02 maggio 2008

Il latte artificiale della Nestlè


La Nestlé S.A è la più grande azienda mondiale nel settore alimentare e Produce e distribuisce una grandissima varietà di prodotti alimentari, dall'acqua minerale agli omogeneizzati, dai surgelati ai latticini.

In Italia, la Nestlè arriva nel 1913, costituendo la “Henri Nestlè” ed aprendo lo stabilimento di Abbiategrasso nel 1924 per la produzione di latte condensato e farina lattea. Ma la storia come grande impresa comincia nel 1988, quando acquisisce, dalla “Cir” di Carlo De Benedetti, la Buitoni-Perugina, per una cifra di 1.600 miliardi di lire. Anche da noi partiranno una serie di acquisizioni e fusioni che la renderanno leader nel settore alimentare: la Perrier, grazie alla quale ha acquisito i marchi di acqua minerale Vera, San Bernardo e una quota della Compagnie Financiere du Haut-Rhin (Cfhr), grazie alla quale nel ’97 ha acquisito il gruppo San Pellegrino-Garma (Sanpellegrino, Levissima, Recoaro, Pejo, Fiuggi, Panna, Claudia e San Bitter), cosi ora la multinazionale controlla circa il 25% del mercato italiano; nel ’93, approfittando della privatizzazione dei prodotti del gruppo Sme, la Nestlé aggiunge alla sua ricca tavola i marchi Motta, Alemagna, La Cremeria, Antica Gelateria del Corso, Maxicono, Surgela, Marefresco, La Valle degli Orti, Voglia di pizza e Oggi in Tavola; grazie all'acquisizione di Italgel, il cui pacchetto di controllo (62%) è costato 437 miliardi di lire, fa salire il fatturato della divisione italiana a 3765 miliardi di lire e consente alla multinazionale svizzera di entrare, anche in Italia, nel panorama dei gelati e dei surgelati. Infatti, secondo un vecchio patto tra multinazionali alimentari, al colosso di Vevey fu assegnato il diritto di sfruttamento del marchio Findus in diversi paesi europei ma non in Italia dove è tuttora in mano alla concorrente Unilever.

Nel nostro paese il gruppo svizzero conta 24 stabilimenti con circa 7 mila dipendenti e controlla, oltre a quelli già citati, i marchi Smarties, Kit Kat, Galak, Lion, Crunch, After Eight, Quality Street, Rowentree, Cailler, Toffee, Polo, Fruit Joy, Orzoro, Latte condensato e cioccolato Nestlé (dolci), Nestea, Beltè, Spumador (bevande), Vismara, King's (insaccati), Sasso (olio), Berni (conserve), Locatelli, Mio, Fruttolo, Fiorello (latticini), Pezzullo (pasta), Maggi (cucina generale), Friskies, Buffet (cibi per animali) e naturalmente il famigerato latte in polvere per neonati Nidina e i boicottati Nesquik e Nescafè (autentici portabandiera della multinazionale elvetica).

Ovviamente, a questa strategia di ampliamento commerciale, è corrisposto un forte aumento di peso politico. La Nestlè fa parte di ERT, un’associazione europea creata per rappresentare gli interessi delle multinazionali in sede europea e fa parte pure di EuropaBio, associazione che raggruppa le industrie con interessi nel settore delle biotecnologie, il cui scopo è d’intervenire a tutti i livelli per legittimarne l’impiego. Inoltre, secondo alcune fonti, finanzia fortemente entrambi i partiti americani, tanto che per la campagna presidenziale del 2002 avrebbe “investito” 153.000 dollari, destinati per il 23% al Partito Democratico e per il restante 77% al Partito Repubblicano.

Una volta chiarite le dimensioni dell’azienda e ripercorso un po’ la sua storia, cominciamo a parlare delle sue nefandezze. Nel 1989, in Brasile, i lavoratori di una fabbrica di cioccolato inscenarono uno sciopero per denunciare le condizioni di lavoro penose, la discriminazione nei confronti delle donne, la mancanza di adeguati indumenti protettivi e di adeguate condizioni di sicurezza. In breve tempo quaranta operai furono licenziati, compresi quasi tutti gli organizzatori dello sciopero. Nel 2002, l'agenzia Oxfam rivelò che la Nestlé aveva fatto causa all'Etiopia per 6 milioni di dollari. L'Etiopia, uno dei paesi più poveri del mondo, si trovava in un periodo di carestia che metteva in pericolo la vita di oltre 11 milioni di persone. La Nestlé chiedeva un risarcimento per un'azienda del settore agricolo di sua proprietà, nazionalizzata nel 1975 dal regime marxista di Mengistu. basti pensare che un solo anno di vendite realizzate da Nestlé è pari a 8 volte il PIL della misera Etiopia. Nel dicembre del 2002 Nestlè ha accettato di accordarsi con le autorità etiopi per ricevere 1,6 milioni di dollari. Nel 2005, la Nestlé Purina commercializzò tonnellate di cibo per animali contaminato nel Venezuela. I marchi incriminati includevano Dog Chow, Cat Chow, Puppy Chow, Fiel, Friskies, Gatsy, K-Nina, Nutriperro, Perrarina e Pajarina. Morirono oltre 500 fra cani, gatti, uccelli e animali da allevamento. Il problema fu attribuito a un errore di un produttore locale che aveva immagazzinato in modo scorretto il mais contenuto in tali cibi, portando alla diffusione di un fungo tossico nelle riserve. Nel marzo del 2005, l'Assemblea Nazionale del Venezuela stabilì che la Nestlé Purina era responsabile a causa di insufficienti controlli di qualità, e condannò l'azienda a risarcire i proprietari degli animali intossicati.

Ma il problema più grave che riguarda la Nestlè, è quello della diffusione del latte in polvere nei paesi poveri. Comunemente si pensa che questo sia migliore di quello materno,in quanto è arricchito di sali minerali e vitamine, ma studi scientifici dimostrano il contrario; infatti quello materno è più salutare e protegge maggiormente il bambino dalle infezioni, oltre ad avere importanti effetti immunitari. Secondo l’UNICEF, i bambini allattati artificialmente sono esposti alla morte il 25% in più rispetto a quelli che usano il materno. la prima ragione è da ricercarsi nella denutrizione dovuta al fatto che molte famiglie guadagnano troppo poco per attenersi alle dosi prescritte. Secondo uno studio condotto dall'organismo inglese War on Want, nel 1974, in Nigeria, il costo dell'alimentazione artificiale di un bambino di tre mesi rappresentava il 30% del salario minimo di un operaio. Il costo passava al 47% quando il bambino raggiungeva i 6 mesi. Se consideriamo che dall'80 al '90 i salari sono diminuiti del 30-40%, non deve stupire se il latte è annacquato diverse volte più del prescritto, con il risultato finale che i bambini, lungi dal crescere belli e robusti, diventano rachitici e sottopeso fino a morire.

La seconda ragione per cui l'allattamento al biberon uccide, è la mancanza di igiene.

L'acqua con cui il latte è preparato è spesso malsana ed è impossibile sterilizzare biberon e tettarelle senza la comodità del fornello e senza disinfettanti.

Mamme con pochi soldi, poche comodità e poche conoscenze igieniche somministrano ai loro bambini latte allungato in biberon a malapena sciacquati, con tettarelle esposte all'aria, su cui si posano di continuo decine di mosche. Le inevitabili conseguenze sono infezioni intestinali che provocano diarree mortali.

Secondo l'UNICEF, un milione e mezzo di bambini muoiono ogni anno perché non sono allattati al seno. Il problema è che l’uso del latte artificiale era iniziato per aiutare quei bambini che non potevano nutrirsi con quello materno, ma ora a causa delle multinazionali si è diffuso a dismisura. Le pubblicità spingono le donne ad usare il biberon, spacciato per elemento di sviluppo. . Oltre a distribuire cartelloni pubblicitari recanti immagini di bambini sani e paffuti negli ospedali, le ditte produttrici si mettono in contatto con i medici locali. Organizzando corsi e seminari per il personale sanitario fanno entrare in uso i loro prodotti negli ospedali. I rappresentanti delle ditte arrivano a fingersi infermieri per convincere le donne incinte a comprare il prodotto commercializzato. In questo sono molto facilitati dalla carenza di informazioni mediche (spesso le uniche disponibili sono proprio quelle fornite dalle ditte produttrici).

Una delle più redditizie tattiche di marketing usata in particolar modo della Nestlé è di dare gratis il latte per bambini o i sostituti agli ospedali e ai reparti maternità. In molti casi, viene dato abbastanza latte perché tutti i bambini nati all'ospedale siano allattati con il biberon. Alle madri viene spesso dato anche un barattolo campione da portare a casa. Dare il latte con il biberon ai neonati fa si che il latte materno venga progressivamente a mancare e l'allattamento al seno diventi impraticabile. Di conseguenza il bambino diventa dipendente del latte artificiale. Una volta a casa, le madri non ricevono più il latte gratis, ma se lo devono comprare. Da questo nascono da una parte i profitti della multinazionale e dall'altra le spaventose conseguenze di malattie e denutrizione. Tutte queste forme di “pubblicità” violano il Codice Internazionale redatto da UNICEF e OMS proprio per arginare le speculazioni alimentari.

Ovviamente anche altre multinazionali alimentari attuano comportamenti scorretti, ma la Nestlè è la multinazionale più potente del mondo nel campo agro alimentare, vende il 25% dei suoi prodotti nel Sud del Mondo e controlla circa il 35-50 % del mercato globale del cibo per bambini, indirizzando tendenze di marketing che influenzano le altre ditte. Inoltre ricorre a irresponsabili tecniche di marketing più spesso di ogni suo concorrente, infatti da quasi due decenni l'IBFAN (International Baby Food Action Network) rende note periodicamente le trasgressioni al Codice da parte delle ditte produttrici attraverso la pubblicazione "Breaking the Rules", e si può notare come la Nestlè sia responsabile del 25% delle violazioni generali, quasi il doppio delle sue concorrenti.

Manuel Zanarin

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