14 maggio 2008

L'acqua fonte vitale


Per ottenere un chilogrammo di lana pronta per la vendita servono circa 1.000 litri d’acqua.
Anche le esigenze civili però non scherzano: 120-160 litri per riempire una vasca da bagno, 80-100 litri per un lavaggio in lavatrice, 30 litri per una doccia.
Ma quanta acqua abbiamo ancora a disposizione?
E come viene gestita questa risorsa nel nostro Paese?

Una delle prime azioni che compiamo, la mattina, è aprire il rubinetto dell’acqua per lavarci. Una delle prime azioni che compiono milioni d’africani – negli stessi istanti – è camminare per alcuni chilometri per recarsi al pozzo e riempire una tanica d’acqua.
Già questa differenza ci aiuta a comprendere che il problema “acqua” non è ugualmente avvertito nel pianeta: per altri ancora – pensiamo agli abitanti di New Orleans – la stessa parola è quasi sinonimo di terrore.
Il “pianeta acqua” è un universo composito: piacere e dolore lo attraversano, secondo le situazioni e il nostro atteggiamento nei suoi confronti. Come trattiamo “sorella acqua”?
Ad essere onesti, non troppo bene: fiumi e canali – un tempo vie di comunicazione e fornitori d’alimenti – giacciono abbandonati alle periferie delle città; accanto, frequentemente, sorgono i campi nomadi e tutto ciò che la nostra società non considera degno d’esser osservato: rifiuti, carcasse d’auto abbandonate, scheletri di lavatrici. “Fratello fiume” non ha compiuto un ingresso trionfale nella modernità: al pari dei Rom, scorre silenzioso e quasi rifiutato dalle popolazioni. Per gli amministratori pubblici spesso è una “grana” perché occorre spendere soldi per gli argini, per le opere di canalizzazione, per la depurazione.
Eppure, silenziosamente, “fratello fiume” porta acqua alle nostre case e si porta via tutti i nostri rifiuti, fino a depositarli in mare. Forse, un po’ di riconoscenza non guasterebbe.

Quanta ne resta?
Per ottenere un chilogrammo di lana pronta per la vendita servono circa 1.000 litri d’acqua: gli usi industriali come questo ingoiano enormi quantità del prezioso liquido. Anche le esigenze civili però non scherzano: 120-160 litri per riempire una vasca da bagno, 80-100 litri per un lavaggio in lavatrice, 30 litri per una doccia.
Spesso dimentichiamo che anche l’insalata che serviamo in tavola esisterebbe, senza irrigazione, in quantità sensibilmente minore: ce ne accorgiamo quando una prolungata siccità causa repentini aumenti del prezzo degli ortaggi.
Eppure, come afferma il proverbio – “passata la festa, gabbato lo Santo” – appena il periodo di siccità termina ci scordiamo di tutto e dirigiamo la nostra attenzione su eventi che riteniamo più importanti: dalle crisi di governo al calcio mercato. Ci dimentichiamo che stiamo sottovalutando il liquido che compone il nostro corpo per il 90% circa e che è alla base di tutte le attività umane: dall’impasto di una pizza all’irrigazione di un campo di meloni.
Viene allora spontaneo chiedersi: quanta acqua abbiamo? Sulla carta tanta, un mare d’acqua, ma proprio qui iniziano le distinzioni. Mari ed oceani contengono il 96,5% dell’acqua del pianeta. L’acqua dolce (escluso il vapore acqueo) rappresenta il 2,5% delle risorse idriche di Gaia: sembrerebbe tanta – viste le dimensioni degli oceani – ma abbiamo fatto i conti senza l’oste.
Il 70% dell’acqua dolce è contenuta nelle calotte polari e nei ghiacciai permanenti, mentre poco meno del 30% riposa nelle falde acquifere a grande profondità; viene spontaneo chiedersi: e l’acqua che scende dal mio rubinetto?
L’acqua che usiamo sta tutta in quel “poco meno” del 30%: la quantità d’acqua dolce che circola nel “ciclo dell’acqua” – ossia evapora dal mare, cade sotto forma di precipitazioni e torna al mare scorrendo nei fiumi – è circa lo 0,3% dell’acqua dolce presente nel pianeta. Considerando la totalità delle riserve idriche (dolce + salata), l’acqua effettivamente utilizzabile dall’uomo è lo 0,008% del totale.

Cresce la domanda, diminuisce l’offerta
Per molti secoli l’uomo non si è preoccupato un gran che di fiumi e laghi: erano lì da sempre.
I nostri antenati potevano permettersi quel lusso perché interagivano ma non modificavano il ciclo dell’acqua, sia per quantità che per qualità dell’acqua.
Il gran mutamento avvenne con la rivoluzione industriale: industria (metallurgia e tessile) e agricoltura estensiva necessitano di quantità d’acqua enormi. L’inurbamento richiede la concentrazione di grandi masse d’acqua in pochi punti, e quindi la creazione di complessi sistemi di distribuzione.
Su questi problemi, sta cadendo la classica tegola: il mutamento climatico, che sconvolge la tradizionale piovosità di molte aree.
Le alterazioni generate dal mutamento climatico sono complesse: con molta approssimazione, possiamo affermare che la piovosità tende ad aumentare nelle aree settentrionali ed a diminuire man mano che si scende verso i Tropici e le aree equatoriali. L’Italia, per venire a noi, è oramai compresa in toto nell’area di diminuzione delle precipitazioni.
Nel mese di gennaio del 2007, il direttore della Protezione Civile, Bertolaso, ha dichiarato: «Dobbiamo abituarci a situazioni estreme. Temo che gli scenari dei prossimi mesi siano chiari: passaggi repentini da una situazione climatica all'altra». Come non ricordare l’estate del 2003?

Italia a secco
Soltanto poche settimane or sono, il presidente dell'ANBI – l'Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni –, Massimo Gargano, affermava: «È necessario varare subito un piano per gli invasi». Cosa significa? Che dobbiamo prendere coscienza del problema ed attrezzarci per affrontarlo costruendo nuovi bacini.
Qualcuno potrà ribattere che gli invasi in alta montagna già esistono, ma dimentica che quella non è tecnicamente acqua, bensì energia potenziale nell’attesa di trasformarsi in energia elettrica. In altre parole, il rilascio d’acqua dai bacini può essere necessario per gli usi irrigui ma non – nello stesso periodo – per quelli energetici: ecco la duplicità dell’acqua, prezioso liquido ed energia idroelettrica.
«Un vero e proprio tracollo per l'agricoltura italiana» – è l'allarme lanciato dalla CIA, Confederazione Italiana degli Agricoltori – «incombe lo spettro del 2003 quando, proprio a causa della siccità, si persero circa 5 miliardi di euro».

Tre semplici chiuse
Il dimenticato “pianeta acqua” è dunque composito ed insostituibile: dalla tazza di tè alla centrale idroelettrica, dal pomodoro alla tintura dei tessuti. Cosa possiamo fare?
Precisiamo che – a parte tanta aria fritta – non si sta facendo nulla. Allora, cosa si potrebbe fare?
I grandi laghi prealpini hanno dei livelli minimi e massimi: secondo il Limno – la Banca dati dei laghi italiani – il Lago Maggiore ha addirittura un’escursione di circa 3,2 metri dal livello di massimo invaso al minimo, quello di Como di circa un metro e pressappoco 2 metri il Garda.
In primavera, i laghi raggiungono alti livelli con le piene primaverili e lo scioglimento delle nevi, ma tutta quell’acqua se ne va con il finire della primavera, e in estate – quando servirebbe – sono già ai livelli minimi.
Basterebbero tre chiuse, tre sole chiuse che permettessero di mantenere i laghi agli alti livelli primaverili, per rilasciare poi lentamente l’acqua durante l’estate e utilizzarla per gli usi irrigui.
Costo? Pochi milioni di euro. Non miliardi come il Ponte sullo Stretto di Messina.
Quanta acqua si riuscirebbe a trattenere in quel modo? Circa 1 miliardo e mezzo di metri cubi d’acqua. A quanto ammonta la portata del Po nella stagione di magra? Secondo il Consorzio Navigare sul Po, a circa 420 m3/s: con quell’acqua sarebbe possibile raddoppiare la portata del Po per un periodo pari a circa 41 giorni, ossia proprio nei momenti più acuti della siccità.
Dalla gestione delle risorse idriche, quindi, dobbiamo passare a quella del sistema acqua: sembra un cavillo, ma è una distinzione profonda e di merito.

La gestione delle acque dolci
In Italia, non esiste il concetto di gestione delle acque dolci: nei paesi dell’Europa Centrale, le merci viaggiano per il 30% su fiumi e canali, da noi meno dell’1%. Il “pianeta acqua” incrocia anche il mondo del trasporto, e dove lo fa i risparmi sono evidenti: in Germania il passaggio delle merci dalla produzione alla distribuzione costa circa il 2% in meno che in Italia, proprio l’aggravio che comprende il trasporto. L’UE, nel suo libro bianco La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte ricordava che il bacino del Po è sotto-utilizzato per le sue potenzialità di trasporto, ed era disposta a finanziare fino al 50% della fase di progetto e fino al 10% delle opere per rendere navigabile il Po, dal Delta a Piacenza con diramazione verso Milano. I costi? Il Consorzio Navigare sul Po li stimò nel 2000 in circa 400 miliardi di vecchie lire: circa 200 milioni di euro che, con il contributo europeo, si sarebbero ridotti probabilmente a 100.
Qualcuno ne ha sentito parlare? Si è fatto qualcosa?
Purtroppo, manca in Italia una visione politica che sia vicina alle necessità del Paese, che guardi alla soluzione dei problemi senza verificare, prima, se “tangenziale” fa rima con “tangente”.
Sorella acqua è d’animo gentile e ci sta mandando innumerevoli segnali: la stiamo sottovalutando, ingiuriando, violentando. Non sia mai che passi ai fatti.

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