Il governo di Pechino sta preparando un piano di azione per la soppressione progressiva delle lampade ad incandescenza in collaborazione con il Programma Onu per lo sviluppo ed il Fondo mondiale per l’ambiente.
La notizia ha ancora più valore perché la Cina rappresenta - tanto per cambiare - uno dei principali produttori mondiali di lampade ad incandescenza. Nel 2007 ne ha prodotte prodotte più di 4 miliardi, la metà delle quali destinate al mercato estero.
Sull’altro piatto della bilancia c’era però il consumo domestico interno. Oggi è pari al 12% del consumo complessivo e grazie alle lampade a basso consumo potrebbe essere tagliato almeno del 60% - il che equivale a gran parte dell’energia prodotta dalla famigerata diga delle Tre Gole.
La misura allo studio si aggiungerebbe alla campagna nazionale per sovvenzionare e promuovere l’utilizzo di 150 milioni di lampade a basso consumo, lanciata all’inizio del 2008 dalla Commissione di Stato per lo sviluppo e le riforme della Cina e dal ministero delle finanze. Grazie ad essa l’acquisto all’ingrosso di lampade “eco-energetiche” gode di una sovvenzione del 30%, mentre per l’acquisto al dettaglio l’aiuto sale al 50%.
da un articolo web
31 dicembre 2008
Anche la Cina vieterà le lampadine a incandescenza
28 dicembre 2008
Per ridere un po'
Due escursionisti in montagna sono vicini ad un burrone. Il primo
dice: "Qui l'anno scorso e' caduta la mia guida...". "Ohhh che
tragedia, mi dispiace". E il primo: "Ah non importa! Era vecchia ... e
mancavano anche delle pagine ...".
Statistica : la scienza di produrre fatti inaffidabili a partire da dati certi.
Tanti auguri, Berlusconi, e grazie di cuore per tutto quello che non
hai fatto per noi.
Tanti auguri, Prodi, per non averci ancora detto che se vai su tu ci
fai un mazzo tanto.
Tanti auguri Fassino, perchè ogni volta che ti vediamo facciamo
commossi un'offerta ai bambini poveri e denutriti dell'Etiopia.
Tanti auguri, Bossi, che il nuovo anno ti porti una badante ucraina.
Tanti auguri Vespa. perchè grazie al tuo libro ora sappiamo cosa
regalare per le feste. Il libro di un altro.
Tanti auguri Benigni, perchè senza tutti i miliardi che hai fatto
grazie al solo 4% di tasse che Berlusconi ti ha concesso di pagare,
ora non potresti farci ridere così su Berlusconi.
Tanti auguri a tutti i nostri politici, che grazie al loro grande
spirito di sacrificio hanno permesso al paese di essere fra le prime
potenze del mondo, dopo il Bangladesh.
Tanti auguri al giudice di Udine che ha condannato a dieci mesi di
prigione un marocchino, reo di aver rubato addirittura una merendina
alla Coop. E' giusto dare l'esempio.
Tanti auguri Fiorani e Tanzi, che tra qualche giorno saranno di nuovo
fuori, dimenticati dalla stampa.
Tanti auguri Fazio, che ha dato al paese un esempio di lealtà,
correttezza e onestà, dimettendosi.
Tanti auguri anche a Busi, che il nuovo anno gliene porti di più.
Tanti auguri alla mia famiglia, che mi sopporta al par vostro.
Tanti auguri al mio meccanico, che dopo le ultime riparazioni è andato
alle Seychelles.
E infine tanti auguri a tutti voi, che Babbo Natale vi porti ciò che
più desiderate al mondo, a patto che non sia il mio culo, beninteso.
24 dicembre 2008
La rottamazione del pane
Varese, rottamazione del pane
pubblicato da Marina in: Italia Foto & video Alimentazione
Per caso sono venuta a conoscenza di questa singolare proposta di un panificio di Varese che “rottama” il pane secco restituendo 30 centesimi per ogni chilo di pane consegnato. Per il mese di novembre, periodo in cui è partita la “rottamazione del pane”, ne sono stati consegnati appena 3 chili. Da dicembre, invece, sembra che le cose vadano un po’ meglio, anche perché l’iniziativa inizia a farsi conoscere.
L’ideatore si chiama Davide Piatti, titolare della Panetteria Piatti a Varese che dona il pane secco alle fattorie della zona e a cui aggiunge appunto quello che riceve dai clienti. Purtroppo, a causa di leggi sulla sicurezza sanitaria non è possibile per le panetteria donare il pane che resta (se resta) a fine giornata a chi ne ha bisogno, ma può essere solo buttato via. Dunque il Sig. Piatti in questo modo cerca di recuperare uno spreco.
22 dicembre 2008
Tegole a celle solari... con il fotovoltaico
Il mercato del fotovoltaico, pur essendo molto giovane in Italia, sta vedendo una forte ascesa; ciò grazie alla maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica al problema del riscaldamento planetario, ma anche in virtù delle agevolazioni fiscali governative. La diffusione dei pannelli solari ha, però, incontrato un ostacolo non indifferente nella struttura dei nostri edifici, i cui tetti sono spesso coperti da tegole in cotto (rosse, arancioni o marroni).
I tradizionali impianti fotovoltaici, se introdotti in tale contesto, causano un riconosciuto peggioramento estetico delle città, alterando le caratteristiche architettoniche originarie dei centri storici. Esistono anche delle normative urbanistiche che impongono forti limiti in merito.
Pertanto, gli studi nel campo del fotovoltaico si sono concentrati, nel corso degli ultimi anni, sulla ricerca di nuove soluzioni strutturali, le quali consentissero l’integrazione dei dispositivi nel tessuto architettonico-storico delle città italiane. Il risultato è stato la realizzazione di tegole (o affini) che assomigliassero il più possibile a quelle in laterizio, per forma, struttura e colore.
L’obiettivo è stato raggiunto in particolare da Techtile, ultimo prodotto della REM Spa, azienda impegnata nella progettazione di impianti fotovoltaici e per il solare termico altamente avanzati.
Le tegole Techtile sono ecologiche, in quanto prodotte con materiali completamente riciclabili, e nascondono perfettamente le celle fotovoltaiche grazie al loro aspetto. Esse hanno, infatti, forma semicilindrica e colore a scelta tra cotto, testa di moro e sabbia; il risultato è che - a distanza - esse appaiono del tutto identiche a quelle tradizionali. Ogni tegola Techtile ospita una cella fotovoltaica; per ottenere 1kWp servono circa 250 tegole.
La tecnologia Techtile prevede delle strutture di base a pannelli (Techtile Basic), su cui si possono agganciare le tegole fotovoltaiche vere e proprie (Techtile Energy), oppure quelle solari termiche (Techtile Therm). Le prime inglobano ciascuna - come già detto - una cella fotovoltaica, la quale trasforma l’energia solare in energia elettrica, in virtù delle proprietà fisiche del materiale di cui è fatta (il silicio); l’energia così prodotta potrà essere utilizzata per l’illuminazione e le altre esigenze domestiche.
Tegole fotovoltaiche Techtile Energy
Le seconde, invece, che integrano (per file) un tubo a vuoto, sono volte al riscaldamento dell’acqua, secondo la tecnologia del solare termico; esse consentono di alimentare il sistema sanitario e impianti di riscaldamento a bassa temperatura. Il tutto può essere controllato dall’interno dell’abitazione tramite una centralina (Techtile Control), la quale consente di effettuare misurazioni e rilevare eventuali anomalie di funzionamento. La centralina è anche collegabile ad un computer, così che i dati possano essere registrati ed analizzati comodamente.
Sono disponibili sul mercato anche altre due versioni di tegola fotovoltaica: Tegosolar e Prefa Solar.
Le Tegosolar sono realizzate dall’azienda Tegola Canadese, in collaborazione con United Solar Ovonic. Anch’esse hanno una struttura modulare, ma sono meno frazionabili delle Techtile (ossia, l’entità base è più grande di una singola tegola classica). Flessibili e leggere, offrono una buona resa energetica anche con cielo nuvoloso e in presenza di nebbia: esse, infatti, sono in grado di catturare, oltre alla luce diretta, anche quella diffusa. Ciò permette loro di essere impiegate agevolmente anche nella copertura di tetti piani e mal orientati. Ogni tegola è composta da 11 celle connesse, per una capacità complessiva di 68W. Le aziende che hanno firmato il progetto sostengono che esse rendano dal 10 al 20% in più dei moduli tradizionali.
Tegola fotovoltaica Prefa Solar
L’azienda Prefa, invece, propone le tegole Prefa Solar. Esse integrano le celle fotovoltaiche nel supporto inferiore, cosicché il sistema di copertura rimane integro, privo di discontinuità di materiale o colore, in perfetta complanarità. Anche in questo caso, le dimensioni dell’unità base sono superiori a quella del singolo coppo di laterizio, ma il fatto che siano disponibili in 10 colori standard, con celle a loro volta di due diverse colorazioni, rende le tegole Prefa facilmente adattabili ad ogni tipo di contesto, urbano e non.
La riduzione dell’impatto ambientale e paesaggistico delle strutture favorirà - senza dubbio - un più largo impiego del sistema fotovoltaico, il quale consente facilmente la produzione di energia pulita a livello individuale.
Il GSE (Gestore Servizi Elettrici) ha dichiarato che nel 2008 il nostro Paese ha raggiunto i 200MW di energia prodotta tramite fotovoltaico: la capacità degli impianti installati nel 2006 è di 9.4MW, quella del 2007 è di oltre 70MW, mentre nell’anno in corso si è arrivati a 120MW.
L’obiettivo che si vuole raggiungere è ambizioso e, purtroppo, ancora lontano: 3000 MW di energia prodotti da fotovoltaico (annualmente), entro il 2016. Ma il trend crescente rappresenta senza dubbio un segnale positivo.
Il verde Fabio Roggiolani, presidente della IV Commissione CRT Toscana, è molto ottimista; in occasione di una conferenza stampa in cui venivano presentate a Firenze le tegole fotovoltaiche, egli ha affermato: “Questa tecnologia consente di portare il solare proprio a tutti, anche nei centri storici: le aziende sono pronte per il salto di qualità e, con queste innovazioni, anche nelle zone tutelate si potranno avere case solari ad impatto visivo "zero", superando le ultime barriere legislative ed i contrasti con le sovrintendenze".
Tegola fotovoltaica Tegosolar
Purtroppo, se è vero che il fotovoltaico fa ricorso ad una fonte inesauribile (il Sole) per produrre energia, senza immettere gas nocivi nell’ambiente, bisogna considerare che essa non è una tecnologia per il momento particolarmente efficiente. Il rendimento di conversione da energia solare ad elettrica, infatti, è ancora piuttosto basso. Inoltre l’energia elettrica prodotta con tale processo ha un costo superiore (fino a cinque volte) rispetto a quello dell’energia derivante da sistemi tradizionali.
E’ evidente che occorre investire ancora molto nella ricerca in questo settore, per rendere la tecnologia più efficiente e ottimizzare il rapporto tra l’energia prodotta e i costi sostenuti.
Alla fine dei conti, il contenimento dei consumi e la riduzione degli sprechi restano le uniche strategie realmente efficaci, al fine di risparmiare energia e denaro, nonché limitare l’impronta ecologica lasciata dall’umanità sul pianeta Terra.
Virginia Greco
17 dicembre 2008
Il caffe usato come biodiesel
Secondo uno studio dell’Università del Nevada-Reno, pubblicato sul Journal of Agricultural and Food Chemistry, dagli oltre 7 miliardi di tonnellate di caffè consumati ogni anno nel mondo, potrebbero venire prodotti circa 1,2 miliardi di litri di biodiesel. I resti del caffè risultano particolarmente adatti alla conversione in carburante poiché già contengono il 10/15% di olio a seconda della varietà (arabica o robusta).
Il biodiesel prodotto, inoltre, è molto stabile, a causa degli agenti anti-ossidanti contenuti nel caffè, mentre il residuo può essere utilizzato come compost per il terreno o pellet per stufe. I ricercatori hanno asciugato i resti di caffè della Starbucks (già impiegati come compost negli USA), mischiandoli successivamente con dei solventi per estrarne l’olio contenuto dopo un passaggio in una centrifuga. I solventi vengono poi recuperati e riutilizzati nel ciclo successivo.
Il risultato finale è del biodiesel dal totale dell’olio estratto dal caffè. Il settore del caffè in Italia alimenta un giro d’affari alla produzione che si aggira sui due miliardi di euro. I torrefattori in attività sono circa 750 e trasformano annualmente poco più di 6,8 milioni di sacchi di caffè verde (un sacco = 60 kg), tutto importato. Questo vuol dire che nel 2007 sono state importate circa 420 mila tonnellate di caffè; usare lo scarto per fare carburante e compost potrebbe essere una buona idea per accrescere l’indipendenza energetica.
by ecoblog.it
15 dicembre 2008
Mangiare con gusto fa bene alla linea
Chi mangia assaporando il gusto delle pietanze è meno a rischio di diventare obeso rispetto a chi si nutre senza provare piacere per i piatti che consuma.
Questa è la conclusione a cui è giunto uno studio scientifico condotto negli Stati Uniti presso l'Oregon Research Institute (Ori) da Eric Stice e pubblicato sulla rivista “Science”.
Da tempo si ipotizzava che gli obesi mangiassero di più per via di un ridotto senso di soddisfazione tratto dal cibo: mangiare di più li aiuterebbe a compensare questo deficit. Adesso, secondo la ricerca dell'Ori, se ne ha la prova: gli esperti hanno misurato l'attivazione dei centri del piacere con la risonanza magnetica funzionale in un gruppo di ragazze che sorseggiavano un milkshake al cioccolato.
E' emerso che quelle i cui centri del piacere si attivavano di meno in risposta al frappé, ricontrollate un anno dopo, erano le ragazze ingrassate di più. Lo studio suggerisce dunque la possibilità di combattere l'obesità anche agendo a livello cerebrale sui centri del piacere.
Lo striato dorsale è l'area cerebrale che recepisce il piacere del cibo: tanto minore è la sua attivazione mentre si mangia, tanto più si è a rischio di obesità.
A conferma di questo risultato, lo stesso rischio è emerso per persone che hanno un difetto genetico che causa un malfunzionamento dei centri del piacere. Che mangiare, oltre che una necessità, sia un piacere non vi sono dubbi: lo è anche per il cervello. Infatti mangiando si attivano le stesse aree accese dalle dipendenze, che sono poi anche i circuiti che rispondono al piacere sessuale.
Si apre dunque, adesso, una nuova risposta scientifica alle cause dell'obesità, fenomeno in crescita e legato essenzialmente alla sedentarietà e alla cattiva alimentazione.
È ipotizzabile che nel prossimo futuro, per mantenere le signore più in forma e gli uomini più tonici e in linea, si studino interventi sinergici tra la farmacologia e la terapia del comportamento perchè le aree cerebrali del piacere funzionino a dovere.
Un consiglio sempre valido è quello di evitare la fretta quando si mangia, di masticare bene ciascun boccone e di sapersi rilassare al momento del pasto, gustandoselo meglio che si può.
I ritmi frenetici della vita moderna sono, effettivamente un grosso ostacolo, ma bisogna combatterli con l'organizzazione razionale del proprio tempo. Ci guadagneremo tutti in salute e benessere psicofisico.
by italia in salute
09 dicembre 2008
I rischi del fumo passivo
Se volete avere un bebè e diventare mamme felici tenetevi ben alla larga dal fumo: non soltanto dal vostro, ma anche da quello di chi vi sta accanto.
Un nuovo studio scientifico americano, pubblicato sulla rivista “Tobacco Control”, ha evidenziato come il fumo passivo sia un vero e proprio nemico della maternità: esso infatti aumenta, anche a distanza di anni dalla sua inalazione, di ben il 60% il rischio di infertilità femminile e di aborti spontanei.
Questo ulteriore avvertimento che viene dalla scienza dovrebbe convincere ancora di più tutti i fumatori, e specialmente le fumatrici o chi è vicino a donne in età fertile o incinte, a dire il definitivo addio alle sigarette.
Un'altra ricerca scientifica, pubblicata di recente, aveva invece messo in luce come anche gli uomini che vogliano diventare papà rischiano tanto: il fumo attivo e passivo, infatti, rende nel tempo gli spermatozoi immobili e dunque incapaci di fecondare gli ovuli femminili.
Insomma, se la correlazione tra fumo passivo e insorgenza di tumori era nota, con centinaia di morti l'anno nel mondo, tanto che lo scorso giugno un pool internazionale di scienziati ha dichiarato guerra senza sconti alla 'sigaretta subita' sollecitando, dalle pagine della prestigiosa rivista Lancet, politiche precise da parte dei governi, ora c'é un valido motivo in più per dire 'no' alla sigaretta altrui: a rischio sono, anche, le culle.
La ricerca scientifica dell'University of Rochester (USA) dimostra come anche le bambine esposte a fumo passivo corrono il rischio di essere donne con problemi di infertilità da adulte e di andare incontro più facilmente ad aborti spontanei.
Gli studiosi americani hanno esaminato un campione di 4800 donne non fumatrici, individuando tra esse un sottogruppo di persone che era esposto, nell'infanzia o ancora attualmente, a sei o più ore di fumo passivo. Queste donne, costrette nel passato o nel presente a subire il fumo altrui, presentavano un rischio di infertilità e aborti spontanei maggiorato del 68% rispetto alle altre partecipanti alla ricerca. La conferma di questo dato viene anche dal rilievo statistico per cui il 40% delle “fumatrici involontarie” aveva avuto già problemi di infertilità o aveva già subito uno o più aborti spontanei.
Parlando della sua indagine scientifica, il ricercatore Luke Peppone, del Rochester's P. Wilmot Cancer Center, afferma che si tratta di uno dei primi studi che dimostra gli effetti a lungo termine del fumo passivo sulle donne ai fini della fertilità. I dati raccolti e i risultati raggiunti sono allarmanti, secondo l'esperto, e mettono in guradia da un ulteriore pericolo per la salute derivante dal fumo passivo.
Come abbiamo già illustrato in un altro nostro articolo, due recenti studi delle Università di Catania e di Siena avevano dimostrato come il fumo passivo fosse responsabile di seri danni alla motilità degli spermatozoi, riuscendo perfino a renderli immobili del tutto a causa delle sostanze che si liberano nel corpo con la combustione della sigaretta, come la nicotina e il monossido di carbonio.
Gli altri dati a disposizione sul fumo sono tutti ugualmente seri e allarmanti: concordano all'unanimità nello spingere a smettere di fumare.
L'organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) avverte che chi inizia a fumare in giovane età, e continua a farlo regolarmente negli anni, ha il 50% di probabilità di morire per patologie scatenate dalla dipendenza dal tabacco.
Il fumo passivo, ancora più ingiusto e subdolo, purtroppo non è d ameno in quanto a danni inferti alla salute: solo in Italia, tra i non fumatori si registrano ogni anno 500 decessi per tumore al polmone e oltre 2.000 morti per malattie ischemiche del cuore causate, appunto, dal fumo subito.
Chi ancora fuma, faccia un favore a stesso e agli altri: la smetta. Una volta per tutte.
by italia salute
07 dicembre 2008
Il miglior contagio: la FELICITA'
La felicità non riesce a stare sola. Traspare dagli occhi, trasuda nelle mani, vibra nel corpo e alla fine come un virus scappa e si trasmette a chi si trova accanto. E c'è un gruppo di scienziati che ha provato a disegnare una mappa del "contagio", chiedendo a 5mila individui, per ben vent'anni di seguito, quanto si sentissero felici, facendo il riscontro con mogli, fratelli, amici e vicini di casa. A furia di unire puntini colorati (le persone, ognuna con il suo punteggio del buon umore) si è formato sul tavolo dei ricercatori americani un disegno che sembra quello di una mano innervata da vasi sanguigni. Ogni pulsazione della felicità parte da un punto e si trasmette come un fluido lungo tutto l'organismo.
Non tutto è rose e fiori, ovviamente. Anche il contagio segue le sue regole, e gli autori della ricerca "La diffusione della felicità in un'ampia rete sociale di individui", pubblicata oggi sul British Medical Journal, ne hanno individuate alcune. La legge del contagio, per iniziare, non sembra funzionare fra colleghi.
Il luogo di lavoro è come un cuscinetto che blocca il flusso di felicità da un individuo all'altro" spiegano James Fowler dell'università della California a San Diego e Nicolas Christakis dell'Harvard Medical School. I due (sociologo il primo, un medico specializzato nel rapporto fra umore e salute il secondo) sono gli autori di uno studio che ha scavato fra montagne di dati, interviste e fatti personali relativi a 5.124 persone negli Stati Uniti.
Nonostante il successo dei gruppi su Internet - è la seconda regola del contagio - le emozioni positive non sono capaci di viaggiare né in rete né via telefono. Come un virus vero e proprio, la felicità per trasmettersi ha bisogno del contatto fisico. E questo ci riporta un po' più indietro nella nostra scala evolutiva, ai tempi in cui la tecnologia delle comunicazioni non aveva ancora messo le ali. "Molte delle nostre emozioni si trasmettono attraverso i segnali del corpo, e il viso ha un ruolo principe in questo", spiega Pio Ricci Bitti, che insegna psicologia all'università di Bologna e ha studiato la comunicazione dei sentimenti tra gli uomini.
"Il contagio dipende probabilmente dal meccanismo dell'empatia e dei neuroni specchio. Quando osserviamo una persona manifestare un sentimento, nel nostro cervello si attivano le stesse aree che sono "accese" in quel momento nel cervello dell'interlocutore".
Nell'ultimo decennio lo studio dei neuroni specchio - iniziato in Italia, a Parma, dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti - ha aiutato molto a spiegare come avviene la condivisione delle emozioni e come individui diversi possano entrare "in sintonia". I detrattori di questa teoria sostengono che il meccanismo dell'empatia (negli uomini come negli animali) scatti solo quando osserviamo un altro individuo muoversi. Ma se consideriamo i gesti che una persona compie con il viso e il resto del corpo quando è felice, non è difficile completare il salto dai movimenti del corpo alle emozioni della mente. "E non solo la gioia può trasmettersi in questo modo. Pensiamo alla commozione e al pianto, quanto rapidamente invadono un gruppo di persone riunite insieme", aggiunge Ricci Bitti.
Commozione e felicità viaggiano veloci tra gli uomini. Non così avviene invece per la tristezza, che nella mappa dei ricercatori americani rimane confinata in piccoli bacini privi di emissari. A tutte le loro conclusioni, Fowler e Christakis hanno dato anche un riscontro numerico. Una persona che abbia un amico, parente o partner felice ha una probabilità di essere anch'egli soddisfatto più alta del 9 per cento rispetto alla media. Stare invece accanto a un individuo depresso fa aumentare l'umore grigio solo del 7 per cento. Ma Paolo Legrenzi, psicologo che insegna all'università Iuav di Venezia e per Il Mulino ha scritto "La felicità", trova un carattere molto americano in questo dato, che non necessariamente ha corrispondenza sul nostro versante dell'oceano.
"Oggi negli Stati Uniti la felicità ha un valore sociale positivo, mentre la tristezza non è vista di buon occhio. E questo porta gli individui depressi (ma magari sono solo malinconici) a isolarsi". Ecco che nello studio del British Medical Journal la tristezza diventa una macchia senza ramificazioni. "Ma se pensiamo alla Germania romantica dell'800, erano piuttosto gli allegroni a doversi nascondere per non fare la figura di individui superficiali e vuoti. In quel caso avremmo avuto dei risultati completamente capovolti.
L'imperatore Adriano di Marguerite Yourcenar, nonostante il suo incedere malinconico, è felice per aver raggiunto maturità ed equilibrio. E noi in Italia siamo in una posizione di mezzo. Nelle nostre soap opera per esempio non incontriamo mai protagonisti davvero felici. Ci sono problemi, complicazioni. In questo siamo un po' più sofisticati degli statunitensi. Da noi i risultati di una ricerca sulla contagiosità della gioia darebbe risultati frastagliati".
In uno studio che è considerato il fratello minore di quello attuale e che fu pubblicato nel 1984, Fowler e Christakis misurarono che vincere 5mila dollari alla lotteria poteva aumentare le probabilità di essere molto felici del 2 per cento. Oggi dunque - sarà anche l'effetto della crisi - trovare un amico vale molto di più che trovare un tesoro. Una persona con cui si è in sintonia, se abita nel raggio di un chilometro e mezzo da casa propria, può innalzare le chance di gioia del 25 per cento. Un po' meno efficace, ma sempre più prezioso della lotteria, è il contributo del partner con cui si convive (più 8 per cento), mentre fratelli e sorelle (purché, come sempre, abbastanza vicini da poterci scambiare un'occhiata o un abbraccio) contribuiscono con il 14 per cento.
L'uso di una contabilità così minuziosa per misurare una sensazione impalpabile come la gioia può lasciare perplessi. Ma l'introduzione di indicatori numerici, oggettivi nei limiti del possibile, nella misurazione della felicità avvenne negli anni '70. Fowler e Christakis hanno pescato i loro dati da uno studio che era nato nel 1948 per misurare la salute cardiovascolare di un gruppo di persone (il Framingham Heart Study), e si è esteso nel corso dei decenni anche al rapporto fra cuore e buon umore. Nei questionari distribuiti ai 5mila volontari, comparivano domande come "Sei ottimista nei confronti del futuro" o "Sei felice" e "Ti senti più soddisfatto rispetto agli altri". "Tra individui dello stesso sesso - spiega Mario Bertini, professore di psicologia della salute alla Sapienza di Roma - la diffusione dell'emozione avviene molto più rapidamente che non fra individui di sesso opposto. E nello studio si vede anche un livello di reciprocità alto: chi dà gioia, spesso la restituisce".
Il contagio della felicità, hanno notato i ricercatori americani, non è limitato al contatto diretto ma riesce a penetrare fino a tre gradi di separazione.
L'amico dell'amico dell'amico di una persona sorridente, pur non sapendolo, è infatti più felice anche grazie a lei. "Qualcuno che non conosciamo e non abbiamo nemmeno mai incontrato ? conferma Fowler ? può influenzare il nostro buon umore più di cento banconote nelle nostre tasche. È incredibile quanto potere abbiano le persone che ci vivono accanto".
di ELENA DUSI
03 dicembre 2008
Scoperta una sostanza che ha virtù anticancerogene: OLEOCANTALE
OLIO EXTRAVERGINE PER PREVENIRE I TUMORI
Oleocantale è un pizzico di salute in più il sapore che si avverte in gola gustando olio extravergine di oliva. Dipende da un composto naturale, un antinfiammatorio. Spiegano ricercatori del Monell Chemical Senses Center di Philadelfia, ha gli stessi effetti di uno degli antidolorifici non steroidi NSAIDs più usati.
Secondo quanto riferito dalla rivista Nature la presenza di questo composto potrebbe essere all'origine delle proprietà benefiche dell'olio d'oliva, infatti come l'ibuprofene anche questa sostanza, assunta grazie a un regolare consumo potrebbe essere anticancerogena.
La scoperta dell'oleocantale non può che dirsi fortuita perchè ha preo per la gola Beauchamp durante un meeting di gastronomia molecolare tenutosi in Abruzzo dove lo scienziato aveva gustato dei piatti con olio extravergine novello riconoscendo in quel sapore pungente la stessa sensazione provata nell'ingoiare ibuprofene.
Guidato dall'idea sulla similitudine delle proprietà organoelettriche di due sostanze possono nascondere importanti somiglianze chimiche, l'esperto si è messo alla ricerca di quel composto comune.
Così l'esperto si è imbattuto in un composto fino ad allora sconosciuto e senza nome e lo ha battezzato oleocantale, nome che sta ad indicare che trattasi di un'aldeide (ale) che deriva dall'olio di oliva (oleo) che è pungente (canth). Per verificare che fosse veramente l'oleocantale responsabile del sapore del condimento gli scienziati hanno testato diverse qualità di olio di oliva verificando che maggiore era il contenuto di oleocantale in ciascuna, più forte il gusto pungente dell'olio. Inoltre i ricercatori hanno ricostruito in laboratorio la forma sintetica della molecola constatando che aveva identiche caratteristiche di quella naturale. Per vedere poi se la sensazione che aveva portato Beauchamp sulle tracce della molecola non fosse infondata, l'esperto ha testato le proprità antinfiammatorie e antidolorifiche dell'oleocantale trovandolo capavce di inibire alcuni enzimi, proprio i bersagli dell'ibuprofene. Non c'è dubbio qundi che l'oleocantale sia a sua volta un antidolorifico.
"La dieta mediterranea, della quale l'olio d'oliva è un componente centrale", dichiara Beslin (ricercatore MMCSC) "è da tempo associata a molteplici effetti e benefici per la salute, riducendo il rischio di infarto e ictus, alcuni tipi di tumore e di demenza. Effetti benefici simili sono associati all'uso prolungato di alcuni NSAIDs come aspirina e ibuprofene. Adesso che sappiamo dell'esistenza dell'oleocantale e delle sue proprietà antinfiammatorie sembra plausibileche la molecola giochi un ruolo casuale negli effetti benefici della dieta dove l'olio d'oliva è la principale sorgente di grassi".
Detta in altre parole, l'oleocantale potrebbe essere la nuova aspirina naturale.
Un sorso d'olio invece della pillola? Io aggiungo al sorso una fetta di pane toscano insipido, mentre sono allergico alle aspririne.
02 dicembre 2008
Olio di palma : ovvero come si imbroglia
È partita dall'Indonesia alla volta dell'Olanda una nave cisterna carica di olio di palma, il primo a vantare il certificato di sostenibilità ambientale e sociale rilasciato dalla Rspo (la Tavola rotonda dell'olio di palma sostenibile). Ma non c'è nulla da festeggiare, avverte Greenpeace. Anzi, c'è da protestare. Un attivista dell'associazione l'ha fatto incatenandosi all'àncora della Gran Couva, resistendo per ore al getto degli idranti e ritardando la partenza della nave. Secondo Greenpeace, il certificato di sostenibilità concesso alla United Plantations, che possiede migliaia di ettari in Malesia e Indonesia e fornisce olio di palma a Nestlé e Unilever, è solo «una cortina fumogena» che copre i soliti misfatti: appropriazione indebita di aree forestali, degradazione di foreste pluviali e torbiere, conflitti con le popolazioni locali.
Greenpeace per un verso accusa gli ispettori della Rspo d'aver «chiuso gli occhi» di fronte alle innumerevoli irregolarità commesse dalla United Plantations, per un altro lamenta che i criteri di certificazione adottati sono troppo blandi e permissivi. Ad esempio, la United Plantations, ottenuta la certificazione di sostenibilità per le sue piantagioni in Malesia, può continuare a distruggere la foresta in Indonesia. Il sospetto che la certificazione sia solo un'operazione di maquillage cresce quando si apprende che i cavalieri di questa «tavola rotonda» - creata nel 2002 - sono oltre duecento aziende (in gran parte multinazionali) che usano l'olio di palma per fare saponi, detersivi, cosmetici, cioccolati (compresa la Nutella), biscotti, gelati, margarina, patatine, dadi, cibi congelati... Attorno alla «tavola rotonda», presieduta dalla Unilever, siedono Nestlé, Procter&Gamble, Kraft e la nostrana Ferrero.
L'olio di palma copre il 21% del mercato mondiale dell'olio commestibile, è il più usato dopo quello di soia. Negli ultimi vent'anni la produzione di olio di palma è triplicata. Per far posto ai palmeti nel Sud Est asiatico (Malesia, Indonesia, Borneo) sono stati tagliati e bruciati milioni di ettari di foresta, liberando in atmosfera un enorme quantità di anidride carbonica, il principale gas serra. Si sono intaccate anche le torbiere, un magazzino naturale sotterraneo di Co2. Ecco perchè l'Indonesia è il terzo produttore mondiale, dopo Usa e Cina, di anidride carbonica. Oltre agli effetti sul clima, il prezzo pagato al boom dell'olio di palma è il drastico impoverimento della biodervisità: specie animali a rischio d'estinzione, abbandono imposto alle comunità indigene delle colture tradizionali.
Contro la deforestazione causata dall'industria dell'olio di palma Greenpeace ha condotto diverse campagne internazionali e raccolto migliaia di firme. Ha lanciato la parola d'ordine «deforestazione zero»: basta tagliare foreste e distruggere le torbiere per far posto ai palmeti. Persino l'Unilever, a parole, ha aderito alla moratoria. Un impegno di facciata, vista la leggerezza con cui è stato rilasciato il primo certificato di sostenibilità all'olio di palma della United Plantations.
La prossima settimana l'industria dell'olio di palma terrà a Bali il sesto incontro annuale della «tavola rotonda». E' indispensabile che in quella sede vengano fissati criteri più rigidi per certificare la sostenibilità dell'olio di palma, dice Chiara Campione, responsabile della campagna foreste di Greenpeace Italia. Altrimenti, le aziende continueranno a «imbrogliare» il mercato e i consumatori.
26 novembre 2008
La vista: un bene prezioso
Il dono della vista è tra i più preziosi che abbiamo ricevuto e, per molti di noi, è molto difficile persino immaginare di venirne privati. Le attività che possiamo svolgere tramite gli occhi sono innumerevoli eppure, da recenti indagini, risulta che gli italiani curano troppo poco la salute dei propri occhi, specialmente quando si tratta dei più piccoli.
A causa di trascuratezza e mancate visite dall'oculista il 6% dei baby-italiani under 5 è strabico, miope, ipermetrope o astigmatico, ma più di uno su tre (34%) non porta gli occhiali anche se ne avrebbe bisogno. Tra uno e 5 anni la quota di chi corregge il difetto è quindi del 66%. E anche se il dato sale all'80% nei bambini di 6-13 anni e all'83% negli over 14, in generale un connazionale su 5 non si è mai sottoposto a controlli oculistici, più di 6 su 10 (oltre 35 milioni) non fanno una visita da oltre tre anni e uno su 4 ha un problema non corretto. Nella Penisola resiste insomma il tabù dei 'quattrocchi', secondo la fotografia scattata da un'indagine commissionata a Cra (Customized Research Analysis) dalla Commissione difesa vista (Cdv) e presentata oggi al Comune di Milano. Presente l'assessore alla Salute, Giampaolo Landi di Chiavenna, che annuncia l'impegno di Palazzo Marino per la vista dei meneghini. Con la collaborazione di Cdv, afferma, "nel febbraio 2009 prevediamo di lanciare uno screening di massa" per intercettare i difetti visivi sotto la Madonnina e promuoverne la correzione. Una campagna che dovrebbe partire nella seconda metà del mese e viaggiare a bordo di appositi camper. L'assessore ricorda infatti che "il 2009 sarà per Milano l'Anno della salute. Ogni mese avvieremo uno screening in tutta la città, con particolare riguardo verso le aree più disagiate", per la prevenzione delle malattie e la promozione di una concezione più responsabile del benessere. "Al termine dei due semestri promuoveremo gli Stati generali della salute a Milano", e in quest'opera di sensibilizzazione verranno coinvolti "Asl, ospedali, personale sanitario e associazioni di volontariato". L'idea di Landi è quella di "dedicare uno dei primissimi screening di massa dell'Anno della salute alla vista": un senso 'malato' nella metà degli italiani, ma a rischio nell'88% di chi quotidianamente utilizza un computer per lavoro, studio o per gioco, sottolineano gli esperti. L'indagine Cdv rileva che più del 60% dei piccoli italiani di 1-5 anni non è ancora stato sottoposto a una visita oculistica completa. E appena nel 29% dei casi in cui il check-up è avvenuto l'iniziativa è partita dai genitori. La percentuale di chi è andato dall'oculista almeno una volta cresce al 72% tra i 6-13enni, ma anche in questa fascia d'età mamme e papà sembrano non badare più di tanto al benessere visivo dei figli: soltanto nel 22% dei casi sono stati i genitori a pensare al controllo. Fra gli ultra 14enni l'85% ha fatto almeno una visita oculistica completa, ma il 15% dei connazionali che non hanno mai visto lo specialista appartiene alla categoria dei giovanissimi e il 32% di chi sfugge all'oculista è un teenager tra 14 e 17 anni. Gli specialisti chiamano in causa le istituzioni. Una seconda ricerca condotta da Cra per conto della Cdv dimostra infatti che, "sebbene il Piano sanitario nazionale 2006-2008 contenga un intero paragrafo sulla prevenzione sanitaria e sulla promozione della salute - precisa l'avvocato Silvia Stefanelli, responsabile dell'indagine - non vi è ancora alcun accenno a programmi di prevenzione in campo visivo". In altre parole, le visite di prevenzione oculare sono affidate alla volontà del singolo. Da qui "la necessità di avviare una politica di sensibilizzazione sul problema vista", dice Landi di Chiavenna. Per la Cdv "una missione fin dalla sua nascita nel 1972", puntualizza il presidente della Commissione, Vittorio Tabacchi, perché "grazie alla prevenzione si potrebbe evitare il 75% della cecità negli adulti" oltre al 50% di quella nei bambini. Landi evidenzia che "la Lombardia è la prima regione italiana per numero di ciechi: conta almeno 45 mila non vedenti e un numero triplo di ipovedenti". Ma giocare d'anticipo può salvare gli occhi. "Controllare la propria vista è un dovere verso se stessi", chiude.
Quando vogliamo intendere che una cosa è assai preziosa (e costosa) diciamo che “vale un occhio della testa”: cerchiamo dunque di non compromettere la salute di entrambi i nostri occhi semplicemente per la scarsa voglia di andare a farci controllare la vista. Uno screening annuale dall'oculista è consigliabile, specialmente per i bambini e per chi lavora in situazioni d'affaticamento visivo.
22 novembre 2008
Una passeggiata per battere la GOLA
Provate un irresistibile desiderio di mangiare una particolare leccornia? Sentite forte la voglia di cioccolata o di qualche altra golosità ipercalorica? Niente paura: potete resistere e salvare la linea semplicemente facendovi una bella passeggiata a passo veloce per 15 minuti.
Questo è il suggerimento per i golosi di ogni latitudine ed età che viene da uno studio britannico coordinato dal prof.Adrian Taylor della School of Sport and Health Sciences presso la University of Exeter e pubblicato sulla rivista “Appetite”.
"Spezzare la giornata con un po' di movimento potrebbe essere un aiuto valido contro il consumo di calorie non necessarie, in particolare contro gli snack e le merendine più golose", dice il professor Taylor. Uno dei cibi più ricercati in questi "attacchi di fame" fuori pasto e' la cioccolata; la voglia e' innescata soprattutto dalla noia, dallo stress, dal desiderio di sollevare l'umore o sentirsi meno stanchi, notano gli autori dell'indagine.
Per consumare dolciumi prelibati vari ogni scusa sembra essere buona: fa più freddo, ho carenze d'affetto, la cioccolata e i dolci tirano su.
Tuttavia lo studio inglese ha mostrato che piccoli intervalli di movimento intenso, per esempio una camminata a passo svelto, ottengono gli stessi effetti provocati dalla cioccolata, come risvegliare la lucidità e tirar su l'umore, e riducono la necessita' di ricorrere a snack dolci. In particolare il gruppo di Taylor ha messo a confronto la voglia di cioccolata in due gruppi di persone: uno era sedentario mentre l'altro si alzava ogni tanto per fare delle passeggiate intense. E' emerso che quest'ultimo riusciva a controllare molto meglio la voglia di cioccolata. Taylor pensa che si potrebbero condurre ulteriori ricerche per indagare la correlazione tra attività fisica e voglia di merendine, per aiutare soprattutto chi lavora in ufficio, e in particolare le donne, spesso vittima di improvvise voglie di "qualcosa di goloso".
Per essere equilibrati si può arrivare a un compromesso: concedersi un piccolo sfizio dolce di tanto in tanto, ma avendo cura di fare un'attività fisica costante per mantenersi in salute e con una linea invidiabile.
16 novembre 2008
Le multinazionali alla conquista del Mercato dell'acqua pubblica
Con l'Art. 23 bis del decreto legge recante la firma del ministro Tremonti ed approvato il 5 agosto di quest'anno si stabilisce che le reti idriche, pur rimanendo pubbliche, possono essere gestite da società private, come nel caso del gas e dell'energia elettrica.
Legge contraddittoria in quanto, se da un lato si ribadisce la natura pubblica del bene, dall’altro si spalancano le porte ai cosiddetti “privati”, ossia alle multinazionali.
Ismael Serageldin, vicepresidente della Banca Mondiale, aveva affermato pubblicamente che le guerre del XXI secolo, saranno i conflitti per potersi aggiudicare le risorse idriche del pianeta. Risorse che sono calate di circa il 30% negli ultimi trent’anni.
Nel Medio Oriente da diversi anni la Turchia (che ha una risorsa idrica pro capite superiore all'italia) è in conflitto con la Siria e l’Iraq per il controllo del Tigri e dell'Eufrate, mentre Israele dal canto suo ha esteso il suo controllo ai territori palestinesi dove vi è la maggiore presenza di acqua.
Con la privatizzazione mondiale del mercato dell'acqua, oggi bisogna porsi una domanda: se attualmente nel mondo ogni anno muoiono dai 40 ai 50 milioni di persone, come rileva la FAO, in un prossimo futuro quante ne morranno per sete?
In Italia il mercato delle acque minerali è quasi totalmente in mano alle multinazionali, proprietarie dei marchi più diffusi. La parte del leone la fanno la svizzera Nestlè (San Pellegrino, Lievissima, Panna, Recoaro, San Bernardo, Pejo, ecc) e la francese Danone (Ferrarelle, Guizza, Vitasnella, Boario, Fonte viva, San Benedetto, ecc).
Considerati i bassi costi di prelievo e gli altissimi ricavi, (per un litro d’acqua in bottiglia vanno dal 600 al 1.000%, nonostante le spese per il trasporto e per la pubblicità martellante) possiamo aspettarci un lotta senza quartiere per il controllo della nostra sete. La Nestlè, solo per fare un esempio, sta manovrando per il completo controllo dell’acquedotto pugliese, il più grande d’Europa.
A ciò si aggiunge la beffa degli oneri che lo Stato incassa per le concessioni: in pratica nulla. Tutte le acque sotterranee fanno parte del demanio, ma attualmente solo 6 regioni su 20 percepiscono un onere per il loro sfruttamento (oltretutto calcolate sulla base dell’estensione della sorgente e non della quantità di acqua prelevata): Piemonte, Veneto, Umbria, Campania, Basilicata e Sicilia. Nel resto d'Italia la nostra acqua viene regalata alle multinazinali che ritorna a caro prezzo sulle nostre tavole.
L'acqua è un diritto di tutti, un bene primario necessario per la vita dell'uomo e dell'ambiente e a nessuno dovrebbe essere permesso di usarla a fini speculativi. Sopratutto alle multinazionali. La battaglia per il mantenimento del controllo pubblico delle reti idriche italiane è, pertanto, di vitale importanza, ne va del nostro futuro e di quello del nostro ambiente: dobbiamo assolutamente vincerla.
di Gianfranco Perlato
04 novembre 2008
Come i produttori alimentari prendono in giro i consumatori
Il mito: L’elenco degli ingredienti nei prodotti alimentari è studiato per informare i consumatori circa il contenuto del prodotto stesso.
La realtà: l’elenco degli ingredienti è usato dai produttori alimentari per imbrogliare i consumatori sul fatto che siano più sani di quello che in verità sono.
Questo articolo esplora i più comuni trucchi usati dalla aziende alimentari per ingannare i consumatori. L’articolo contiene anche utili informazioni per aiutare i consumatori a leggere le etichette dei prodotti con il giusto scetticismo.
Ingannare i consumatori: trucchi del commercio alimentare
Se la Scheda Nutrizionale Informativa presente nella confezione del prodotto alimentare elenca tutte le sostanze contenute nel prodotto, come possono ingannare i consumatori? Ecco alcuni dei modi più comuni:
Uno dei trucchi più comuni è quello di distribuire gli zuccheri presenti tra molti ingredienti così che le quantità di zuccheri non compaiono nei primi tre dell’elenco. Per esempio un’azienda può usare una combinazione di saccarosio, fruttosio, sciroppo di cereali, sciroppo di grano, zucchero di canna non raffinato, destrosio e altri zuccheri per essere sicura che nessuno di essi sia presente in quantità sufficiente da arrivare nelle prime posizioni dell’elenco degli ingredienti (ricordate che gli ingredienti sono elencati in ordine di proporzione nel prodotto, con i più presenti elencati per primi).
Questo inganna i consumatori sul fatto che il prodotto non è fatto in realtà principalmente da zucchero mentre i principali ingredienti potrebbero essere differenti tipologie di zucchero. E’ un modo per spostare artificialmente lo zucchero più giù nella lista degli ingredienti, non informando sul contenuto reale di zucchero presente nell’intero prodotto.
Un altro trucco consiste nel gonfiare l’elenco con minuscole quantità di ridondanti ingredienti. Si può vederlo nei prodotti per la cura personale e nello shiampo, dove le aziende dichiarano di fornire shampi alle erbe che in realtà hanno un contenuto di erbe quasi inesistente. Nei prodotti alimentari le aziende gonfiano la lista degli ingredienti con “salutari” bacche, erbe o super-cibi che, molto spesso, sono presenti solo in minuscole quantità. La presenza alla fine dell’elenco degli ingredienti della “spirulina” è praticamente insignificante. Non c’è abbastanza sbirulina in quel prodotto che possa produrre reali effetti sulla vostra salute. Questo trucco è chiamato “etichetta imbottita” ed è comunemente usato dai produttori di “junk-food” (cibo spazzatura) che vogliono saltare sul carro dei prodotti biologici senza in realtà produrre cibi salutari.
Nascondere ingredienti dannosi
Un terzo trucco consiste nel nascondere ingredienti dannosi dietro nomi dal suono innocente, che fanno credere al consumatore che siano sani. L’estremamente cancerogeno nitrito di sodio (conservante E250), per esempio, suona perfettamente innocente, ma è ben documentato che è causa di tumori al cervello, cancro al pancreas, cancro al colon e molti altri tipi di cancro.
Carminio suona come un innocente colorante per alimenti, ma in realtà è fatto con le carcasse frantumate di scarafaggi rossi della cocciniglia. Naturalmente, nessuno mangerebbe yogurt alle fragole se sulla etichetta ci fosse indicato “colorante rosso per alimenti a base di insetti”.
Allo stesso modo, estratto di lievito suona come un ingrediente salutare, ma in realtà è un trucco usato per nascondere il glutammato monosodico (MSG, un esaltatore chimico di sapore, per dare gusto ai cibi eccessivamente elaborati) senza avere l’obbligo di indicarlo nell’etichetta. Molti ingredienti contengono glutammato monosodico nascosto e io ho scritto parecchio su questo nel sito. Praticamente tutti gli ingredienti idrolizzati contengono alcune quantità di glutammato monosodico nascosto.
Non essere ingannati dal nome del prodotto
Sapete che il nome del prodotto alimentare non ha nulla a che fare con ciò che c’è dentro?
Aziende alimentari fanno prodotti come “Guacamole Dip” (salsa di avocado) che non contiene avocado! Sono fatti, invece, con olio di soia idrogenata e colorante chimico verde. Ma ingenui consumatori comprano questi prodotti, pensando di prendere salsa di avocado, in realtà stanno comprando colorante verde, squisito dietetico veleno.
I nomi dei cibi possono includere parole che descrivono ingredienti che nel cibo non ci sono per niente. Un cracker al formaggio, per esempio, non deve necessariamente contenere del formaggio. Qualcosa di “cremoso” non deve contenere la crema. Un prodotto alla frutta, non ha bisogno di contenere nemmeno una singola molecola di frutta. Non fatevi ingannare dai nomi dei prodotti stampati sulla confezione. Questi nomi sono ideati per vendere i prodotti, non per descrivere gli ingredienti contenuti in essi.
La lista degli ingredienti non include gli inquinanti
Non c’è la necessità, nell’elenco degli ingredienti, di includere i nomi degli inquinanti chimici, metalli pesanti, bisphenol-A, PCBs (bifenile policlorurato), perclorato o altre sostanze tossiche trovate nei cibi. Come risultato abbiamo che la lista degli ingredienti non elenca quello che in realtà c’è nel cibo, elenca soltanto quello che i produttori vogliono che tu creda che ci sia nel cibo.
Richieste per elencare gli ingredienti nei cibi furono prodotto da uno sforzo congiunto tra il governo e l’industria privata. All’inizio, le aziende alimentari non volevano fosse obbligatorio indicare tutti gli ingredienti. Chiesero che gli ingredienti fossero considerati “proprietà riservata” e che elencarli, svelando così i loro segreti modi di produzione, avrebbe distrutto i loro affari.
E’ un’assurdità, naturalmente, poiché le aziende alimentari volevano soltanto tenere all’oscuro i consumatori su quello che in realtà c’è nei loro prodotti. E’ per questo che non è ancora richiesto di elencare i vari inquinanti chimici, pesticidi, metalli pesanti e altre sostanze che hanno un notevole e diretto impatto sulla salute dei consumatori. (Per anni, le aziende alimentari hanno combattuto duramente contro l’elenco degli acidi grassi, ed è solo dopo una protesta di massa delle associazioni di consumatori che la FDA alla fine ha obbligato le aziende ad includere nell’etichetta gli acidi grassi).
Manipolare la quantità delle porzioni
Le aziende alimentari hanno capito anche come manipolare la porzione del cibo al fine di far apparire i loro prodotti privi di ingredienti nocivi come gli acidi grassi.
La FDA , ha creato un sotterfugio per riportare gli acidi grassi nell’etichetta: Ogni cibo che contiene 0.5 grammi di acidi grassi o meno per porzione è permesso, sull’etichetta, dichiararlo a contenuto ZERO di acidi grassi. Questa è la logica della FDA dove 0.5 = 0.
Ma matematica confusa non è il solo trucco giocato dalla FDA per proteggere gli interessi commerciali delle industrie che dichiara di controllare.
Sfruttando questo trucchetto dei 0.5 grammi , le aziende arbitrariamente riducono le porzioni dei loro cibi e livelli ridicoli – giusto per tenere gli acidi grassi sotto i 0.5 grammi per porzione. Così loro dichiarano in grande sulla confezione “ZERO Acidi Grassi”. In realtà, il prodotto può essere pieno di acidi grassi (trovati in oli idrogenati), ma la porzione è stata ridotta ad un peso che può essere appropriato solo per nutrire uno scoiattolo, non un essere umano.
La prossima volta che voi prendete un prodotto da drogheria, controllate il “Numero di porzioni” indicato sulla Scheda Nutrizionale Informativa. Troverete probabilmente dei numeri talmente alti che non hanno nulla a che fare con la realtà. Un produttore di biscotti, per esempio, può dichiarare che un biscotto è un’intera “porzione” di biscotti. Ma voi conoscete qualcuno che, in realtà, mangia solo un biscotto? Se un biscotto contiene 0.5 grammi di acidi grassi, il produttore può dichiarare che l’intero pacco di biscotti è “SENZA Acidi Grassi”. In realtà, il pacco può contenere 30 biscotti, ognuno con 0.5 grammi di acidi grassi, che porta a 15 grammi totali per l’intero pacco (ma presuppone che la gente possa in realtà fare la somma che è naturalmente più difficoltosa per il fatto che gli oli idrogenati nuocciono al cervello. Ma credetemi: 30 biscotti x 0.5 grammi per biscotto in realtà fa un totale di 15 grammi ).
Tu prendi un pacco di biscotti che contiene 15 grammi di acidi grassi (che è una dose enorme di veleno dietetico) mentre loro dichiarano grammi ZERO.
Questo è solo un altro esempio di come le aziende alimentari usano la Scheda Nutrizionale Informativa e l’elenco degli ingredienti per ingannare e non per informare i consumatori.
Ecco alcune ulteriori dritte per decifrare con successo gli ingredienti delle etichette:
Consigli per leggere gli ingredienti delle tabelle
1) Ricordare che gli ingredienti sono elencati in ordine della loro proporzione nel prodotto. Questo significa che i primi 3 ingredienti contano molto di più di qualsiasi altro. I primi 3 ingredienti sono quello che tu principalmente stai mangiando.
2) Se l’elenco degli ingredienti contiene lunghe parole apparentemente chimiche, che tu non riesci nemmeno a pronunciare, evita l’articolo. Probabilmente contiene vari chimici tossici. Perché vuoi mangiarli? Introduci ingredienti che conosci.
3) Non farti ingannare da fantastici nomi di erbe o altri ingredienti che appaiono molto giù nella lista. Alcuni produttori di alimenti che includono “goji bacche” (bacche di Lycium) verso la fine dell’elenco le usano solo come trovata pubblicitaria da apporre sull’etichetta. La reale quantità di goji bacche (bacche di Lycium) nel prodotto è probabilmente minuscola.
4) Ricorda che l’elenco degli ingredienti non deve elencare inquinanti chimici. I cibi possono essere contaminati con pesticidi, solventi, acrilamidi, PFOA (Acido di Perfluorooctanoic), perclorati (combustibili per razzi) e altri tossici chimici senza l’obbligo di elencarli. Il miglior modo di limitare l’ingestione di tossici chimici è comprare biologico, o cibi freschi poco trattati.
5) Cercare parole come “germogliato” o “naturale” che indica cibi di alta qualità. Chicchi e semi germogliati e sono più sani di quelli non germogliati. Ingredienti naturali sono generalmente più sani di quelli trattati o cotti. I chicchi interi sono più sani di quelli arricchiti.
6) Non fatevi ingannare dalla parola “grano” quando deriva da farina. Tutta la farina derivata dal grano può essere chiamata “farina di grano”, anche se è stata trattata, sbiancata e privata dei suoi nutrimenti. Solo la farina di grano “chicco intero” è il tipo di farina sano. (Molti consumatori, sbagliando, credono che prodotti di “farina di grano” derivino dal chicco intero. Infatti questo è falso. I produttori alimentari ingannano i consumatori con questo trucchetto.
7) Non fatevi ingannare nel credere che i prodotti integrali siano più sani dei prodotti naturali. Lo zucchero bruno è solo una trovata pubblicitaria – è zucchero bianco con colorante marrone e aroma aggiunto. Le uova integrali non sono diverse da quelle bianche (eccetto per il fatto che i loro gusci appaiono bruni). Il pane integrale può non essere più sano del pane bianco, a meno che non sia fatto con chicchi di grano interi. Non fatevi ingannare dai cibi “integrali”. Sono delle trovate pubblicitarie dei giganti della produzione alimentare per ingannare i consumatori nel pagare di più per i prodotti fabbricati da loro.
8) Attenzione alle inganno delle piccole porzioni. I produttori alimentari usano questo trucco per ridurre il numero di calorie, grammi di zucchero o grammi di acidi grassi che i consumatori credono siano contenuti nei prodotti. Molte porzioni sono arbitrarie e non hanno un fondamento reale.
9) Vuoi sapere realmente come acquistare i cibi? Scarica la nostra guida "Honest Food Guide", un onesto rapporto sul cibo che è stato scaricato da oltre 800.000 persone. E’ in sostituzione dell’assai corrotto e manipolato Food Guide Pyramid della USDA (United States Department of Agricolture), che è poco più di un documento di marketing a favore delle fattorie industriali e delle grandi corporazioni dell’alimentare. L’Honest Food Guide è un rapporto nutrizionale indipendente che rivela esattamente cosa mangiare e cosa evitare per migliorare la propria salute.
fonte: newstarget.com
02 novembre 2008
I cambiamenti climatici ci renderanno più generosi?
In questi giorni il nostro governo non fa altro che parlare del “Pacchetto Clima” e di tutti i problemi di natura economica che potrebbe comportare accettare una simile iniziativa. Combattere il riscaldamento ci farà diventare più poveri? Poveri non si sa, ma sicuramente più generosi, questo almeno secondo uno studio della Yale University che afferma che il caldo influisce sulle persone rendendole maggiormente disponibili verso gli altri.
Lo studio c’entra poco con il cambio climatico e il conseguente riscaldamento globale, mi è comunque sembrato curioso riportare uno dei possibili aspetti che un eventuale aumento delle temperature potrebbe provocare sulle persone. Sembrerebbe infatti che il caldo corporeo aumenti la nostra generosità rendendoci più altruisti e positivi nel giudicare gli altri.
Gli psicologi Lawrence Williams e John Barg hanno coinvolto un gruppo di volontari in alcuni esperimenti il cui contenuto era quello di analizzare i comportamenti delle persone in situazioni di caldo o di freddo. Da queste prove è emerso che i giudizi positivi verso le altre persone e la generosità erano aspetti che aumentavano man mano che i soggetti avevano a che fare con una temperatura più alta. L’esperimento ha fatto ipotizzare che dietro a questo effetto caldo ci sia una regione del cervello deputata ad elaborare le condizioni termiche determinando differenti comportamenti in funzione di queste. Dovessimo avere climi sempre più torridi aspettiamoci perlomeno di vivere in maniera più socievole, magra consolazione verrebbe da dire, ma chissà non possa essere un punto di forza per vivere in maniera sostenibile.
fonte: scienzemag.org
16 ottobre 2008
Vivere a impatto zero
Case che producono più energia di quanta ne consumano. Riciclo totale delle acque reflue. Pale eoliche in ogni strada. Nascono così i quartieri del futuro. Dalla Cina a Milano
Fare la spesa o comprare il giornale, guardare la tv o prendere l'auto. Fabbricare qualunque bene, erogare un servizio. Ogni attività umana emette anidride carbonica. Un italiano ne produce in media 21 chili al giorno. Meno di un americano, molti più di un africano. In ogni caso troppi. Perché il pianeta non è più in grado di reggere il nostro peso. Il 'giorno della bancarotta ecologica', quello in cui il consumo umano di risorse naturali ha sorpassato la capacità della Terra di rinnovarle, ce lo siamo buttato alle spalle il 23 settembre scorso. Ecco perché non può durare: la Terra non ce la fa. E in tutto il mondo si moltiplicano le iniziative per il perseguimento del cosiddetto impatto zero, cioè per un modello di vita che punti verso l'azzeramento delle emissioni di CO2.
Un obiettivo che oggi passa anche, se non soprattutto, attraverso il ripensamento delle città. Dal 2008, per la prima volta nella storia, la maggioranza della popolazione mondiale vive in città. Nel 1800 era appena il 2 per cento. Nel 2050 sarà quasi il 70 per cento. E l'edilizia da sola è responsabile di circa il 40 per cento delle emissioni di CO2.
Per questo, in tutto il mondo studi di architettura e amministrazioni pubbliche si sfidano a colpi di ecocittà ed ecoquartieri. Dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Germania all'Inghilterra fino all'Italia, si moltiplicano i cantieri di nuovi insediamenti a impatto zero. Come quello, gigantesco, della nascente città cinese di Dongtan, che entro il 2040 ospiterà sull'isola di Chongming, vicino a Shanghai, circa 50 mila abitanti . Dongtan avrà un impatto ambientale praticamente nullo: il fabbisogno energetico sarà ridotto drasticamente (il 66 per cento in meno di una città tradizionale) e si impiegheranno solo energie rinnovabili per gli edifici e i trasporti locali, evitando così di produrre 350 mila tonnellate di anidride carbonica l'anno. Fiumi e laghi incorporati nel tessuto urbano forniranno soluzioni alternative per la mobilità (come i taxi d'acqua a energia solare, ma a Dongtan tutto sarà raggiungibile in sette minuti a piedi da ogni fermata dei bus), mentre ampie zone verdi contribuiranno a riequilibrare le emissioni di CO2.
In città potranno circolare solo veicoli elettrici oppure a idrogeno e ogni edificio sarà energeticamente autonomo grazie a un tetto fotovoltaico e installazioni minieoliche. Dall'acqua piovana ai rifiuti (ridotti dell'83 per cento), quasi tutto sarà riciclato. In città non sono previste discariche e persino le deiezioni umane saranno impiegate nel compostaggio, nell'irrigazione e recuperate come energia per la produzione di biogas, mentre il resto dei fabbisogni energetici cittadini sarà coperto da un parco eolico.
Se pianificare intere città a impatto zero è ancora un'opera avveniristica, già molte nazioni si sono cimentate in quartieri e singole costruzioni 'ecologically-correct'. Antesignano della progettazione sostenibile e oggi guardato come modello è il piccolo quartiere di BedZED (Beddington zero energy development) a sud di Londra, realizzato tra il 2000 e il 2002. Uno dei primi insediamenti a zero emissioni fin dalla sua costruzione, in cui ogni edificio è dotato di pannelli fotovoltaici e condizionato con un sistema di ventilazione aperto, mentre l'acqua piovana e l'acqua di scarico vengono raccolte, depurate e riutilizzate. Un po' come accadrà nel vecchio porto di Middlesbrough, sempre in Inghilterra, che ospiterà un college per 20 mila studenti, appartamenti, hotel, uffici e servizi tutti carbon free, cioè senza alcun consumo di energia fossile.
Se le progettazioni 'dall'alto' hanno già dato prova di ottima riuscita, a Friburgo la 'progettazione partecipata' inaugurata dal Comune per il quartiere Vauban ha rivoluzionato anche il concetto di ecopianificazione. Il Comune ha stabilito alcuni punti essenziali della progettazione, come l'allacciamento di tutti gli edifici alla centrale termica comunale (a zero emissioni), la realizzazione di edifici a basso consumo energetico, l'uso delle acque piovane, la restrizione alla circolazione di auto: a Vauban non è consentito parcheggiare per strada e ogni mille abitanti ci sono solo 150 auto, ma chi aderisce al car-sharing ha diritto ad un abbonamento annuale gratuito al tram. Poi ha lasciato a privati e piccole cooperative la possibilità di progettare il quartiere, che oggi è considerato il più ecologico di tutta la Germania.
Alessandra Viola
13 ottobre 2008
IL MIELE per curare ..
Un antico rimedio per curare le ferite infette era quello di spalmarvi sopra del miele. Recentemente la scienza medica ha riscoperto questo prezioso alimento e il suo utilizzo sempre più diffuso ha dato vita a numerosi studi volti a confermare le sue proprietà antibatteriche e a documentarne l'importanza e il ruolo nel trattamento delle ferite. Da tutti questi studi sono emersi dati interessanti. E' stato dimostrato che il miele favorisce la guarigione e la riduzione della contaminazione batterica in pazienti con ferite aperte o infette. Il miele è stato utilizzato in interventi di fissazione degli innesti cutanei e nel trattamento delle ulcere da pressione le quali possono addirittura scomparire. Ricercatori gallesi fanno inoltre sapere che applicando il miele sulle ustioni si prevengono le infezioni. Altri ricercatori consigliano a chi si sottopone ad un intervento chirurgico di chiedere i chirurghi di applicare del miele sulle ferite postoperatorie. Le sue proprietà derivano dalla capacità del miele di stimolare la produzione delle citochine (proteine molto importanti nella risposta immunitaria) e dei monociti (cellule del sistema immunitario). Durante la sperimentazione, effettuata con miele di Manuka, è stato isolato un componente che stimola la produzione di TNF-alpha (citochina proinfiammatoria sintetizzata in seguito a stimoli infiammatori e infettivi). Grazie a questa scoperta si potrebbero sviluppare delle terapie per la guarigione di ferite acute e croniche. Il miele di Manuka deriva dai fiori del Lptospermum scoparium, originario della Nuova Zelanda e dell'Australia, utilizzato anche nella medicina tradizionale Maori. Le proprietà mediche e anitibatteriche del miele ne fanno un efficace medicamento contro ustioni e ulcere croniche, come ad esempio il piede diabetico. Questo è stato evidenziato in due diversi studi, uno neozelandese della University of Auckland ed uno statunitense della University of Wisconsin. Già nell'antichità il miele era ampiamente utilizzato per la rimarginazione delle ferite. Antichi papiri egizi riguardanti le tecniche chirurgiche lo citano come rimedio, così come anche testi greci, cinesi e della medicina ayurvedica tradizionale. Più recentemente, nella seconda guerra mondiale, bendaggi al miele erano comunemente usati come antibiotici locali. Lo studio condotto dal ricercatore neozelandese Andrew Jull, suggerisce di spalmare il denso liquido ambrato sulle ustioni per ridurre il tempo di guarigione della lesione; nel migliore dei casi si arriva ad anticipare la rimarginazione di quasi quattro giorni. Invece Jennifer Eddy, che sta completando uno studio sull'uso del miele nel trattamento contro le ulcere da piede diabetico all'Università del Wisconsin, afferma che i pazienti potrebbero ritenerlo parte di una terapia alternativa o per lo meno prenderlo in considerazione in seguito ad una reazione avversa ad altri trattamenti locali. Il miele secca le ferite e contiene perossido di idrogeno: entrambe queste proprietà contribuiscono all'eliminazione dei batteri. “L'uso topico del miele è più economico di altri interventi, ad esempio degli antibiotici orali, comunemente utilizzati e che spesso hanno effetti collaterali deleteri per il paziente”, spiega la Eddy. Il dolce fluido prodotto delle api è dunque un vero toccasana per la nostra salute: non solo cura raffreddori, tosse e mal di gola, ma aiuta anche a far rimarginare le ferite e nella terapia contro le ustioni e le ulcere croniche. La sua squisita bontà, oltretutto, è in grado di stimolare la nostra golosità, metterci di buon umore e non farci ingrassare: contrariamente a quanto comunemente si pensa, infatti, il miele è ricco di sostanze nutritive essenziali e non è eccessivamente calorico.
by italia salute
09 ottobre 2008
l segreto delle coppie felici
Il segreto per raggiungere e mantenere la felicità in una coppia può racchiudersi anche in una serie di atteggiamenti, comportameni e tempo trascorso insieme alla persona amata.
Chiunque sia alla ricerca della gioia e della serenità coniugale può dunque aprire bene le orecchie, sperando di cogliere qualche utile "dritta".
Secondo un sondaggio condotto nel Regno Unito su 4000 coppie sposate, per vivere un matrimonio felice è necessario trascorrere col proprio coniuge almeno 22 momenti al mese di "tempo di qualità", almeno 7 notti di coccole e tenerezze e due appuntamenti a cena da dedicare a voi stessi.
Le coccole sembrano essere un po' la chiave del risultato di quest'inchiesta: le coppie che le praticano almeno 4 volte al giorno giudicano il loro matrimonio come molto felice.
Lavare la schiena al proprio partner o praticargli un bel massaggio: sono tutti gesti da effettuare ogni 10 giorni almeno.
«Coccole, attenzioni e gesti romantici significano per certo "Mi piaci, sto bene con te, mi piacciono e apprezzo il tuo sostegno e le tue cure" e sono parte di un'atmosfera romantica ricercata da chiunque intraprenda una relazione amorosa» spiega lo psicologo che ha curato lo studio Ludwig F. Lowenstein.
Continua lo psicologo: "In questo mondo frenetico spesso noi diamo per scontata e acquisita la relazione col nostro partner, mentre siamo impegnati nella quotidiana lotta per il lavoro e per crescere una famiglia. Tendiamo a dimenticare l'importanza degli abbracci quando la familiarità diventa parte delle nostre vite e, come dice il detto inglese 'la familiarità produce il disprezzo', ma se affetto, coccole e egesti romantici diventano parte della nostra relazione, poi essa cresce forte e rimane forte nel tempo".
Lo studio statistico ha rivelato che, in media, le coppie felici ogni mese fanno due passeggiate romantiche, trascorrono una serata al pub e vanno almeno una volta al cinema.
Queste coppie, inoltre, consumano almeno tre cene romantiche a lume di candela ogni 30 giorni, hanno una conversazione appropriata e profonda sei volte al mese e guardano insieme la televisione sette volte al mese, accoccolandosi l'uno accanto all'altra.
Gli scienziati inglesi consigliano di dimostrare al nostro coniuge quanto lo amiamo con gesti concreti: almeno due volte al mese dovremmo regalare fiori cioccolatini o doni a sorpresa al/alla nostro/a innamorato/a. Con la stessa frequenza, e ugualmente graditi, sono da consigliare la dedica di poesie amorose e dei brani musicali preferiti dal proprio partner.
Tuttavia non bisogna stare sempre appiccicati l'uno all'altra: in un buon matrimonio, infatti, si dovrebbe consentire al proprio coniuge di trascorrere una notte al mese fuori casa in compagnia degli amici.
Semplici atti di attenzione, cortesia e amore, come pulire la casa da cima a fondo senza che ci venga richiesto o portare la colazione a letto, mostrano il rispetto che si nutre per la propria "dolce metà". Bisogna sempre rispettare il lavoro fatto dall'altro coniuge ed evitare assolutamente di impigrirsi, da soli e in silenzio, davanti alla televisione.
Le coppie innamorate inglesi (e abbastanza benestanti, ndr) fanno in patria almeno due mini-vacanze e due periodi di ferie più lunghi all'estero ogni anno.
Jim Forward della Warner Leisure Hotels, ha dichiarato: "Coccole e fine settimana romantici lontano da casa sono la chiave per una grande relazione amorosa e ora questo studio lo ha confermato. Esso prova quant'è importante per le coppie prendersi del tempo l'uno per l'altra. Una relazione di successo è costruita sulla fiducia e l'amore reciproci. Questi sentimenti debbono essere dimostrati ogni volta che se ne presenta l'occasione".
Insomma, ci vuole impegno e dedizione e sbaglia chi dà tutto per scontato.
Il 98% delle coppie felicemente sposate che ha partecipato allo studio ha dichiarato di sentirsi particolarmente fortunata ad avere una relazione così stabile e il 94% si è detto sinceramente convinto che nessun'altra lo sia come la propria.
I ricercatori, dopo tante interviste, sono sicuri di aver trovato una combinazione di gesti e attività che possono aiutare a rendere duratura una relazione:
coccole: 4 volte al giorno
gesti romantici: 3 al mese
appuntamenti a cena: 2 al mese
passeggiate romantiche: 2 al mese
regali romantici: 2 al mese
cenette romantiche cucinate in casa: 3 al mese
colazioni a letto: 1 al mese
conversazioni adeguate: 6 al mese
serate di coccole: 7 al mese
pulire casa da cima a fondo: 3 volte al mese
notti fuori senza l'altro/a: 1 al mese
cinema o teatro: 1 al mese
fine settimana breve: 2 all'anno
vacanze: due all'anno.
Ovviamente questa formula non è magica e alla base di ogni buona relazione amorosa c'è sempre il dialogo, la fiducia, il rispetto, la stima, la comprensione e la capacità di perdonarsi reciproci, oltre, chiaramente, al sentimento e all'impegno dell'amore.
Per chi crede, un forte "collante" della coppia è anche la preghiera in comune e il sistema di valori condiviso, oltre al ricorso a Dio nei momenti lieti e difficili per ricevere il suo aiuto e la sua forza.
Molto contano anche le esperienze che i coniugi e i fidanzati hanno vissuto insieme: esse possono unirli ancora di più o separarli, come purtroppo capita a molte coppie che perdono repentinamente e in maniera violenta un figlio.
Per tutti coloro che sono innamorati, però, questo studio inglese offre utili suggerimenti per condurre una buona relazione amorosa e, magari, per ravvivarla un po', se ci accorgiamo che ultimamente l'abbiamo un po' trascurata.
07 ottobre 2008
OBESITY DAY: Dieta e Risparmio
Gli italiani, da diversi anni ormai, si vedono costretti a fare bene i conti della spesa, per riucire ad arrivare a fine mese.
Il calcolo che non torna è tuttavia quello della salute: per spendere meno si tende ad abbandonare i cibi sani, ma più costosi, della dieta mediterranea, per riempire pance e carrelli di prodotti più a buon mercato, ma che spingono verso l'obesità e, conseguentemente, le malattie cardiovascolari.
I prodotti economici e preconfezionati, infatti, sono più ricchi di grassi e di zuccheri e contengono molti meno nutrienti essenziali di quelli contenuti nell'olio extravergine d'oliva, nella frutta e nella verdura.
A puntare i riflettori sugli 'obesi da fine del mese' è Giuseppe Fatati, presidente dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (Adi), che ha illustrato a Roma i dati raccolti dalla sua indagine sugli italiani, condotta in occasione ell'Obesity Day, una giornata di prevenzione promossa dall'Adi per il 10 ottobre in tutta Italia, con centinaia di ospedali aperti per controlli gratuiti.
"Si tratta di un paradosso della crisi economica: più gli italiani tirano la cinghia, più ingrassano. Tutta colpa del nuovo modo di fare la spesa, che tiene conto più dello scontrino che della salute", dice lo specialista. Così l'esercito di chi si allarga in attesa dello stipendio, gli obesi e sovrappeso 'da fine del mese', va letteralmente a ingrassare le fila degli italiani che hanno problemi con la bilancia. Secondo i dati emersi dal Progetto cuore dell'Istituto superiore di sanità, che gli specialisti dell'Adi giudicano "i più realistici", in Italia oggi il 18% degli uomini e il 22% delle donne sono obesi. Un problema che affligge in particolare gli uomini del Nord Est, del Sud e delle Isole. E addirittura diventa 'allarme rosso' per il gentil sesso del Sud e delle Isole, seguito a ruota dal Centro. Ingrassano gli italiani e aumentano le richieste di chirurgia dell'obesità, in special modo nel Sud.
Ma perché in molti sono costretti ad allentare la cintura a fine mese? E' il prezzo a insidiare il primato della dieta mediterranea. "Calano i consumi di frutta, verdura e olio d'oliva - dice Giuseppe Fatati - E come se non bastasse in nome del risparmio si abbassa la qualità. Questo dal punto di vista nutrizionale si traduce in alimenti più ricchi di grassi e zuccheri. Ed è difficile, davanti a evidenti difficoltà economiche, dire a una donna di fare la spesa badando alla qualità e di portare in tavola più frutta, verdura e pesce, usare pochi grassi, meglio se olio extravergine di oliva".
Conciliare portafoglio e bilancia però non è impossibile, assicura l'esperto. "Basta seguire qualche accortezza ed evitare alcuni errori". 1) Mai fare la spesa in grandi quantità, se non si è più che sicuri che gli alimenti acquistati si possono conservare e mangiare con gradualità. Si rischia di mangiare troppo per paura di buttare o, al contrario, di non aver risparmiato perché il surplus finisce nella spazzatura. 2) Mai avere fretta. Cibi pronti, pasti veloci e cibi freddi mal si conciliano con la linea. 3) Mai "rinunciare al modello mediterraneo", magari per una più economica dieta 'fast food'. 4) Controllare la spazzatura: se buttiamo troppo vuol dire che compriamo troppo. O male. 5) Consumare frutta e verdura di stagione e se possibile prodotti regionali. "Hanno fatto meno strada e, dunque, saranno più convenienti", aggiunge Fatati. 6) Mangiare pesce azzurro, anche surgelato, dai costi contenuti. 7) Limitare la carne. Utilizzare i legumi in modo adeguato come fonte proteica. 8) Confezionare prodotti 'fatti in casa' con le opportune precauzioni igieniche e norme di conservazione (pane, dolci).
Il progetto Obesity Day coinvolge i centri Adi (Servizi di dietetica e nutrizione clinica, Servizi territoriali, Centri obesità) nel campo specifico della prevenzione e della cura dell'obesità e del sovrappeso. Il 10 ottobre ci si potrà rivolgere ai Centri che aderiscono all’iniziativa (per gli indirizzi: www.obesityday.org). E, oltre a ricevere un controllo gratuito, da parte di un medico o di un dietista dopo un dettagliato questionario e la determinazione dell'Indice di massa corporea, si avranno una serie di indicazioni per compiere il primo passo verso il recupero della forma perduta.
Lo slogan di quest'anno invita a "Non rimbalzare da una taglia all'altra. Fai centro!". Un messaggio "scelto – dice ancora Fatati - perché molte persone, quasi la totalità, non sanno che uno dei segreti dello stare bene è il mantenimento del peso ideale, raggiunto con una corretta dieta. Se non si mantiene il peso e lo si lascia oscillare, non solo non si dimagrisce ma si ingrassa più di quanto era il peso iniziale". Ma ancora pochi italiani con problemi di sovrappeso o obesità sanno che esistono sul territorio delle strutture ad hoc alle quali rivolgersi per trovare un aiuto altamente specializzato. Mentre in troppi, conclude Fatati, per veder calare l'ago della bilancia bussano alla porta di specialisti improvvisati e venditori di illusioni.
L'invito è, dunque, a consumare meno e meglio e a muoversi di più.
by italia salute
04 ottobre 2008
La relazione tra reggiseno e cancro al seno
Se non lo avete già bruciato negli anni ‘60, potreste volervelo togliere ora. "Il reggiseno causa il cancro al seno. E’ lampante," afferma il ricercatore medico Syd Singer.
I coniugi Singer si sono dedicati all’investigazione sul cancro al seno nel 1991. Il giorno in cui la moglie, Soma, scoprì un nodulo al proprio seno, il team di ricerca del marito stava esaminando gli effetti della medicina Occidentale fui Figiani. Sotto la doccia, Syd aveva notato che le spalle e i seni di Soma erano segnati da scanalature rosso scuro. A Syd ricordò la domanda posta alla moglie da una Figiana perplessa a proposito del suo reggiseno: "Non si sente stretta?"
"Devi farci l’abitudine," aveva risposto Soma.
Forse il reggiseno comprimeva il tessuto del seno, si chiese Syd, impedendo il drenaggio linfatico e provocando degenerazione?
Soma decise di smettere di indossare il suo reggiseno. Ma quando Syd cercò nella letteratura medica non trovò nessuna causa nota per il cancro al seno, condizione che nelle donne appare raramente prima dei 35 anni, più frequentemente dopo i 40. I tassi di mortalità più elevati sono in Nord America ed Europa settentrionale, col resto del mondo che si sta adeguando velocemente.
La World Health Organization (Organizzazione Mondiale della Sanità) invoca le tossine chimiche quale causa primaria di cancro. Ma i veleni che si accumulano nei tessuti del seno sono normalmente spazzati dal chiaro fluido linfatico verso i grandi gruppi di linfonodi posti nelle ascelle e nella parte alta del torace. I Singer scoprirono che "essendo i dotti linfatici molto sottili, essi sono estremamente sensibili alla pressione e si possono comprimere con facilità." Una minima pressione cronica sui seni può provocare la chiusura delle valvole e dei dotti linfatici..
"Poco ossigeno e meno nutrienti sono trasportati alle cellule, mentre i prodotti di rifiuto non sono spazzati via," notarono i Singer. Dopo 15 o 20 anni di drenaggio linfatico ostacolato dal reggiseno, può apparire il cancro.
Considerando altri paesi, Soma e Syd rimasero colpiti dalla bassa incidenza di cancro al seno nelle nazioni più povere, pur inondate dai pesticidi ivi scaricati dalle altre nazioni. Non trovarono contadine che indossassero reggiseni push-up. Scoprirono invece che tra i Maori della Nuova Zelanda integrati nella cultura bianca vi è la stessa incidenza di cancro al seno, mentre gli aborigeni australiani non integrati non hanno praticamente cancro al seno. Lo stesso trend si applica ai giapponesi occidentalizzati, ai Figiani e ad altre colture convertite al reggiseno.
Nel loro libro Dressed To Kill: The Link Between Breast Cancer and Bras, (Vestite Da Morire: La Relazione Tra Cancro Al Seno e Reggiseno) i due ricercatori hanno anche osservato che proprio prima che una donna inizi il suo ciclo, gli estrogeni si innalzano, provocando un rigonfiamento del seno. Se la donna continua a indossare un reggiseno della stessa misura, i vasi linfatici salva vita saranno compressi in maniera ancor maggiore. Hanno forse scoperto qual è il vero collegamento tra cancro al seno ed estrogeni?
Le donne senza figli non sviluppano mai del tutto il proprio sistema linfatico pulisci-seno. E nemmeno donne che non abbiano mai allattato. Le donne che lavorano, che indossano il reggiseno quotidianamente e rimandano la gravidanza potrebbero essere quelle più a rischio, avvertono i Singer.
Ancora peggio, il divenire donna per una giovane è spesso "marcato" dal suo primo reggiseno. Come l’anziana pratica cinese del bendaggio dei piedi, il "bendaggio del seno " puberale può in ultima istanza condurre a severe complicazioni mediche.
Che il reggiseno sia l’ "anello mancante " che spiega la crescente epidemia di cancro al seno? A cominciare dal maggio del 1991, Soma e Syd Singer hanno condotto uno studio di 30 mesi, Bra and Breast Cancer (Reggiseno e Cancro al Seno) intervistando circa 4.000 donne di cinque grandi città degli Stai Uniti. Erano tutte di tipo caucasico per lo più di "reddito medio" in età compresa tra i 30 e i 79 anni. Metà di loro erano state diagnosticate di cancro al seno.
Quasi tutte le donne intervistate erano scontente della dimensione o della forma del proprio seno. Le donne che avevano scelto un reggiseno per l’aspetto, ignorando indolenzimenti e gonfiori, avevano il doppio di incidenza di cancro al seno di quelle che non l’avevano scelto per questo.
Ma la statistica più sorprendente riguardava le donne che indossavano il reggiseno anche per dormire e che avevano sviluppato il cancro. Così come una donna su sette costretta in un reggiseno per più di 12 ore al giorno. Le donne senza reggiseno hanno solo una probabilità su 168 di subire una diagnosi di cancro al seno, dicono i Singer. La stessa di un uomo senza reggiseno.
"Non dormite col reggiseno!" implora Syd Singer. "Le donne che intendono evitare il cancro al seno dovrebbero indossare un reggiseno per il periodo di tempo più limitato possibile – di sicuro per meno di 12 ore al giorno."
Syd inoltre spiega che quasi l’80% di chi indossa il reggiseno e soffre di noduli, cisti e indolenzimento vede quei sintomi svanire, "entro un mese dopo essersi liberate del reggiseno."
Non tutte sono pronte a liberarsi dal proprio capestro. Come una donna ha rivelato al team, "Le tette mi arriverebbero all’ombelico senza un reggiseno." Ma il chirurgo Christine Haycock del College of Medicine del New Jersey dice che sono le caratteristiche genetiche – non i legamenti o la dimensione del seno – la ragione per cui alcuni seni cedono alla gravità. Un petto che saltella aiuta a tener pulito il sistema linfatico.
Ben consci che i loro risultati erano "esplosivi," i Singer hanno inviato i risultati della loro ricerca ai capi delle più prestigiose organizzazioni e istituti anti-cancro americani. Nessuna risposta. Alla pari del business del cancro, il giro d’affari dei reggiseno è enorme. Moltiplicate il numero delle donne che, in tutto il mondo, comprano qualche reggiseno da 25$ ogni anno e otterrete una cifra vicina ai 6 miliardi di dollari all’anno.
Syd Singer afferma che la censura dell’establishment sulla relazione tra cancro al seno e reggiseno sta uccidendo le donne. Indicando la condizione maggiormente condivisa tra le pazienti di cancro al seno, egli enfatizza che si tratta di un sistema linfatico strizzato dal reggiseno.
Andando sempre senza reggiseno, Soma iniziò a indossare vestiti che non enfatizzassero i seni. Cominciò anche a massaggiare i seni con regolarità e ad andare in bicicletta, a prendere integratori vitaminici ed erboristici e a bere solo acqua pura.
Due mesi dopo, il suo nodulo era scomparso
Un grintoso Syd Singer dice che, al primo spaventevole segnale di un nodulo, “le donne dovrebbero togliersi il reggiseno prima di togliersi i seni." Cosa aspettare, se potete liberare il vostro sistema linfatico adesso?
RICORDATE: Una combinazione spettacolarmente controindicata è indossare un reggiseno e usare un telefono cellulare.
SE DOVETE INDOSSARE UN REGGISENO
Reggiseno push-up e quelli da sport sono da evitarsi. Scegliete reggiseno di cotone, non stretti. Assicuratevi di poter passare con due dita sotto le spalline e ai fianchi delle coppe. Quanto più sono alte le coppe, tanto più severa la compressione dei maggiori linfonodi. Non indossate assolutamente mai questo disastroso dispositivo per dormire. A casa toglietevelo. Massaggiate i vostri seni ogni volta che vi togliete il reggiseno.
Riportate in salute il vostro sistema linfatico, o almeno respirate a fondo liberamente.
di William Thomas
Traduzione a cura di Stefano Pravato
03 ottobre 2008
Sette punti contro gli OGM!
Primo: Depauperazione dei complessi pro-vitaminici e vitaminici delle piante.
Depauperazione di complessi vitaminici e pro-vitaminici non più presenti negli alimenti, con conseguente incremento delle malattie degenerative e carenziali come ad esempio il Cancro.
Secondo: le mutazioni genetiche delle piante e conseguentemente l’ alterazione della Biochimica umana a causa dell’introduzione di geni estranei (es. di animali, batteri, virus, retrovirus) nel DNA della pianta.
Possono così comparire nuove sostanze simili alle vitamine naturali, ma in realtà con caratteristiche di reattività enzimatica e biochimica diverse da quelle naturali, con induzione di modifica della loro componente di attività biochimica sul genoma umano, una volta introdotte con l’alimentazione. Di qui la comparsa potenziale di nuove malattie insorte “artificialmente”.
Terzo: la minaccia alla dieta-anticancro.
Come già dimostrato da diversi Autori , solo un’alimentazione basata su frutta e verdura fresca biologica è in grado di indurre risposta immunitaria contro il tumore, la detossificazione degli organi e dei tessuti. Oggi però, tramite l’introduzione in commercio di cereali, legumi e altri vegetali modificati geneticamente (O.G.M.) in molti di questi alimenti sono contenuti tutti gli aminoacidi essenziali, rendendo in tal modo effettivamente non più curabile il Cancro secondo quanto descritto nella terapia ideata da [W:Max Gerson], e da molti altri autori.
Quarto: malattie indotte da virus transgenici.
I virus transgenici con cui oggi si fanno gli Organismi Geneticamente Modificati (O.G.M.) entrano nel DNA della pianta, modificandola in maniera a noi sconosciuta. Questi virus dovrebbero restare latenti, ma nulla può escludere che possano anche riattivarsi e divenire così portatori di malattie nuove o di malattie abbastanza simili a ben note sindromi purtroppo ancora poco comprese nella loro dinamica(AIDS, Mucca Pazza, etc…), e di cui è ancora molto vaga l’origine (forse virus trangenici ).
Quinto: intossicazione da veleni sintetizzati da piante transgeniche.
Intossicazione cronica di cibi a causa di sostanze tossiche insetticide contenute nelle piante per renderle resistenti ai parassiti come il Bacillus touringiensis, con conseguente possibile incremento di cancri, aborti spontanei,mutazioni genetiche sulla discendenza, Sindromi da Immunodeficienze acquisite, malattie degenerative e da sostanze tossiche, etc….
Sesto: modificazione transgenica di piante naturali.
Passaggio a specie “indigene” naturali delle sostanze tossiche artificiali, come ad esempio il “Bacillus thuringiensis” o di altro tipo, tramite impollinazione incrociata, con potenziale minaccia anche per le piante e le erbe mediche oggi impiegate in FitoTerapia poiché queste ultime saranno inquinate dai geni transgenici provenienti dalle zone agricole a coltura transgenica (OGM).
Settimo: scomparsa irreversibile del patrimonio genetico delle piante naturali!
Graduale ed irreversibile scomparsa delle diversità biologiche, cioè della normale flora naturale. Le coltivazioni transgeniche arrecheranno infatti una gravissima minaccia alle zone ricche di bio-diversità (genomi naturali): il flusso transgenico che andrà dalle piante modificate alle piante naturali sarà inevitabile quando il rapporto numerico fra aree coltivate con piante artificiali supererà le superfici delle piante naturali, determinando così la perdita irreversibile di gran parte del patrimonio genetico naturale di tutte le piante esistenti al mondo.
by danieleMD