19 febbraio 2007

La pozione magica: "Pizze e foie"



Poco tempo fa una trasmissione televisiva augurava in diretta il buon compleanno ai centenari del nostro “Bel Paese”. Dopo le tantissime richieste si è scoperto che, l’anno scorso il numero dei centenari era superiore ai tremila. Bel risultato se pensiamo che Loro hanno passato la loro esistenza con due guerre mondiali, fascismo ed antifascismo.

Uno studio ha evidenziato che sono 14 i "supercibi" che promettono una vita lunga e sana. Se consumati con regolarità, sono capaci rallentare il processo di invecchiamento e di proteggere da malattie come cancro e diabete.
I14 cibi "base" della dieta messa a punto dall'esperto californiano sono: fagioli, broccoli, mirtilli, avena, arance, zucca, salmone, soia, spinaci, tè verde e nero, pomodori, tacchino, noci e yogurt. Secondo un esperto, per ottenere il migliore risultato bisogna consumare questi alimenti almeno quattro volte alla settimana. "Insieme forniscono la più alta quantità di vitamine, fibre e sostanze benefiche che proteggono dalle malattie, bloccano le rughe e aiutano a mantenere la linea. Questa dieta - conclude - ci fa sentire meglio, pieni di energie e, fatto non trascurabile, ci fa sembrare più belli".
Un altro studio mette in evidenza come una dieta povera di calorie può allungare la vita.
Quindi possiamo trarre una ipotesi: la pozione magica per i centenari delle nostre terre può essere stato Pizze e foie.
Dal libro “La Cucina dei Trabocchi” Maria Teresa Olivierivi vi svela la ricetta.

Impastare con acqua bollente salata la farina (preferibilmente in una zuppiera) e, quando l’impasto è consistente, dargli la forma di una pizza alta 2-3 cm.
Ungere una teglia per dolci e metterci la pizza facendo sulla parte superiore un taglio a croce. La cottura è di circa un’ora a fuoco moderato; a metà cottura rivoltare la pizza.
Si può cuocere (meglio) anche sotto la brace: in tal caso pulire bene il pavimento del camino, mettere la pizza e proteggerla con coperchio di ferro, da coprire con la brace per cuocerla.
Intanto lessare la verdura (foie) in acqua salata e conservare l’acqua di cottura. In un tegame, possibilmente di coccio, far soffriggere olio extra vergine , aglio , peperoncino e peperone rosso fresco. Aggiungere le verdure e farle cuocere con una parte dell’acqua della loro cottura per rendere il tutto leggermente brodoso.
A cottura ultimata, spezzettare nei piatti la pizza, aggiungerci la verdura con molto brodo e mescolare per amalgamare i componenti.
Si può anche preparare in una zuppiera unica la “pizza e foie” per tutti i commensali.

Quindi, buon appetito e a tutti

11 febbraio 2007

Il supermercato degli ZOMBI



I nuovi schiavi dell'acquisto hanno un nuovo riferimento: il centro commerciale.
È opinione diffusa che uno dei film chiave della contemporaneità sia Zombi. Gran parte della pellicola è ambientata in un centro commerciale brulicante di morti viventi. Gli zombi, si sa, hanno sempre fame, ma attenzione: non hanno più il sistema digerente. Il loro istinto a mordere, strappare carne umana e deglutire è fine a se stesso. Un’abitudine sopravvissuta al decesso, esattamente come quella di recarsi al supermercato per passeggiare e guardare le vetrine. Un centro commerciale, direbbe l’antropologo francese Marc Augé, è un non-luogo, cioè a dire un luogo definito per la sottrazione di tre elementi: identità, relazioni sociali, storia. In un non-luogo si passa ma non si lascia nulla, né si raccoglie nulla che non abbia un valore strettamente commerciale. In un non-luogo le relazioni tra le persone sono strumentali e sfuggenti, distratte, sovrappensiero. Un non-luogo non rappresenta nulla e nessuno, per cui non potrà mai essere un ganglo della Storia. Questo secondo Augé. Ora, siamo franchi. Guardiamoci attorno. Questi luoghi di passaggio sono diventati la cifra stessa della contemporaneità occidentale. Se in origine erano autentici luoghi di passaggio (autostrade, aeroporti) o piccoli regni astratti dalla realtà quotidiana (come i parchi di divertimento a tema), ora i non-luoghi commerciali stanno diventando sempre di più i punti focali dello sviluppo urbanistico e lo standard con cui confrontarsi quando si tratta di prezzi. Ci facciamo i conti in tasca con i loro cataloghi. La nostra agenda, bene o male, è influenzata dal loro stock, dalle loro offerte, dai loro ritmi. Perché “loro”, questi non-luoghi sempre più affollati, in cui i cantanti in declino danno concerti gratuiti e in cui i non-politici decidono di scendere in campo, ecco questi centri – letteralmente – commerciali non sono più gli scatoloni tirati a lucido e pieni di negozi del film di Romero. La nuova frontiera è il Distretto Commerciale. Fuor di metafora, villaggi di megastore con tanto di nome.

Ad esempio, il Meraville di Bologna, nel quartiere Pilastro. I distretti commerciali sono parchi a tema in cui il divertimento non si ottiene più sull’ottovolante, ma mediante l’atto più sacralizzato e facile del mondo in cui viviamo. L’acquisto. Il significato originario di non-luogo perde quindi la sua accezione fiacca e transitoria, perché da luogo di passaggio è diventato una destinazione, un fine, un luogo intensamente (per quanto pateticamente) relazionale. Il tutto sotto l’egida di quella branca dell’economia chiamata grande distribuzione. Saverio Pipitone e Monica Di Bari non hanno bisogno di dirci che questa è una pessima notizia. Nel libro pubblicato all’interno dell’ottima collana Il Consapevole (una serie di veri e propri fili d’Arianna…) i due autori convogliano il concetto attraverso informazioni molto semplici. Ad esempio, per quanto riguarda l’alimentazione in Italia dettano legge cinque grandi gruppi (Coop, Carrefour, Conad, Rinascente-Auchan, Esselunga): per ognuno di questi leggiamo una breve storia aziendale e una breve storia del pensiero aziendale. Ovvero come le aziende decidono di apparire agli occhi dei dipendenti e dei consumatori, a colpi di slogan, loghi e furberie. Non è vero che nel non-luogo impera ancora la distrazione e quel vago olezzo di decerebrato. Nel non-luogo commerciale le grandi aziende pensano ad alta voce e ci parlano senza mezzi termini. Ci consegnano, per certi versi, delle scatole per gli attrezzi – scatole concettuali! – con tanto di accessibilissime istruzioni per costruire la nostra libreria Ikea in tempi record. E insieme all’opinione, alla forma mentis, ci viene consegnato anche il desiderio. Opportunamente precotto e pronto all’inoculazione. Non una secrezione del soggetto desiderante, questo desiderio, bensì un’iniezione. Un bisogno imposto: la necessità di soddisfar bisogni sempre nuovi mediante l’atto dell’acquisto.

Schiavi del supermercato è la grande distribuzione alimentare, di hard discount e fast food, del percorso obbligato dell’Ikea, dei gingilli di Mediaworld, dei cinepanettoni tuttolanno proiettati nelle multisala e del gigante Wal-Mart, l’unico a non essere ancora penetrato nel tessuto economico italiano. Tentativi di predilezione del piccolo rispetto al colossale, del baratto rispetto all’acquisto compulsivo, del vecchio ma ancora buono rispetto al nuovissimo ma difettoso. Queste iniziative si chiamano Slow food, Last minute market, gruppi d’acquisto solidali. Si chiamano mercatini. A questo punto, una precisazione importante. Non si tratta più di opporre banalmente il locale al globale e di raccontare la favola ormai lisa della multinazionale criminale e della bottega pura, laboriosa e moribonda. Esiste una corrente del pensiero economico, sempre più condivisa, che sta lanciando lo stesso tipo di allarme serio e scevro da pregiudizi di un documentario come Una scomoda verità. È vero, ed è molto rischioso, che la Terra si sta surriscaldando - dice il documentario. Bisogna fare qualcosa. I teorici della decrescita dicono che è vero, ed è molto rischioso, che la grande distribuzione sta dettando legge. Perché impone un ritmo produttivo e una complessità di acquisti molto superiori a quelle di cui, obiettivamente, abbiamo bisogno. Perché in seconda battuta non promuove una migliore distribuzione delle risorse, anzi acuisce lo iato tra il nord e il sud del mondo. Infine, come tutti gli elefanti scaraventati nelle cristallerie, fa danni. E noi, come il nostro pianeta, siamo delicati. I teorici della decrescita dicono semplicemente: facciamo un passo indietro. Scaliamo di marcia. “La semplicità volontaria è meglio della complessità obbligata”, questo uno dei loro motti. Non ci si chiede se siamo consumatori critici, ma ci instilla un dubbio collocato più a monte: siamo consumatori consapevoli? Per chi volesse approfondire l’argomento, sempre per i tipi di Arianna sono disponibili due testi che illustrano il pensiero economico che va sotto il nome di decrescita: L’invenzione dell’economia. L’artificio culturale della naturalità del mercato di Serge Latouche; Comunità e Decrescita. Critica della ragione mercantile di Alain De Benoist.

07 febbraio 2007

La corruzione: il MALE del nostro tempo



Mano a mano che la costruzione dell’impero economico assume un ruolo centrale nella capacità di tutta l’economia degli Stati Uniti di far fronte agli impegni internazionali, s’intensifica la competizione con l’Europa e Asia per i lucrativi tassi d’investimento e per le risorse economiche. Per la crescente competizione e la cruciale importanza dei profitti realizzati all’estero, la corruzione corporativa è diventata un fattore decisivo nel determinare quali imprese multinazionali e quali banche dell’impero centrale avranno attività, risorse e posizioni finanziarie capaci di generare profitti altamente lucrativi.

La centralità della corruzione nell'espansione imperiale e nell'assicurare posizioni di privilegio nel mercato mondiale esemplifica la crescente importanza della politica, in particolare nelle relazioni tra gli stati nella nuova divisione imperiale del mondo. La cosiddetta globalizzazione è un eufemismo per designare la crescente importanza delle intenzioni degli imperi in competizione per conseguire una nuova divisione del mondo. La corruzione dei governi stranieri è un elemento centrale per garantire un accesso privilegiato a risorse, mercati e imprese lucrative.

La centralità della costruzione dell'impero economico

In qualsiasi direzione guardiamo, il dato fondamentale delle informative annuali delle corporazioni e delle banche è la necessità di una strategia d'espansione internazionale con il fine di mantenere i profitti. Citicorp, la maggiore banca del mondo, ha annunciato un ampio programma d'espansione internazionale con l'obiettivo di aumentare i profitti del 75%. "Gli investitori istituzionali e privati degli Stati Uniti si dirigono all'estero alla ricerca di profitti più alti", scrive il Financial Times. Durante l'anno precedente il 4 Ottobre 2006, su 124 miliardi di dollari registrati dai fondi di investimento statunitensi, 110 sono stati investiti in imprese straniere. Nei primi otto mesi del 2006, l'87% dei flussi totali di capitali si sono diretti oltre oceano.

Le imprese petrolifere ed energetiche registrano profitti record. Più del 60% delle esportazioni della Cina le realizzano imprese statunitensi o loro appaltate. La crescita imponente di salariati nel mondo (in particolare nei paesi ex comunisti) è stata sfruttata in pieno dalle compagnie multinazionali, da una parte per incrementare i loro profitti all'estero e dall'altra per determinare immigrazione nel proprio mercato nazionale. L'attuale tendenza presenta una crescita delle retribuzioni e una riduzione dei salari sociali nei paesi chiamati emergenti, e una riduzione sia delle retribuzioni che dei salari sociali nei centri dell'impero. Nella misura in cui il numero dei posti di lavoro, compresi i lavoratori altamente qualificati, è soggetto a una competizione mondiale, perfino i lavoratori pagati meglio devono far fronte a una riduzione del loro livello di vita. In altre parole, i migliori risultati del mercato azionario e dell'economia interna degli Stati Uniti non sono riusciti a invertire l'espansione dell'impero americano, sotto la spinta dei profitti.

I principali nuovi obiettivi delle multinazionali, delle banche, dei fondi pensioni e degli investitori istituzionali sono i Paesi "BRIC" (Brasile, Russia, India e Cina).

L'attrattiva della Russia risiede nelle enormi risorse di petrolio e gas, e nel suo mercato dei trasporti e dei beni di lusso, e tutto ciò fa prospettare alti tassi di profitto.
La Cina attrae gli investimenti nei settori della manifattura e del consumo dovuto al basso costo del lavoro; inoltre, la Cina serve come centro intermedio di assemblaggio ed elaborazione delle esportazioni provenienti da altri paesi asiatici, prima dell'esportazione verso l'Occidente tramite le multinazionali statunitensi ed europee. I costruttori dell'impero stanno sfruttando al massimo i nuovi settori, estremamente lucrativi, della finanza, delle assicurazioni, e delle costruzioni. I settori delle assicurazioni e della finanza in Cina e delle banche e della finanza in Brasile hanno reso miliardi di dollari nei passati quattro anni.

Oggi, più della metà delle 500 multinazionali più grandi degli Stati Uniti ottengono una percentuale superiore al 50% dei loro profitti da operazioni all'estero. Di queste, una minoranza sostanziale ottiene più del 75% dei loro profitti nei loro imperi al di là dell'oceano.

La centralità della corruzione

Mentre gli economisti ortodossi del libero mercato enfatizzano il ruolo dell'innovazione, della professionalizzazione della gestione, della leadership e dell'organizzazione al fine di ottenere vantaggi competitivi e maggiori tassi di profitto (forze di mercato), nella vita reale questi fattori occupano un posto secondario dietro ai fattori politici, cioè, dietro le molteplici forme di corruzione che permettono di ottenere vantaggi economici.

Con riferimento a un'inchiesta realizzata su 150 grandi imprese, pubblicata dallo studio di avvocati Control Risk e Simmons and Simmons, un terzo delle imprese internazionali ritiene di aver perso nuovi affari nel corso dell'ultimo anno a causa delle tangenti da parte dei competitori (Financial Times, 9.10.2006).

Inoltre, gran parte delle multinazionali e delle banche praticano la corruzione con l'aiuto di intermediari.

Se sommiamo la forme dirette e indirette di corruzione, il risultato è che in alcuni paesi nove imprese su dieci realizzano pratiche di corruzione.

Il grado del saccheggio da parte dell'Occidente ai danni dell'Oriente è senza precedenti nella recente storia mondiale. Per esempio, la legislazione relativa alla riduzione dei salari, delle pensioni, della stabilità di impiego, della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro, così come quella relativa alle politiche di ordinamento del territorio nei paesi ex comunisti, è stata elaborata con l'obiettivo di massimizzare i profitti per le multinazionali statunitensi ed europee.

La corruzione è particolarmente predominante in alcuni settori delle operazioni delle multinazionali all'estero.

Inoltre, le corruzioni effettuate dalle imprese multinazionali hanno quasi sempre effetti pregiudiziali per i paesi che le ricevono. Da una parte riduce la legittimità e la confidenza del governo agli occhi del suo popolo. Nello stesso tempo, rappresentano un travaso di ricchezza a scapito del suo impiego pubblico e nazionale e in beneficio degli interessi stranieri, diminuisce la capacità di manovra delle autorità pubbliche nelle differenti politiche e incrementa il potere di decisione delle compagnie multinazionali.

In fine, crea una cultura della corruzione che assorbe le risorse pubbliche destinate ai servizi sociali e agli investimenti produttivi in beneficio delle fortune individuali.

Questa persistente corruzione delle multinazionali non avrebbe luogo senza la conoscenza dello stato imperiale. Nonostante la legislazione anti-corruzione, la corruzione è endemica e si trasforma in norma nella espansione delle multinazionali che competono fra di loro. Sempre di più, la corruzione viene considerata, da parte delle élite corporative, il lubrificante che mantiene in funzione le ruote della globalizzazione.

Se l'annessione degli ex paesi comunisti ha aperto nuove opportunità alla ri-divisione imperiale del mondo, e il taccheggio dei paesi post- comunisti ha prodotto enormi fonti di accumuli di capitali, l'attuale e crescente corruzione è diventata il meccanismo mediante il quale capitali rivali competono per il dominio mondiale. La costruzione dell'impero economico non si può intendere solamente come il risultato del funzionamento delle forze del mercato, perché le transazioni sul mercato sono precedute dalla corruzione politica, e quindi sono accompagnate dall'influenza politica e culminano in un nuovo allineamento politico del potere. Una rete di imprese multinazionali copre il mondo e crea insiemi politici ed economici attraverso leader politici corrotti, costituendo così la base degli imperi economici contemporanei.

Il processo generale di costruzione imperiale è iniziato con la privatizzazione della proprietà pubblica e delle sue risorse, banche e imprese produttive. Questo insieme nella sua totalità si basa sulla corruzione politica in ognuno dei suoi livelli, in tutti e ognuno dei Paesi, incluso gli stati imperiali.

I laburisti inglesi, i democratico-cristiani tedeschi, i comunisti cinesi, i funzionari del Partito del Lavoro del Brasile, i democratici e i repubblicani degli Stati Uniti, provengono apparentemente da tradizioni ideologiche differenti; ciò nonostante, tutti sono implicati nell'espansione a lungo termine delle multinazionali mediante la corruzione.

Nonostante i mercati lavorativi rigidi, i grandi profitti, la produttività crescente e la crescita economica, il livello di vita dei lavoratori dei paesi occidentali continua a ridursi, contro quanto affermato dalla teoria economica classica.

La corruzione corporativa fa parte integrante della costruzione dell'impero in forma di investimenti esteri, acquisizioni e penetrazione del mercato. L'Accordo anti-corruzione della OCDE, che è entrato in vigore nel 1999, non ha avuto nessun effetto. Praticamente più della metà delle imprese multinazionali assicurano di ignorare totalmente la legislazione anti-corruzione all'estero (Financial Times 9.10.2006, p.15).

02 febbraio 2007

Agricoltura naturale: intervista a Manikis


L’ultimo progetto in ordine di tempo ospitato dall’azienda è stata la realizzazione della prima coltivazione di riso di montagna Rebecca*, proveniente dal Brasile. La coltivazione è stata avviata lo scorso maggio con l’aiuto dell’esperto greco di agricoltura naturale Panos Manikis - conosciuto ed apprezzato a livello europeo anche per essere stato uno dei primi allievi di Masanobu Fukuoka, il celebre fitopatologo giapponese pioniere dell’agricoltura naturale, autore de La rivoluzione del filo di paglia, un testo che ha ispirato un’intera generazione, stimolando una nuova concezione della pratica agricola. Abbiamo approfittato della presenza di Panos in Italia per una lunga chiacchierata sulla sua esperienza di “agricoltore naturale” e sulla pratica di “seminare” le palline d’argilla per rimboschire le aree desertificate .

Come e quando hai incontrato l’agricoltura naturale?
E’ iniziato tutto 25 anni fa. Sembrerà strano, ma debbo ringraziare una grave malattia che mi ha costretto a cambiare radicalmente vita. Sono guarito grazie all’alimentazione naturale, facendo l’esperienza diretta di come sia possibile vivere in piena salute purché vi sia armonia con la natura. Un discorso che ovviamente vale non solo per l’uomo, ma anche per le piante e gli animali. In quegli anni è stato per me fondamentale la lettura de La rivoluzione del filo di paglia** di Masanobu Fukuoka, un giapponese che 70 anni fa, dopo aver lavorato a lungo come fitopatologo nell’ambiente dell’agricoltura convenzionale, ha avuto una metanoia, una illuminazione come dicono in oriente, tracciando le basi dell’agricoltura naturale intesa più che come metodo colturale, come vero e proprio cammino spirituale. Dopo aver letto il libro, sono andato in Giappone con un biglietto di sola andata, per lavorare insieme a Fukuoka, un uomo fuori dal comune che ha dedicato l’intera sua esistenza a ricreare quello che io chiamo il “paradiso” in terra.

Quanti ettari coltivi e cosa produci?
Tornato in Grecia dal Giappone, ho deciso di fare il contadino. Così ho acquistato un terreno coltivato per 40 anni secondo i criteri dell’agricoltura convenzionale. Per due anni ho evitato qualsiasi tipo di intervento, in questo modo sono arrivato a quello che io chiamo “punto zero”, cioè la ricostruzione dell’equilibrio ecologico. A distanza di 16 anni, quel pezzo di terra si è trasformato in un piccolo paradiso dove ortaggi, cereali, piante di sovescio, alberi di frutta ed essenze forestali crescono insieme in armonia. Quando c’è questa armonia non c’è nessun bisogno di lavorare il terreno, né di usare concimi chimici o diserbanti; non c’è bisogno di effettuare trattamenti chimici per risolvere i problemi delle malattie e degli attacchi parassitari. Oggi, nel mio frutteto si trovano più di cento varietà differenti, le piante conservano la loro forma naturale ed io non devo effettuare la potatura perché quando una pianta ha una forma naturale riceve la luce e l’aria in modo uniforme e in questo modo non si sviluppano le malattie. In Grecia c’è un proverbio che dice “la casa che vede il sole, non vede il medico”. Penso che la stessa cosa accada anche in agricoltura.

Fare a meno della potatura non crea problemi nella raccoltà?
In genere, quando un albero conserva la sua forma naturale, si sviluppa molto in altezza e questo può rappresentare un problema per la raccolta, ma questo non mi preoccupa. Una volta che un albero ha dato 100 chili di ciliegie, lasciarne sui rami 10 per gli uccelli fa parte del ciclo naturale. Nel mio orto coltivo mediamente 15 varietà diverse di ortaggi che crescono sotto gli alberi senza nessun particolare intervento da parte mia. Mi limito a riseminare ogni tre-quattro anni. In questo modo riesco ad avere una produzione di ortaggi, molto buoni di gusto e privi di qualsiasi rischio per la salute. La mia frutta e verdura è priva di difetti. Non c’è bisogno di nessun lavoro di selezione, è sufficiente preparare le cassette e spedirle. Non è necessario nessun altro tipo di lavoro. Non utilizzo nessuna tecnologia. Vendo i miei prodotti a prezzi standard, un euro e mezzo per tutta la frutta, senza differenza tra i vari tipi, né tra le varietà precoci rispetto a quelle tardive. Per me è importante che i prezzi di vendita della frutta e verdura siano molto bassi, perché credo che la salute sia un diritto di tutti e non solo dei più fortunati.

Puoi spiegare meglio su cosa si basa l’agricoltura naturale?
Come ho appena detto non è soltanto un metodo di coltivazione, ma uno stile di vita, un cammino spirituale che ognuno può percorrere a suo modo. E’ insieme filosofia, spiritualità e scienza. Più concretamente, l’agricoltura naturale si basa su cinque principi: non lavorare la terra, non usare concimi chimici o composti preparati, non usare pesticidi, non usare diserbanti, non potare.

Prima hai parlato di paradiso in terra…
Sì, quello che volevo dire è che oggi l’uomo soffre, soffre mentalmente ed anche fisicamente. Questa sofferenza nasce dalla separatezza. L’uomo oggi è vive profondamente separato dalla Natura e l’unico modo per risolvere tutti i suoi problemi è rimettere al centro della sua vita la Natura. Leggendo un altro libro di Fukuoka: La Rivoluzione di Dio, Uomo e Natura, ho capito che non basta acquistare un pezzo di terreno, creare in proprio una piccola Utopia e lì vivere felici. Non si può vivere felici in un’isola e disinteressarsi del resto del pianeta. Ecco perché Fukuoka si è sempre operato per rinverdire le aree desertificate, perché è necessario ricreare il paradiso in questa terra. E così, seguendo il suo esempio, dal 1993, insieme ad altre persone, do il mio contributo al miglioramento del pianeta, seminando palline d’argilla al cui interno sono situati dei semi.

Può dirci qualcosa di più sulla pratica di “seminare” le palline d’argilla?
Anche i bambini possono contribuire alla creazione di un piccolo paradiso giocando con queste biglie di argilla, al cui interno sono inseriti semi di ortaggi, alberi da frutta, specie forestali, cereali e piante da sovescio che arricchiscono il terreno e creano fertilità. Una parte di questi semi sono raccolti direttamente dai volontari che partecipano all’azione, ma chiunque mangi pesche, ciliegie, albicocche, qualsiasi tipo di frutta, può lasciarne asciugare i semi ed offrirli alla gente che semina sulle montagne. Ogni anno, a settembre, ci incontriamo in Grecia per diffondere questi semi nelle aree desertificate e sulle montagne spoglie con l’aiuto di volontari, molti dei quali provenienti anche dall’estero, Le palline vengono preparare con la betoniera o manualmente e seminate prima che cominci la stagione delle piogge, quindi in autunno (settembre-ottobre) e primavera (marzo-aprile). Il nostro lavoro si limita a diffondere le palline d’argilla, ci penso la Natura a fare il resto. Con le piogge, alcuni semi germogliano altri no, alcune piante muoiono altre sopravvivono e piano piano comincia a cambiare la vegetazione del luogo. Le palline sono realizzate con la stessa argilla utilizzata per le tegole o i mattoni, ad essa si possono aggiungere anche altri materiali come cotone o segatura, per creare palline più resistenti e leggere. Apparentemente non c’è niente di scientifico nel nostro lavoro. Non si tratta di usare la mente per scegliere con oculatezza i semi, ci limitiamo a raccogliere tutte le varietà presenti in natura, preparare le palline e seminarle.

E quali sono i risultati concreti?
Nel 1998, sulle pendici di una montagna nei pressi di Atene dove era scoppiato un grande incendio, abbiamo effettuato una grande semina, alla quale ha partecipato anche Fukuoka. Dopo quattro mesi, la montagna era piena di piante e fiori. In poco tempo si era ricreata una foresta seminando solo palline, senza irrigare, né zappare e senza ricorre a particolari tecnologie. Il problema più grande che dobbiamo affrontare quando seminiamo sulle montagne della Grecia o di altri paesi del mediterraneo è quello di proteggere le piantine appena nate dagli animali selvatici e dal bestiame portato al pascolo. Questo perché la gente è indifferente e sembra non capire che se la Natura muore, anche l’uomo muore; se la Natura s’impoverisce, anche l’uomo diventa più povero. Quando invece la Natura è ricca, anche l’uomo diventa più ricco. Quando si comprenderà questa semplice legge, tutto cambierà. Con questo non voglio dire che il problema è cambiare il mondo. Bisogna innanzitutto cambiare se stessi. Bisogna cambiare mentalità e capire che servire la Natura, vuol dire servire la nostra Madre e servire la nostra Madre vuol dire servire l’umanità.
E questo non è un lavoro che si può fare da soli, né in tre o quattro persone che vanno su un cucuzzolo e si mettono a disseminare le palline d’argilla. seminano sulle montagne; tutta le gente può seminare, tutta la gente può raccogliere questi semi ed offrirli alla Natura, che può fare il resto del lavoro.

Qual è la differenza tra agricoltura naturale e convenzionale?
La principale differenza rispetto all’agricoltura convenzionale e alla stessa agricoltura biologica è che l’agricoltura naturale parte da una visione olistica, globale. Fertilità del suolo, erosione, irrigazione, attacchi parassitari e malattie delle piante vengono considerati nella loro globalità, non separatamente. Per l’agricoltura naturale, la maggior parte dei problemi legati alla coltivazione delle piante possono essere risolti consociando varietà diverse. Più varietà di piante ci sono nel terreno, tanto più il terreno diventa fertile. Più varietà di piante e di animali ci sono, tanto maggiore sarà l’armonia, l’equilibrio ecologico. Quando c’è quest’armonia, non occorre effettuare trattamenti chimici e la stessa fertilità del terreno si accresce ogni anno spontaneamente.

Secondo te, l’agricoltura naturale può risolvere il problema della fame nel mondo?
Attualmente Fukuoka sta sperimentando la coltivazione in successione di due cereali. Viene prima seminato il cereale invernale (orzo, segale, grano o avena) e poi, due settimane prima della raccolta, si semina nello stesso campo il riso. In questo modo si riescono ad ottenere 6 tonnellate di cereale invernale e da 10 a 12 tonnellate di riso a ettaro. Tutto questo “giocando” con le palline di argilla, senza trattori, aratri, falci o altri strumenti. Fukuoka ha selezionato varietà di riso che possono dare da 250 fino a 400 chicchi; questo vuol dire che la resa può essere due volte quella ottenuta attualmente con l’agricoltura convenzionale.

Qual è lo scopo di questo tour in Italia?
Non sono qui solo per parlare di agricoltura naturale. Sono molto preoccupato per la grave emergenza ambientale e per il fatto che noi tentiamo di risolvere i nostri problemi usando la stessa mente che poi li ha creati. Einstein era solito dire che la mente che crea i problemi non può risolverli. Abbiamo bisogno di una nuova vitalità, di un nuovo approccio solistico, in grado di mettere insieme le conoscenze di filosofia, spiritualità e scienza. C’è un criterio molto semplice per capire veramente se tutto questo sviluppo, tutto questo progresso, ha un senso. Ognuno si deve chiedere: “C’è gioia nella mia vita?”. Per me la vera gioia, la vera bontà, la vera bellezza, esistono solo in Natura. Il ritorno alla Natura è l’unica strada che l’uomo dovrebbe seguire. Per secoli abbiamo devastato il pianeta, ora abbiamo il dovere nei confronti dei nostri figli e nipoti di salvaguardare la Terra. Per fare questo c’è bisogno della conoscenza intuitiva dei bambini e di quella delle donne, perché è proprio la saggezza della donna che oggi manca.

Qual è il tuo progetto di vita?
Il mio obiettivo principale non è quello di mettere su una fattoria naturale, per crearmi un piccolo paradiso privato. Il mio più grande desiderio è quello di provare, insieme ad altre persone, a rinverdire le aree desertiche e le montagne spoglie della Grecia, dell’Italia e di altri paesi mediterranei. Questo perché sono convinto, come sostiene Fukuoka, che: “La pioggia non cade dal cielo, ma sale dal suolo. Non è l’evaporazione dell’acqua dai fiumi, dai laghi o dal mare a creare le nuvole, ma sono le foglie delle piante. Quanto più foglie ci sono e quanto più grandi sono gli alberi, tanta più pioggia ci sarà”.

* In realtà si tratta di una varietà di riso, ancora senza nome, arrivata in Italia il 5 maggio 2005, lo stesso giorno nasceva mia nipote Rebecca, da qui il nome dato alla varietà.

Barbara Garofoli