più appassionato il racconto.

Vola nelle librerie il nuovo romanzo della scrittrice frentana Giulia Alberico “ Il vento caldo del garbino”, edito da Mondatori. Il libro racconta, in tre capitoli, la vita e la tensione che brulicano durante tre giornate di minaccioso, inquietante, opprimente “garbino” all’interno di un piccolo condominio di un paese di mare della costa dei trabocchi sull’Adriatico.
Un luogo dove, presso un corso d’acqua, c’è un molo coi trabocchi da cui si vede Punta Penna, dove le “vigne e gli ulivi scendono a lambire il mare”; dove c’è uno stabilimento balneare chiamato Aldebaran, dove si trovano spiaggette impervie, ma appartate e tranquille; dove si svolge una caratteristica processione al mare per festeggiare la Madonna del Porto; dove gli arrivi improvvisi tempestosi del garbino sono detti “ rivuddure” dai pescatori.
Un romanzo concentrato nello spazio e nel tempo, abbastanza compatto, annonico nell’architettura e armonioso nella tessitura. Racconto in terza persona che fila spedito e avvincente, intervallato da saporosi dialoghi e condito da contrappunti di sottile e garbato umorismo. Una prosa tersa, asciutta e densa e una lingua essenziale, incisiva e straordinariamente chiara, che strizza l’occhio al parlato, ma senza sbavature.
Sul piccolo condominio, non diverso da tutti quelli del mondo, la scrittrice focalizza la sua attenzione nei giorni 3,4 e 5 agosto di una calda estate, mentre imperversa un marcio garbino che fa ritirare tutti nel proprio guscio. Una varia umanità, “ sfiancata dal caldo e dalle emozioni”, si avvita nei ricordi, nei rimpianti, nei sogni; rumina amarezze e sordi rancori. La scrittrice porta alla ribalta, a uno a uno gli abitanti ( tutte donne, tranne uno): una galleria di personaggi vivi e veri. Tante storie parallele, che, ad ogni pagina, presentano una novità, una nuova partenza, un chiarimento ulteriore, una sorpresa.
Un pezzo di storia dopo l’altro, un personaggio appresso all’altro. La Alberico li appaia, li spariglia, li riannoda e intanto fa venire a galla conflitti familiari, brandelli di giovinezza andata, vite chiuse nell’arco di un’avventura scolastica, dolorosi rimpianti di amori perduti, simbiotiche amicizie tra amiche che si trasformano in acre rivalità, rapporti madre figlia/o padronali ed esproprianti, carità false e recitate, strani rapporti coniugali, l’ingenuo e fiducioso ancoraggio a un “indegno amore lontano”, la solitudine inconsolabile di una vedova, la durezza di cuore di donna che si scioglie in insospettata tenerezza per un animale ferito.
Emergono sentimenti forti e vibranti, ma senza zuccherosi sentimentalismi. La scrittrice non indulge al banale voyeurismo, ma prospetta automaticamente l’Essere Umano nella sua problematica interezza esistenziale, annegata tra incertezze esistenziale, annegata tra incertezze, paure, ambiguità irrisolvibili.
Il garbino (Ostro-libano-libeccio), che sulla costa Adriatica ha attraversato le giornate di tutti noi, è quel afoso, calamitoso, deprimente, foriero di pioggia tempestosa, che rivela la meteoropatia che ci portiamo addosso; un vento di “cattiva natura”, come diceva il Benincasa già nel XVI secolo.
Per la Alberico è solo l’occasione, poco più di un pretesto, per ricordi, per evocazioni sul filo di una memoria antica, per inseguire se stessa, il presente, il passato, il senso o il non senso della vita; per indagare come gli uomini, ma soprattutto le donne, reagiscono di fronte alle sconfitte e al fallimento; per scrutare, insomma l’animo umano, quello femminile in particolare, che lei sa leggere e rappresentare come pochi.
Personaggio chiave ed unico maschio del romanzo è Alfonso Basti; una figura simpatica ed affascinante, un distinto ammiraglio in pensione, mezzo filosofo, “venuto a patti con la solitudine, da cui ha ricavato qualche dolcezza”, che osserva tutto il distacco e tiene il filo da dietro le quinte.
Il romanzo chiude con una pioggia ristoratrice, che scarica le tensioni, e con il ritorno della quiete dopo la tempesta. “ Il temporale si porta via l’estate e le scorie degli umori tristi”.
La lezione è che nulla si muta senza sofferenza e che ogni metamorfosi reca morte apparente e genera resurrezione. La scoperta che, per tutti noi, una delle cose più difficili è capire chi amiamo, chi abbiamo vicino; e che la felicità o l’infelicità di un essere “ non è focosa di cui un altro può farsi carico o garante”.

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