11 gennaio 2009

L'uomo che ridà la vista ai poveri



Joshua Silver ricorda perfettamente la prima volta che ha ridato la vista a un uomo. Si chiamava Henry Adjei-Mensah, era un sarto del Ghana. Aveva solo 35 anni, ma stava per ritirarsi. Non ci vedeva più, ed era troppo povero per permettersi la visita da un ottico. È stato a quel punto che Joshua gli ha dato gli occhiali che lui aveva inventato. È stato a quel punto che Henry ha sorriso, e ha detto: «Ora leggo anche quelle lettere lì, quelle piccole». E ha ripreso a lavorare. Da allora il dottor Silver, 62enne ex docente di Ottica all’università di Oxford, ha distribuito 30mila dei suoi occhiali in 15 Paesi del mondo. Ma i suoi piani sono molto più ambiziosi: far tornare a vedere un milione di indiani entro la fine dell’anno. E un miliardo di poveri entro la fine del prossimo decennio.

L'IDEA NEL 1985 - Tutto è cominciato il 23 marzo 1985. Silver, allora un semplice docente universitario, si chiedeva con un collega se fosse possible costruire lenti in grado di adattarsi senza l’aiuto di un ottico o di macchinari costosi. Occhiali, insomma, che chiunque potesse «tarare» da sé, regolandoli sulle necessità dei propri occhi. «Fu allora che capii come fare», spiega al quotidiano britannico Guardian. Costruì lenti di plastica, nelle quali pose una sacca con del liquido. Sulla montatura mise due piccole siringhe piene di quel liquido. Per adattare le lenti ai propri bisogni basta aggiungere liquido finché non si vede chiaramente. Poi si staccano le siringhe, si sigilla la montatura con un tappo, e gli occhiali sono pronti. «Il meccanismo è così semplice – spiega Silver – che quasi non serve dare istruzioni. Tutti quelli a cui abbiamo dato gli occhiali sono stati in grado di sistemarseli da sé, con grande precisione. E di tornare a vedere». Il punto (che Silver definisce «ovvio») è che occorre trovare un sistema per ovviare alla carenza di ottici in alcune zone del mondo. Negli Stati Uniti, o in Gran Bretagna, tra il 60 e il 70% delle persone porta occhiali. Nei Paesi in via di sviluppo la percentuale scende al 5%. E i motivi sono semplici. Anzitutto, in Gran Bretagna c’è un ottico ogni 4,500 persone, mentre nell’Africa Sub-Sahariana ce n’è uno ogni milione di abitanti. «E anche se ce ne fossero di più, nessuno potrebbe permettersi gli occhiali che vengono prodotti normalmente».

UN DOLLARO A PAIO - E tutto questo, continua Silver, influenza «l’educazione, l’economia, la qualità della vita». Senza occhiali, gli studenti non possono vedere bene la lavagna. I pescatori non possono ripararsi le reti, le donne I propri abiti, gli autisti di autobus non riescono a vedere bene le (spesso pessime) strade su cui guidano. Gli occhiali di Silver risolvono molti di questi problemi. Perché chiunque può «aggiustarli» da sé. E perché costano pochissimo: «Per ora siamo a 19 dollari, ma l’obiettivo è scendere di molto». Quanto? «Un dollaro l’uno». Certo, gli ostacoli verso gli obiettivi di Silver non mancano. Il primo, confessa, è che gli occhiali «per ora sono brutti, sembrano usciti da un vecchio armadio di Woody Allen. Ma sul design possiamo lavorare, e comunque l’importante è mantenere il prezzo bassissimo». Già, perché proprio il costo è il secondo problema. Se l’obiettivo è dare occhiali a miliardi di persone, anche un dollaro a occhiale è troppo. Il Dipartimento della Difesa Usa ne ha acquistati 30mila, e li ha distribuiti in Africa: «Ho visto persone camminare sorridendo, in Angola, perché potevano rivedere il loro villaggio. E non lo facevano da quando erano bambini», dice il maggiore dei Marine Kevin White. In India il progetto sarà aiutato da Mehmood Khan, attivista e manager. «E il nostro sogno», spiega proprio Khan, «è che Onu e governi capiscano il valore di questo progetto. E ci aiutino». Silver dice che i suoi occhiali non possono risolvere tutti i problemi. «Non funzionano contro l’astigmatismo. E non possono sostituire un ottico nella diagnosi di glaucoma o altre malattie». Ma sa che la sua idea è buona. «Non ho mai portato occhiali in vita mia», dice. «E penso sia il modo con cui Dio mi dice che sto andando nella direzione giusta».

Davide Casati

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