24 gennaio 2009

Il podere (piccolo e bello)


Per più di un secolo gli economisti hanno predetto la scomparsa
della piccola azienda agricola (il podere) che condannavano
come “sottosviluppata,
improduttiva e inefficiente”.
Oggi si verifica che, invece di essere una sopravvivenza del
passato
contiene una prospettiva ecologica produttiva ed efficiente
per il futuro.
Il processo in corso di liberalizzazione nel commercio
agricolo internazionale
sta avendo effetti fortemente
negativi ovunque sulle
piccole attività agricole.
Se vale la pena proteggerle, allora, è il
momento giusto per informare gli economisti del mondo ed i politici
sui motivi. Ma vale veramente la pena proteggerle?
Possono
competere con le grandi imprese agricole? Quali sono in termini
economici ed ecologici
i benefici delle piccole attività rurali?
Le ragioni a favore delle piccole attività agricole
In merito alla rinascita della piccola azienda agricola, è importante
sottolineare 3 punti chiave. Il primo: nonostante che i piccoli
contadini siano stati combattuti e cacciati negli ultimi 50 anni
dalle aree rurali di tutto il mondo, ancora insistono. In molte aree
anche degli USA continuano ad essere numerosi.
Nel Terzo Mondo
sono impegnati nella produzione
degli alimenti essenziali. Le
previsioni della loro scomparsa continuano quindi ad essere premature.
Il secondo punto è che la piccola attività agricola non è
così improduttiva o inefficiente come ci vorrebbero far credere
molti teorici. Infatti è evidente che un modello di sviluppo agricolo
basato sulla piccola azienda può produrre più cibo di quello
fondato sulle grandi imprese.
Il terzo punto è che la piccola azienda, il podere, esercita molte
funzioni a beneficio della società della biosfera che vanno ben al
di là della produzione di una particolare derrata. Essa dovrebbe
essere presa in attenta considerazione prima di varare una nuova
serie di misure contro la piccola azienda agricola, come quelle
discusse dal WTO e dai governi che ne fanno parte.
Le virtù della piccola azienda agricola negli USA
Forse con sorpresa il governo degli USA - uno dei più impegnati
nella liberalizzazione dell’agricoltura industriale nel mondo - è
d’accordo con la mia analisi sui pregi della piccola impresa. La
commissione nazionale sulla piccola azienda agricola del ministero
dell’agricoltura americano USDA ha pubblicato nel 1998 una
relazione importante intitolata “II tempo
per agire”. Quello che
l’ USDA in questa relazione definisce “il valore pubblico della piccola
azienda agricola” comprende:
Diversità: la piccola azienda incarna una diversità di forme di
proprietà, modi di coltivazione, paesaggi, cicli biologici, cultura
e tradizioni. Una struttura agricola variegata contribuisce alla
biodiversità, ad un paesaggio rurale diversificato ed esteticamente
piacevole.
Benefici ambientali: una gestione responsabile delle risorse naturali,
suolo, acqua e fauna come si incontra nel 60% delle aziende
agricole americane, costituito da aziende con meno di 70 ettari,
produce notevoli benefici ambientali.
Rafforzamento delle responsabilità comunitarie: una proprietà
terriera decentrata offre un’opportunità
economica più equa per
la popolazione rurale. Ciò può portare a un maggiore senso di
responsabilità personale e di autonomia sulla propria vita. I proprietari
terrieri che per le loro necessità contano sui commerci e
servizi locali hanno anche interesse al benessere della comunità e
dei loro cittadini.
Legame personale al cibo: la maggior parte dei consumatori ha
pochi contatti con l’agricoltura e di conseguenza pochi legami
con la natura e non apprezzano
il ruolo dell’agricoltore. Attraverso
i mercati agricoli e l’agricoltura sostenuta dalla comunità
rurale, i consumatori possono collegarsi a coloro che coltivano i
loro cibi.
Fondamenti economici: in vari stati e regioni degli USA le piccole
aziende agricole sono vitali per l’economia.
Le virtù del piccolo podere nel Terzo Mondo
Un quadro simile si ha anche nel Terzo Mondo dove le politiche
che promuovono le grandi imprese agricole
orientate all’esportazione,
hanno sempre più eroso la vitalità delle piccole attività
rurali. Nelle comunità agricole tradizionali il podere familiare
è strategico per la sostenibilità della produzione agricola. Nella
piccola azienda, le attività produttive, la mobilità del lavoro, i
modelli di consumo, le conoscenze ecologiche e gli interessi comuni
nel mantenere a lungo termine il podere come risorsa, contribuiscono
a renderlo un attività economica stabile
e duratura.
II guadagno a corto termine, che rischia di degradare le risorse
essenziali, colloca sia la famiglia che l’attività agricola a rischio di
collasso. Piccole aziende agricole familiari hanno regolarmente
una produzione più elevata e più dipendente dalla loro terra delle
imprese agricole grandi che operano in ambienti simili. Pratiche
di lavoro intensivo
come la letamazione, l’aratura superficiale, i
terrazzamenti, il compostaggio delle sostanze organiche
e il riciclaggio
dei prodotti vegetali nel processo
produttivo, migliorano
la conservazione e fertilità del suolo.
I piccoli contadini hanno sviluppato, talvolta nell’arco
di
5.000 anni, moltissime tecniche, produzioni e sistemi colturali.
Forse la cosa più importante in un’era di risorse non rinnovabili
in declino, è che i piccoli agricoltori nel Terzo Mondo producano
raccolti
abbondanti con il minimo ricorso a costosi interventi
esterni quali l’uso di pesticidi, di macchine o di semi geneticamente
modificati.
La produttività del piccolo podere
Quante volte ci è stato detto dagli esperti che le grandi imprese
agricole sono più redditizie dei piccoli
poderi o che sono più efficienti?
Eppure i dati attuali, se vengono presi in considerazione,
dimostrano
esattamente il contrario per la produttività: i piccoli
poderi producono molto di più per unità di superficie delle grandi
aziende. E allora perché continuare
la crociata contro i piccoli
poderi? Una ragione
è dovuta al fatto che il metodo convenzionale
usato per misurare la produttività è sbagliato, perché riceviamo
le risposte sbagliate alle nostre domande.
Misure sbagliate
Se dobbiamo valutare in modo imparziale la produttività
media
della piccola azienda e della grande impresa agricola dobbiamo
destituire le “rese” come strumento di misura. La “resa” è la
produzione per unità di superficie di un unico raccolto - per es.,
“tonnellate di mais per ettaro” - ed è la misura basilare usata dagli
economisti per definire la produttività del terreno agrario. Spesso
la resa più alta di un raccolto si ottiene seminandola da sola in
monocoltura. Ma mentre una monocoltura può permettere una
resa notevole di un solo raccolto non produce niente altro di utile
per l’agricoltore. Gli spazi vuoti tra le file - nicchie vuote in termini
ecologici - invitano al moltiplicarsi delle erbe infestanti. La
presenza delle erbacce significa che l’agricoltore deve investire in
lavoro per diserbare o in soldi per i pesticidi. Le grandi imprese
agricole tendono a seminare monocolture
perché sono le più
semplici da gestire con grandi macchine. La piccola attività agricola
d’altro canto tende a preferire raccolti misti, “trasemine”,
in cui gli spazi vuoti non sono occupati da erbacce ma da altri
raccolti. Tendono anche a combinare o ad alternare i raccolti con
i pascoli, con il letame che serve a ristabilire la fertilità al terreno.
Simili sistemi agricoli integrati producono molto di più per unità
di superficie delle monocolture.
Sebbene la resa per unità di superficie di una sola coltura - mais
per es. - può essere inferiore, la produzione
per ettaro, spesso
composta da più di una dozzina di colture diverse, e vari prodotti
animali, può essere molto più alta. Se dobbiamo confrontare la
piccola azienda agricola con la grande impresa dobbiamo usare la
produzione complessiva, invece della resa, come misura più precisa
della produttività. La produzione complessiva è la somma di
tutto quello che produce un piccolo agricoltore: vari cereali,
frutta,
verdure, foraggio, prodotti animali ecc. Con questo metodo
emerge un quadro molto diverso. Esaminando i dati riscontriamo
veramente che le piccole aziende quasi sempre producono di più
per unità di superficie delle grandi. Ciò è ora ampiamente riconosciuto
dagli economisti agrari di tutte le parti politiche come
“relazione inversa tra dimensione dell’attività agricola e produzione”.
Persino gli economisti
dello sviluppo più all’avanguardia
nella Banca Mondiale sono arrivati a questa conclusione al punto
che ora accettano che la ridistribuzione della terra ai piccoli contadini
porta ad una maggiore produzione complessiva.
Le quattro tabelle che accompagnano questo articolo illustrano
solo alcuni dei molti esempi di come la produttività e la dimensione
dell’azienda agricola nel mondo dimostri la relazione
inversa: col crescere dell’azienda
diminuisce la sua produttività
complessiva.
Varie sono le ragioni della maggior produttività della piccola
azienda agricola. Eccone alcune:
Pluralità di raccolti: i piccoli agricoltori mischiano varie
combinazioni sullo stesso terreno, piantano più volte durante
l’anno, e integrano i raccolti col bestiame
e persino con
l’acquacoltura, facendo un uso più intenso dello spazio e del
tempo.
Composizione della produzione: la grande azienda agricola è
orientata verso attività estensive come il pascolo di bovini o le
monocolture estensive di cereali mentre i piccoli agricoltori danno
risalto al lavoro e all’utilizzo intensivo del terreno.
Irrigazione: i piccoli agricoltori sono portati a utilizzare
in modo
più efficiente l’irrigazione.
Qualità del lavoro: Mentre i piccoli poderi generalmente
usano
il lavoro familiare che è personalmente
interessato al successo
dell’attività, la grande azienda
utilizza manodopera a pagamento
relativamente interessata. La piccola azienda spesso dedica più
lavoro per unità di terreno.
L’uso dei mezzi di produzione: la policoltura nella piccola attività
agricola favorisce l’uso di mezzi di produzione autoprodotti quale
letame o compost, mentre la grande impresa usa mezzi comprati
come i concimi chimici.
L’uso delle risorse: le grandi imprese sono meno impegnate nella
buona gestione delle risorse – come i boschi o le risorse d’acqua
– che si combinano con la risorsa terra per produrre di più e meglio.
Efficienza del piccolo podere
Mentre i piccoli poderi sono chiaramente più produttivi
delle
grandi imprese agricole in termini di prodotto, spesso si dice che
la grande impresa è più efficiente. Ma anche questo è falso. La
definizione di “efficienza” più accettata dagli economisti convenzionali
è quella della “produttività
complessiva” - una sorta di
media dell’efficienza nell’utilizzo di tutti i diversi fattori che intervengono
nella produzione compresi la terra, il lavoro, i mezzi
di produzione, il capitale ecc. Tomich ha fornito i dati degli anni
’60,’70 e dei primi anni ’80 che dimostravano
che i piccoli poderi
hanno una produttività complessiva maggiore delle grandi
imprese in zone come l’Africa SubSahariana, l’Asia, il Messico e
la Colombia. Più recentemente la stessa cosa è stata verificata in
Honduras. Nei paesi industrializzati il dato è meno chiaro. L’opinione
della maggioranza probabilmente è che la piccola azienda
è inefficiente perché non usa pienamente le costose attrezzature
meccaniche mentre
le grandi imprese sono anche loro inefficienti
per problemi di amministrazione e di lavoro tipici delle grandi organizzazioni.
Così la più alta efficienza forse si raggiunge in medie
aziende con uno o due operai. In altre parole anche nei paesi “sviluppati”
non c’è modo di vedere che le grandi imprese agricole
siano più efficienti - in pratica possono anche essere abbastanza
inefficienti. Ma c’è molto più da dire dell’importanza economica
dei piccoli poderi se usciamo dalle aziende agricole e ci poniamo
domande sullo sviluppo economico.
Le piccole aziende agricole nello sviluppo economico
Sicuramente più quintali di grano non sono il solo scopo dell’agricoltura;
le risorse agricole devono anche generare ricchezza per
il miglioramento complessivo della vita rurale - che comprende il
miglioramento delle abitazioni, dell’educazione, dei servizi sanitari,
dei trasporti, della diversificazione locale delle attività economiche,
e più opportunità ricreative e culturali.
Negli USA la domanda cruciale è stata posta più dì mezzo
secolo fa: che cosa significa per le comunità e le cittadine rurali
la crescita su larga scala dell’agricoltura industriale? Lo studio di
Walter Goldschmidt divenuto ormai un classico svolto negli anni
’40 nella valle San Joaquin in California ha confrontato le aree
dominate dalle grandi imprese agricole con quelle caratterizzate
ancora dalle piccole attività familiari. Nelle zone rurali dominate
dalle grandi imprese agroindustriali Goldschmidt scoprì che le
città vicine erano morte, la meccanizzazione aveva portato all’occupazione
di meno persone sul posto e la grande proprietà assente
aveva espulso le famiglie rurali. In queste zone agroindustriali il
guadagno ottenuto con l’agricoltura veniva assorbito dalle grandi
città per sostenere altre imprese distanti, mentre prima nei centri
rurali circondati da aziende agricole familiari il guadagno circolava
tra i mercati locali generando lavoro e prosperità per la comunità.
Dove le aziende agricole familiari predominavano c’erano
più affari locali, strade asfaltate e marciapiedi, scuole, parchi,
chiese, circoli e giornali, migliori servizi, più occupazione e partecipazione
civica. Gli studi condotti dopo il libro di Goldschmidt
confermano che le sue scoperte restano vere anche oggi. Se guardiamo
al Terzo Mondo trovi amo che gli stessi benefici si ricavano
solo da un’ economia basata sulla piccola attività agricola. Il Movimento
dei Lavoratori senza Terra (MST) è un’organizzazione
rurale in Brasile che aiuta i lavoratori senza terra ad organizzare
l’occupazione di terre abbandonate appartenenti a ricchi proprietari.
Quando il movimento cominciò, alla metà degli anni ’80, i
sindaci più conservatori si opponevano violentemente all’occupazione
da parte del MST nelle aree circostanti i loro comuni rurali.
Recentemente però il loro comportamento è cambiato. La maggior
parte delle loro città sono economicamente molto depresse
e le occupazioni possono dare una spinta molto necessaria alle
economie locali. Le occupazioni tipiche sono fatte da 1.000-3.000
famiglie che trasformano terreni abbandonati in aziende agricole
produttive. Esse vendono i loro prodotti nei mercati delle piccole
città vicine e si riforniscono dai commercianti locali. I comuni
che hanno insediamenti dell’MST hanno riscontrato una ripresa
economica rispetto agli altri e molti sindaci supplicano ora l’MST
di organizzare occupazioni vicino alle loro città.
È chiaro perciò che lo sviluppo economico regionale e locale
come la vita e prosperità dei comuni rurali trae beneficio da
un’economia basata sulla piccola attività agricola. La domanda
ora deve essere: possiamo ricostruire un’economia basata sulla
piccola attività agricola dove è andata persa, per migliorare lo stato
di benessere dei poveri?
Migliorare il benessere sociale
attraverso la riforma agraria
La storia recente dimostra che la ridistribuzione della terra alle
famiglie rurali che non ne hanno, può essere un modo molto efficace
per migliorare il benessere rurale.
Sobhan ha esaminato i risultati di ogni riforma agraria realizzata
nel Terzo Mondo dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Quando
la terra di buona qualità è stata distribuita ai poveri e il potere
dell’oligarchia rurale è stato spezzato, ne è risultata sempre una
vera e misurabile riduzione della povertà e un miglioramento del
benessere umano.
Paesi come il Giappone, la Corea del Sud, la Cina e Taiwan
sono tutti dei buoni esempi. Invece paesi con riforme che hanno
dato solo terre di bassa qualità ai beneficiari e/o non sono riusciti
ad alterare le strutture di potere rurale che operano contro i poveri
non sono riusciti ad intaccare la povertà. Paesi come il Messico
e le Filippine sono esempi classici di quest’ultimo tipo.
In Brasile l’IBASE, un centro di ricerca economico e sociale, ha
studiato le conseguenze sulle casse dello stato della legalizzazione
del sistema di occupazione delle terre da parte del movimento
MST. Quando i contadini senza terra occupano le terre, obbligano
il governo a legalizzare i loro poderi, questo implica dei costi:
compensazioni al vecchio proprietario, spese legali, crediti per i
nuovi coltivatori ecc. Ciononostante il costo complessivo per lo
Stato di mantenere lo stesso numero di persone in una baraccopoli
- compresi i servizi e le infrastrutture che usano - superano in
un mese il costo annuale della legalizzazione delle terre occupate.
La conclusione da trarre da questi esempi è chiara. La riforma
agraria per creare un’economia della piccola azienda agricola non
fa solo bene allo sviluppo economico locale ma è anche una politica
sociale più efficace del portare i poveri fuori dalle zone rurali,
nelle città che crescono disordinatamente.
Agricoltura ecologica
I benefici della piccola azienda agricola vanno naturalmente al
di là della sfera economica. Mentre la grande impresa industriale
impone una mentalità da terra bruciata sull’amministrazione delle
risorse (nessun albero, né vita animale, solo monocolture che
non finiscono mai) i piccoli contadini riescono ad essere custodi
molto efficienti delle risorse naturali e del suolo. Essi utilizzano
un’ampia gamma di risorse ed hanno un interesse legittimo alla
sostenibilità. Nello stesso tempo i loro sistemi agricoli sono diversi,
e comprendono e preservano nel loro podere una biodiversità
significativa. Come tali le piccole aziende agricole forniscono alla
società in generale preziosi “servizi di ecosistema”.
Negli USA i piccoli agricoltori destinano il 17% delle loro
proprietà ai boschi rispetto al solo 5% delle grandi imprese. La
piccola azienda, rispetto alle grandi destina quasi il doppio della
superficie a pratiche di miglioramento come i raccolti di copertura
e i sovesci. Nel Terzo Mondo i contadini mostrano una
grandissima abilità nel prevenire e invertire il degrado del terreno,
compresa l’erosione del suolo. In molte aree gli agricoltori
tradizionali hanno sviluppato e/o ereditato complessi sistemi di
coltivazione altamente adattati alle condizioni locali. Ciò consente
loro di organizzare sostenibilmente la produzione in ambienti
difficili più rispondenti alle loro necessità di sussistenza senza
dipendere da meccanizzazione, fertilizzanti chimici, pesticidi o
dalle altre tecnologie della scienza agricola moderna, cioè dall’industria
e dall’economia metropolitana. Confrontato con l’abbandono
ecologico di una moderna piantagione per l’esportazione,
il panorama del piccolo podere contiene una miriade di biodiversità:
le zone boscate da cui estrarre cibi selvatici e foglie per le
lettiere degli animali e il compostaggio; il bosco; il podere stesso
con le colture intercalari, l’agricoltura forestale, l’allevamento di
animali di grande e piccola taglia; lo stagno; l’orto, consenta la
loro conservazione di centinaia se non migliaia di specie selvatiche
e coltivate.
Il libero commercio:
nemico della piccola azienda agricola
Se ci interessa la produzione alimentare, i piccoli poderi sono più
produttivi. Se ci interessa l’efficienza, sono più efficienti. Se ci
interessa la povertà, la riforma agraria con lo scopo di creare un
economia basata sulla piccola azienda offre una chiara soluzione.
Se ci interessa la perdita della biodiversità o della sostenibilità
dell’agricoltura, i piccoli poderi offrono una parte fondamentale
della soluzione. Nonostante decenni di politiche contro la piccola
azienda agricola adottate dagli stati, i piccoli contadini sono
rimasti in tanti attaccati alla terra. Ma oggi ci troviamo ad un bivio.
Come mondo siamo pronti a muoverci verso un integrazione
economica globale che minaccia molto di più i piccoli agricoltori
rispetto a quanto avvenuto in precedenza. La liberalizzazione del
commercio e la globalizzazione minaccia gravemente la continuità
della piccola agricoltura. Negli ultimi vent’anni i paesi del Terzo
Mondo sono stati incoraggiati, allettati, minacciati e in genere
spinti a ridurre unilateralmente il livello di protezione offerto ai
loro prodotti interni di cibo, di fronte a competitori stranieri ben
finanziati. Attraverso la partecipazione al GATT, al NAFTA, alla
Banca Mondiale, all’IMF e al WTO essi hanno ridotto o eliminato
le barriere doganali, le quote ed altri ostacoli alle importazioni
illimitate di prodotti alimentari. Le economie del terzo Mondo
sono state inondate dagli alimenti di bassa qualità dei maggiori
paesi esportatori di cereali. Per una quantità di ragioni (sovvenzioni
sia nascoste che aperte, produzioni industriali ecc), questi
alimenti sono spesso messi nei mercati internazionali a prezzi al
disotto dei costi locali di produzione. Ciò abbatte i prezzi che i
coltivatori locali ricevono per i loro prodotti con due effetti collegati.
Primo. Un improvviso calo dei prezzi agricoli può portare i
coltivatori poveri e indebitati a perdere in poco tempo le terre
- semplicemente non possono competere con i prodotti econo174
mici sostenuti dai sussidi delle gigantesche imprese industriali a
monocoltura.
Poi c’è un secondo effetto più sottile. Quando i prezzi dei
raccolti restano bassi a medio termine anche i profitti per ettaro
restano bassi. Ciò significa che il numero minimo di ettari necessari
a sostenere una famiglia sale, contribuendo all’abbandono
dell’agricoltura da parte degli agricoltori più piccoli e poveri - terra
che poi finisce nelle mani dei coltivatori più grandi e ricchi che
possono competere in un mercato di prezzi bassi avendo molta
terra. Essi superano il basso profitto ad ettaro con vaste aree che
permettano complessivamente grandi profitti anche se i profitti
unitari sono bassi.
Il risultato finale dei due meccanismi è l’ulteriore concentrazione
della terra nelle mani di pochi imprenditori. Una penalità
viene pagata per questa concentrazione agraria in termini di produttività,
quando i grandi agricoltori trasformano in monocolture
e meccanizzano le terre e, in termini di ambiente, quando queste
grandi monocolture meccanizzate finiscono per dipendere da sostanze
chimiche. Si perdono posti di lavoro quando le macchine
sostituiscono il lavoro umano e la trazione animale. Le comunità
rurali muoiono quando gli agricoltori migrano nelle città. Le risorse
naturali deteriorano se non c’è più nessuno che se ne prende
cura. Infine la sicurezza alimentare viene minacciata: la produzione
alimentare interna si riduce di fronte a importazioni a basso
prezzo; la terra, una volta utilizzata per rispondere al fabbisogno
alimentare interno, viene usata per produrre raccolti da esportare
in mercati lontani; la gente ora dipende dal denaro - più che dalla
terra - per nutrirsi; e le fluttuazioni dell’occupazione, dei salari e
dei prezzi mondiali di prodotti alimentari possono portare alla
fame milioni di persone.

Ragioni per sperare
Ma fortunatamente c’è un sostegno meno unanime tra le nazioni
del mondo per un programma agricolo di aumento della globalizzazione
guidato dalle grandi imprese USA. Molti paesi hanno raccolto
l’appello del Capitolo 14 dell’Agenda 21, la dichiarazione
promulgata al Summit della Terra nel 1992, per “si faccia una revisione
della politica agricola, alla luce degli aspetti multifunzionali
dell ‘agricoltura, in particolare rispetto alla sicurezza alimentare
e allo sviluppo sostenibile”. Secondo questo punto di vista
l’agricoltura produce non solo beni ma anche modi di vivere, culture,
servizi ecologici ecc. e come tale i prodotti dell’agricoltura
non possono essere trattati nello stesso modo di quelli industriali.
Mentre una scarpa per es. è un bene relativamente semplice il
cui prezzo mondiale si prefissa con l’offerta e la domanda ed un
commercio regolato attraverso tariffe o deregolato togliendole,
i prodotti agricoli si comportano molto diversamente. Il governo
giapponese in un documento preparatorio per i negoziati di
Seattle diceva: “L’agricoltura, non solo produce e fornisce i prodotti
agricoli, ma contribuisce anche alla sicurezza alimentare,
riducendo i rischi causati da eventi inattesi o da una possibile
futura ristrettezza alimentare, aiuta la conservazione del suolo e
dell’ambiente, la creazione di un bel paesaggio e il mantenimento
delle comunità locali attraverso attività produttive in armonia
con l’ambiente naturale”. Tutti questi comparti sono considerati
gli aspetti “multifunzionali” dell’agricoltura... I meccanismi di
mercato da soli non possono portare a un metodo di produzione
agricola che contenga la multifunzionalità dell’agricoltura. Anche
la Norvegia ha sostenuto il concetto di “multifunzionalità” come
giustificazione per uno speciale status dell’agricoltura come ha
fatto entro certi limiti l’Unione Europea e alcuni altri paesi. Più
governi hanno bisogno di appoggiare questo programma. L’aver
ignorato le funzioni multiple dell’agricoltura ha provocato in passato
sofferenze e distruzione ecologica. Già da molto tempo si at176
tende il riconoscimento dei molti contributi che l’agricoltura - in
particolare i piccoli poderi - danno alle società umane e alla biosfera.
Le aziende agricole non sono fabbriche che sfornano jeans
o racchette da tennis e non possiamo lasciare che argomenti miopi
da banali espedienti economici, distruggano l’eredità agricola
mondiale. Tutti noi dobbiamo chiedere a voce alta e con fermezza
che i nostri governi rispettino la multifunzionalità dell’agricoltura
e garantiscano ad ogni paese una vera sovranità alimentare e
rurale facendo un passo indietro dal libero mercato dei prodotti
agricoli. Invece di accrescere le politiche che danneggiano la piccola
agricoltura dobbiamo costruire politiche economiche capaci
di sviluppare le economie delle piccole aziende agricole. Queste
possono comprendere vere riforme agrarie, protezione tariffaria
per alimenti strategici - così che gli agricoltori ottengano prezzi
equi - e il capovolgimento dei pregiudizi nelle politiche di credito,
tecnologie, ricerca, educazione, sussidi, tasse e infrastnitture che
hanno fatto avanzare ingiustamente la grande impresa agricola
a spese di quella piccola. In questo modo potremo colpire alle
radici le cause della povertà, della fame, del declino rurale e del
degrado degli ecosistemi in tutto il mondo.
di Peter Rosset

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