Con l'Art. 23 bis del decreto legge recante la firma del ministro Tremonti ed approvato il 5 agosto di quest'anno si stabilisce che le reti idriche, pur rimanendo pubbliche, possono essere gestite da società private, come nel caso del gas e dell'energia elettrica.
Legge contraddittoria in quanto, se da un lato si ribadisce la natura pubblica del bene, dall’altro si spalancano le porte ai cosiddetti “privati”, ossia alle multinazionali.
Ismael Serageldin, vicepresidente della Banca Mondiale, aveva affermato pubblicamente che le guerre del XXI secolo, saranno i conflitti per potersi aggiudicare le risorse idriche del pianeta. Risorse che sono calate di circa il 30% negli ultimi trent’anni.
Nel Medio Oriente da diversi anni la Turchia (che ha una risorsa idrica pro capite superiore all'italia) è in conflitto con la Siria e l’Iraq per il controllo del Tigri e dell'Eufrate, mentre Israele dal canto suo ha esteso il suo controllo ai territori palestinesi dove vi è la maggiore presenza di acqua.
Con la privatizzazione mondiale del mercato dell'acqua, oggi bisogna porsi una domanda: se attualmente nel mondo ogni anno muoiono dai 40 ai 50 milioni di persone, come rileva la FAO, in un prossimo futuro quante ne morranno per sete?
In Italia il mercato delle acque minerali è quasi totalmente in mano alle multinazionali, proprietarie dei marchi più diffusi. La parte del leone la fanno la svizzera Nestlè (San Pellegrino, Lievissima, Panna, Recoaro, San Bernardo, Pejo, ecc) e la francese Danone (Ferrarelle, Guizza, Vitasnella, Boario, Fonte viva, San Benedetto, ecc).
Considerati i bassi costi di prelievo e gli altissimi ricavi, (per un litro d’acqua in bottiglia vanno dal 600 al 1.000%, nonostante le spese per il trasporto e per la pubblicità martellante) possiamo aspettarci un lotta senza quartiere per il controllo della nostra sete. La Nestlè, solo per fare un esempio, sta manovrando per il completo controllo dell’acquedotto pugliese, il più grande d’Europa.
A ciò si aggiunge la beffa degli oneri che lo Stato incassa per le concessioni: in pratica nulla. Tutte le acque sotterranee fanno parte del demanio, ma attualmente solo 6 regioni su 20 percepiscono un onere per il loro sfruttamento (oltretutto calcolate sulla base dell’estensione della sorgente e non della quantità di acqua prelevata): Piemonte, Veneto, Umbria, Campania, Basilicata e Sicilia. Nel resto d'Italia la nostra acqua viene regalata alle multinazinali che ritorna a caro prezzo sulle nostre tavole.
L'acqua è un diritto di tutti, un bene primario necessario per la vita dell'uomo e dell'ambiente e a nessuno dovrebbe essere permesso di usarla a fini speculativi. Sopratutto alle multinazionali. La battaglia per il mantenimento del controllo pubblico delle reti idriche italiane è, pertanto, di vitale importanza, ne va del nostro futuro e di quello del nostro ambiente: dobbiamo assolutamente vincerla.
di Gianfranco Perlato
16 novembre 2008
Le multinazionali alla conquista del Mercato dell'acqua pubblica
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