28 maggio 2008

Biologia delle relazioni interpersonali


Il nostro cervello e la nostra mente sono plasmati continuamente dalle interazioni quotidiane, ancor di più dalle relazioni che producono apprendimenti significativi. Se il processo di comunicazione è descrivibile in chiave psicologica e umanistica, altrettanto importante appare la dimensione biologica. Abbiamo bisogno di vedere per credere, e le implicazioni biologiche di una relazione affettiva con una funzione stabilizzante sul tono dell’umore o di regolazione emotiva, come può realizzarsi in una psicoterapia, a livello di circuiti e centri cerebrali, cominciano ad essere svelate e confermate dalle immagini ottenute con le nuove tecniche di visualizzazione cerebrale.

E’ possibile dunque studiare la biologia della relazione e della psicoterapia, superando la visione storicamente dicotomica del rapporto mente-corpo e mente-cervello? “Molti sono rimasti sorpresi e colpiti a riguardo - afferma Massimo Biondi, direttore del Dipartimento di Scienze psichiatriche e Medicina psicologica dell’Università “La Sapienza” di Roma - in realtà questa non è una novità dal punto di vista concettuale, senz’altro lo è dal punto di vista della concreta visualizzazione degli effetti che una psicoterapia ha di fatto sul cervello. Vi è una serie crescente di evidenze che potrebbe suggerire come esista un comune principio organizzatore delle diverse terapie, farmacologiche e psicoterapiche, e una matrice finale comune di esse, sebbene attuate secondo metodi differenti”.

Dello stesso avviso Boris Cyrulnik, neuropsichiatra, direttore delle ricerche in etologia clinica all’Università di Toulon-Var, famoso in tutto il mondo per l’abilità di raccontare attraverso le storie ed i libri le sue teorie, in particolare la teoria della resilienza (le condizioni biologiche, affettive e culturali che modificano la recettività di un organismo, rendendolo capace di affrontare e superare situazioni fortemente problematiche): “Chi era riuscito a dominare le proprie emozioni con l’aiuto di uno psicoterapeuta o di un farmaco, ha imparato a dominare il proprio dolore, a poco a poco, parola dopo parola, affetto dopo affetto, molecola dopo molecola, e ciò ha diminuito il tasso di cortisolo evitando l’atrofia delle cellule ippocampiche. Agendo su qualsiasi punto del sistema relazionale, sulla cellula nervosa, sul modo di vedere le cose o sull’ambiente circostante, è possibile stimolare nuovamente la secrezione di BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor) che alimenta il cervello”. (Di carne e d’anima, Frassinelli).

Abituati a rappresentarci biologicamente i fenomeni mentali in termini di neuroni, sinapsi e molecole, può sembrare un paradosso avanzare l’ipotesi, sostenuta da Biondi in più occasioni, che “la terapia più biologica a livello fine neuronale, di plasticità molecolare, di rimodulazione di circuiti e reti neurali, non sia in realtà quella farmacologica, bensì la psicoterapia”. Siamo ancora in una fase sperimentale, condotta principalmente nel campo dei disturbi ansiosi e delle sindromi depressive.

A prescindere dalla relazione terapeutica, qualcosa di strutturalmente profondo può avvenire durante il periodo sensibile creato da un innamoramento. “Anche a livello biologico, la relazione amorosa offre una possibilità di metamorfosi o cambiamento di direzione - scrive Cyrulnik - l’intensità emozionale e le secrezioni ormonali hanno un effetto sul cervello che corrisponde ad una nuova sinaptizzazione, ovvero all’attivazione di vie neurologiche dapprima non coinvolte nel circuito sinaptico. Tutto è predisposto per agevolare una nuova impronta, una seconda possibilità, ossia quella di modificare le rappresentazioni negative di sé acquisite nel corso dell’infanzia per intraprendere un nuovo stile di socializzazione e ciò spiega la possibilità di resilienza offerta dall’amore”. (Parlare d’amore sull’orlo dell’abisso, Frassinelli).
di Rosalba Miceli

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