29 giugno 2006

Auschwitz, il mito della guerra persa

Continuando nell'intervista al dottor J. Mengele del 1983.
Mi perdoni. Delle sue attività parleremo più avanti. Adesso vorrei chiarire, se è possibile, un altro punto. Se non ci sono mai state esecuzioni di massa, come lei sostiene, allora come spiega i forni crematori?

Ci sono in tutte le città tedesche che abbiano una popolazione di almeno 200 mila abitanti. La cremazione è molto usata presso le nostre genti luterane. Voi stessi in Francia avete degli impianti per la cremazione nei grandi agglomerati urbani. Nei campi i forni erano necessari ancora di più, perché il pericolo di epidemie era maggiore. In ogni parte del mondo si bruciano le salme delle vittime di malattie contagiose. C’era un crematorium ad Auschwitz 1, che ha funzionato dall’agosto 1942 al luglio 1943. E un altro a Birkenau, e non quattro come si è raccontato, utilizzato dall’aprile 1943 al dicembre 1944. Ciascuno aveva una capacità massima di 35 cadaveri al giorno. Ammettendo che potessero funzionare 24 ore su 24, cosa impossibile. Quindi, se i forni avessero lavorato a pieno ritmo, e non era il nostro caso, non si sarebbero potuti cremare, durante l’esistenza dell’intero campo, più di 32 mila cadaveri. Ho rifatto più volte il calcolo dalla fine della guerra, glielo assicuro!
Ma, dottore, perché quest’odio verso gli ebrei? Perché li consideravate una razza inferiore?

Lei, si sbaglia. Io personalmente non ho alcun odio particolare nei confronti degli ebrei. Per noi erano solo dei nemici, come gli zingari, i francesi o i comunisti. Quindi dovevamo combatterli con decisione, a maggior ragione perché li consideravamo intelligentissimi e quindi ancor più pericolosi.
Dottor Mengele, si dice che proprio lei personalmente abbia bruciato quattro milioni di ebrei ad Auschwitz!

E dove li avrei trovati tanti cadaveri? Dove avremmo trovato il combustibile necessario? Provi a rivolgersi al crematorio di Parigi: lì le diranno quanti litri di gasolio o quanti chili di carbone sono necessari per cremare un solo cadavere. E’ chiaro che i quattro milioni di Auschwitz sono stati inventati per poter raggiungere la famosa cifra di sei milioni. Una cifra inverosimile: non esistevano sei milioni di ebrei in tutta Europa. Ne vuole la prova?
Che prova ?

Lei sa che si è prodotto per stabilire l’esistenza di un programma di sterminio degli ebrei, una specie di verbale di una conferenza tenuta a Wannsee, il 20 gennaio 1942. E’ un falso palese, riconosciuto per tale unanimemente dagli storici obiettivi. In quel documento venne indicato il numero di ebrei esistenti in ogni nazione, per un totale di 11 milioni in Europa. Ma compresi i 5 milioni dell’URSS. Allora, undici meno cinque fa sei, in tutto il continente, compresa la Gran Bretagna e i paesi neutrali. In pratica si lascia intendere che noi avremmo eliminato tutti gli ebrei, anche quelli che non erano alla nostra portata. Quel documento, senza carta intestata, né firme, chiamato “protocollo di Wansee”, è stato fabbricato in occasione del processo Eichmann, quando ancora si parlava di tre milioni di vittime. Mi dica, quanti ebrei avevate in Francia prima della guerra?
Non so. Da noi sui documenti non figura la razza e nemmeno la religione. Più o meno gli ebrei francesi si stimavano sui 250 mila…

Ecco. Ne aggiunga 50 mila emigrati dalla Germania fra il ’33 e il ’39, e arrotondiamo per eccesso.
Diciamo allora 300 mila in totale. Il “protocollo di Wansee” né attribuiva alla Francia 860 mila: un ebreo ogni 46 abitanti, almeno tre volte di più della realtà. Riduca in proporzione la cifra di sei milioni. Se poi l’esagerazione non fosse tanto macroscopica come per la Francia nel caso degli altri paesi saremmo comunque ben lontani dai sei milioni.
Ma se voi non li avete sterminati col gas, che fine han fatto tutti quegli uomini?

Sono in Israele, in Unione Sovietica, oppure si sono rifugiati, come hanno fatto gli ebrei polacchi nel 1941, negli Stati Uniti, in Argentina e in Europa. Nel 1938, secondo il Comitato ebraico americano, vivevano in tutto il mondo più di 15 milioni di ebrei. Nel 1948, stando ad un articolo pubblicato sul New York Time dallo statistico Baldwin, erano già 19 milioni. Secondo i calcoli degli studiosi seri, certamente non nazionalsocialisti o antisemiti, il numero ufficiale degli ebrei morti durante la guerra, per ogni tipo di causa, sul territorio tedesco od occupato varia fra i 170 mila morti ed il mezzo milione.
Senta un po’ dottore. A dar retta a lei non ci sarebbe stato nessun massacro degli ebrei durante la guerra. Non le sembra poco credibile?

Non ho detto questo. Quando le nostre truppe sono entrate in Galizia alcune unità di volontari ucraini si sono lasciate andare ad atti d’intolleranza antisemita. Più o meno la stessa cosa hanno fatto in territorio sovietico le unità russe incorporate nella Wehrmacht. Certamente i nostri Einsatzgruppen, l’equivalente degli spazzini di trincea della prima guerra mondiale, hanno passato un po’ il segno. Ma in ognuno di quei casi la nostra repressione è stata severa.
Non esisteva dunque una “soluzione finale”?

Certamente. Ma la soluzione finale era l’espulsione degli ebrei dall’Europa. Noi avevamo pregato la Croce Rossa internazionale di farsi carico di una loro destinazione. Ma nessun paese, alleato o neutrale, ne volle sapere. Domandammo a più riprese al governo francese di mettere a disposizione il Madagascar: il maresciallo Petain ci disse che gli indigeni dell’isola erano brava gente e non meritavano una cosa del genere. Fu solo allora che Hitler decise di deportare gli ebrei in Polonia, provvisoriamente. E poiché in tempo di guerra erano considerati come forze nemiche, furono internati per buona parte nei campi di concentramento. Gli Stati Uniti non hanno fatto forse la stessa cosa con i Nisei, i giapponesi che vivevano in America?
Dopo queste considerazioni, diciamo così generali, vogliamo parlare della sua attività professionale ad Auschwitz, dottor Mengele?

E’ il punto che più m’interessa chiarire. Le ho già detto che io ero il responsabile del Blocco sperimentale. Cosa facevamo lo dice il nome: esperimenti, come in tutti gli ospedali di ieri e di oggi.
Esperimenti? Negli ospedali?

Ma è logico. Mi sembra facile da capire. Si mette a punto un nuovo medicinale, e di solito lo si esperimenta su una cavia, su un cane, su un animale qualsiasi. Ma l’uomo non è né u topolino né un cane. Un giorno bisogna pure somministrare il nuovo farmaco ad un essere umano, senza conoscerne prima gli effetti precisi. Negli ospedali lo si fa senza dir nulla ai degenti. Di solito s’incomincia nelle corsie dell’assistenza gratuita, fra i ricoverati più poveri. Ad Auschwitz noi facevamo esperimenti su condannati a morte, anticipando gli americani che in seguito ci imitarono. In ogni caso, per ogni volta, avevamo un’autorizzazione da Himmler in persona. Penso che lei mi crederà se le dico che, nel 1950, un tribunale militare francese ha assolto i medici tedeschi del campo di Schirmeck, accusati di aver compiuto esperimenti sui detenuti dalla testimonianza di alcuni colleghi dell’ospedale di Parigi.
Wiesenthal accusa lei personalmente di aver sacrificato la vita di un migliaio di gemelli con iniezioni dolorosissime solo per tentare di cambiare loro colore agli occhi!

Oh, Wiesenthal! Nel libro, le cui pagine lei sta certamente citando, ha fatto arrestare Anna Frank da una SS coll’uniforme nera. Nel 1942! Erano già tre anni che le SS portavano le uniformi grigioverde. Ma il nero è più sinistro, no? L’ignoranza di quest’uomo è pari solo alla sua malafede. Il colore degli occhi di una persona non è che un carattere secondario della razza, una conseguenza di un complesso genetico di un individuo. Cambiare il colore degli occhi con un’iniezione, qualora fosse possibile, non trasformerebbe certo un nordico, un alpino o un mediterraneo più di un paio di lenti a contatto. Lo sa anche una matricola universitaria. E’ vero che ho fatto esperimenti sull’iride, ma per vedere come reagiva a certe stimolazioni e per compiere una ricerca sulla cecità. Nessuna persona è morta in seguito a questi esperimenti, ripeto nessuna. Ammetto che per qualche giorno abbia avuto gli occhi irritati, ma tutto qui. Quanto ai gemelli le sole ricerche che si possono fare, e ne sono state fatte parecchie negli Stati Uniti prima e dopo la guerra, consistono nello stabilire, nella loro evoluzione biologica e nei loro comportamenti, quanto peso abbia l’ereditarietà e quanto ne abbia l’ambiente. Beninteso parlo dei gemelli veri, quelli monozigoti. Per far questo non c’è che un metodo: seguire per una decina d’anni due gemelli che, spesso per motivi d’adozione, sono stati separati alla nascita e sono andati a vivere in due ambienti diversi. Questo sarebbe stato impossibile ad Auschwitz. E’ vero che il problema dei gemelli mi ha sempre affascinato. Sui gemelli giustiziati per esempio praticavo l’autopsia per vedere se c’erano state o no reazioni interne differenti. Non ho mai fatto giustiziare appositamente dei gemelli solo per poter fare degli esperimenti. Dio mi è testimone. Del resto ho letto proprio qualche mese fa su una rivista americana che ad una riunione di ex deportati di Auschwitz hanno partecipato almeno una quindicina di gemelli. E stavano benissimo. Tutte queste storie, caro signore, sono solo invenzioni incoerenti d’analfabeti. Wiesenthal non ha detto per esempio che i medici del campo avrebbero trasformato in donna un ragazzo di tredici anni che dopo la guerra, grazie ad una complicata operazione, riebbe la sua virilità? Non conosco precedenti di testicoli ricresciuti, né di membri artificiali. Che vada a raccontarlo a qualsiasi urologo, a qualsiasi chirurgo!
E le donne incinte? Si dice che lei abbia studiato gli affetti della sottoalimentazione sul feto e che,per far questo, abbia sottoposto alcune prigioniere ad un regime di fame. E che ne abbia fatto abortire altre per studiare via via dal vivo tutte le fasi dello sviluppo intrauterino.

Il soggetto della ricerca è esatto. Lei sa che l’alimentazione, in Germania, andava via via peggiorando man mano che la guerra si prolungava. Avevamo dunque più d’un motivo per svolgere studi sugli effetti che ciò avrebbe prodotto sulla generazione seguente. Ora, noi accoglievamo ad Auschwitz, di tanto in tanto, delle donne incinte sottoalimentate che venivano arrestate o che provenivano da altri campi. Erano soggetti ideali per sperimentare nuovi alimenti in grado di rimettere in sesto madre e bambino, e naturalmente noi dovevamo controllare strettamente la loro dieta. Ben lungi da affamare le donne, cercavamo di migliorare le loro condizioni e soprattutto quelle del nascituro. In questo caso un aborto è del tutto inutile: bastano le analisi che conoscono tutti i ginecologi.
Altre donne erano però meno fortunate di queste. Voi sperimentavate su di loro tecniche di sterilizzazione.

La sterilizzazione, come lei sa, era legale in Germania come in certi Stati dell’America settentrionale o in Danimarca. Lo è anche oggi in India. Veniva autorizzata dai tribunali dell’igiene razziale e imposta solo ai portatori di tare ereditarie. Quanto ai procedimenti, erano molto semplici e avanzati, tant’è vero che d’allora non sono più cambiati.
Sicché, dottore, lei non ha nulla di che rimproverarsi.

Proprio nulla. Non ho mai maltrattato o lasciato maltrattare un prigioniero. Ho contribuito a salvare migliaia, come ho salvato migliaia di camerati al fronte o di civili. Soprattutto bambini.
E’ sicuro di avere la coscienza tranquilla?

Tanto tranquilla che dopo la capitolazione io sono regolarmente rientrato a casa mia, a Gunburg, e ho passato cinque anni senza che nessuno mi tormentasse, né le autorità di Bonn, né quelle di occupazione. Non avevano ancora fatto di me un criminale di guerra. Il mio ruolo al campo fu così poco importante che nel grosso volume consacrato da Gugliemo Staglich al “ mito di Auschwitz” io sono nominato due sole volte, nelle note. E le due volte solo perché il dottor Nyiszli, un medico ungherese detenuto e assegnato all’ospedale da campo, mi ha accusato di avergli fatto sezionare dei cadaveri. E’ quella che si chiama comunemente autopsia. Non ho fatto altro. Non ho fatto molto, effettivamente. Ma domandi pure a questo dottor Nyiszli che mi conosce bene dal momento che è stato mio assistente, se sono stato quel mostro che si è detto. Ha mai sofferto lui stesso del mio autoritarismo? Chi ha salvato la sua famiglia? No, caro signore, tutte quelle cose orribili sono state deformate o inventate. Al contrario io posso provarle che ho salvato un sacco di gente. Mi ricordo di un medico che si chiamava Levi e che ebbe l’abilità di farmi cancellare molti nomi sulle liste dei condannati. E poi i bambini. Perché le madri venivano da me per supplicarmi di salvare i loro figli malati? Perché appena potevo, lo facevo, sempre. E mi ricordo anche di quella donna, polacca mi pare, la dottoressa Hautval. Eravamo nell’agosto 1943: rifiutò di farmi d’assistente. E cosa è successo? L’ho fatta assassinare? No, se ne andò viva e vegeta da Auschwitz. E non mi dica che tutte queste persone sono morte. Qualcuno potrà testimoniare.
Io, non posso fidarmi di questa intervista, ma se per assurdo fosse vero, la seconda guerra mondiale con i suoi 80 milioni di morti e i tanti feriti avrebbero una collocazione più "umana", figlia di un conflitto tra potenze mondiali il cui unico scopo è stato il potere per la creazione o mantenimento del proprio impero.

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