13 luglio 2006

La guerra del Don


Quando sento dire che gli italiani non sanno combattere mi viene un magone. Un pezzo della storia, uno dei più dolorosi della nostra storia parte con la disfatta della campagna di Russia.Una testimonianza, uno che era lì, racconta la storia con la sua esperienza.


Il 22 giugno 1941 Hitler attacca l’Unione Sovietica. Inizia l’Operazione Barbarossa. Il Fuehrer cerca in Russia gli “Spazi Vitali”, tanto ambiti dal popolo tedesco che si accinge a dimostrare la superiorità della propria razza e a vantare il diritto di conquista di territori sui quali vivono popoli di razza inferiore. E’ il celebre “Lebensraum”, esaltato da Adolf Hitler nel suo Mein Kampf.
Ma in realtà, quali inquietanti retroscena nasconde? Occorrerà porsi una domanda cruciale per svelarli.
Fra i tanti che contribuirono alla sua ascesa al potere e ad armare la Germania Nazista si annoverano molti industriali e finanzieri, tedeschi e americani, certi che il Terzo Reich, guidato da Adolf Hitler, avrebbe attaccato e distrutto l’Unione Sovietica, cancellando per sempre il pericolo dell’avanzata comunista in Occidente.
Ma perché le Potenze Occidentali, pronte ad assecondare l’espansionismo nazista verso le terre sovietiche, dichiarano guerra alla Germania? Non certo per l’attacco nazista alla Polonia del 1 settembre 1939, anche se il grande conflitto tra Sionisti e Antisemiti, destinato a sconvolgere il mondo intero, esplodeva proprio sul teatro polacco.
Le vere ragioni del Secondo Conflitto Mondiale vanno ricercate nel determinarsi di eventi “non previsti” negli sviluppi della politica internazionale, durante il corso del biennio 1938- 1939: il patto Ribbentrop-Molotov, la dichiarazione tedesco- sovietica di non aggressione, consistente in un vero e proprio accordo che Hitler stringeva con Stalin il 23 agosto 1939, una settimana prima dell’attacco sferrato dai Nazisti contro la Polonia, che in pratica sanciva l’alleanza tra la Germania e l’Unione Sovietica, patria e cuore del Comunismo, odiato e temuto nell’Occidente capitalista.
Il patto di non aggressione con Stalin è dunque una sgradita sorpresa per i grandi esponenti dell’industria e della finanza occidentali, tesi a tutelare il capitale privato, nume intoccabile dell’economia capitalista, che investendo fiumi di denaro in Europa e soprattutto nella Germania hitleriana, intendevano arginare l’avanzata del Comunismo in Occidente e scongiurare il rischio della nazionalizzazione dei beni, strumento principale del sistema economico sovietico. Il “voltafaccia” di Hitler scompiglia i piani delle potenti Corporations angloamericane, rappresentanti di quel potere privato che per mezzo del denaro esercita pressioni di ogni sorta in politica, determinando linee e programmi, e sostenendo l’ascesa alle principali cariche istituzionali di personaggi di proprio gradimento. Il famoso “Red Scare”, l’avversione radicata al Comunismo, ha così consentito loro di disegnare nel Vecchio Continente, dal 1922 al 1936, uno scenario politico a proprio piacimento, che conta ben 15 regimi totalitari, costituiti con il loro determinante appoggio, fra i quali spiccano il Fascismo, il Nazismo e la dittatura franchista. E proprio nel riarmo sorprendente della Germania, che fra l’altro ha permesso profitti colossali ad aziende come la Ford, la General Motors, la IBM, la ITT, essi avevano visto il mezzo per contrastare e distruggere il Bolscevismo e, assecondando la ricerca hitleriana degli “spazi vitali” ad Est, avevano affidato al Fuehrer, deciso ad attaccare prima o poi la Russia, la conduzione della più colossale guerra per procura che la Storia ricordi, con lo scopo di cancellare l’Unione Sovietica dalle carte geografiche e sferrare il colpo mortale al cuore del Comunismo.
L’attacco nazista contro l’Unione Sovietica di Stalin avviene di sorpresa. Ma gli obiettivi di Hitler in Russia non coincidono più con quelli del Capitalismo.Le armate naziste, giunte alle porte di Mosca, non attaccano la Capitale, ma puntano a Sud, verso Kiev prima, verso il Mar Nero e il Mar d’Azov più tardi e infine si lanciano compatte contro Stalingrado, cingendola d’assedio. Perché?
Per il semplice motivo che Stalingrado è l’ultima barriera che li separa dalla foce del Volga sul Mar Caspio, attraverso il quale il piano di Hitler potrà facilmente realizzarsi al più tardi nell’estate del 1942. Ma in che cosa consiste questo piano? Raggiungere l’Iran, oltrepassare i confini iracheni e giungere a Baghdad, dove un gran numero di rivoltosi mussulmani attende con ansia le truppe naziste, per unirsi ad esse e portare a termine, questa volta con successo il colpo di stato, fallito nel maggio del ’41. La posta in palio è enorme: il petrolio. I colossali interessi delle compagnie petrolifere angloamericane che operano in Iraq e in Arabia Saudita rischiano di essere per sempre compromessi.

Ma chi garantisce il petrolio a Hitler? Si chiama Haj Alì El Husseini, Gran Mufti di Gerusalemme, deciso a scacciare gli inglesi da Baghdad e ad affidare il nuovo governo iracheno al filonazista Rashid El Gailani, leader che trascorre il suo esilio tra l’Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. Ma il principale obiettivo del Gran Muftì è quello di liberare per sempre la Palestina dagli Ebrei, che grazie al mandato britannico, formulato in seguito alla dichiarazione Balfour del 1917, affluiscono sempre più numerosi nella valle del Giordano, allontanando dispoticamente dalla sua terra il popolo palestinese. Hitler in cambio del petrolio, si impegnerà a far sloggiare gli ebrei dalla Palestina. Intanto, in virtù di una fatwa, lanciata dal Gran Muftì, le popolazioni mussulmane delle Repubbliche Sovietiche di Azerbajgian, Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan si accingono ad unirsi alle truppe naziste, ribellandosi a Stalin. Non solo. I menscevichi dissidenti della Georgia, gli Azeri e gli Armeni attendono l’arrivo di un grosso contingente italiano, 230.000 uomini che avrà il compito di garantire la ricostituzione della Repubblica Transcaucasica Federata e tutelarne i confini dalle pretese sovietiche. Queste genti contano sull’ARMIR per realizzare il loro sogno di autonomia e indipendenza dalla tirannia staliniana. Un sogno che dura da vent’anni. Nel 1919 infatti queste stesse popolazioni, costituita la federazione, attesero invano che l’Italia garantisse loro un protettorato con la spedizione in Georgia degli 85.000 uomini del Generale Giuseppe Pennella, che aveva ottenuto approvazione e appoggio della Corona e del Governo inglese.
Dallo scenario mediorientale il conflitto tra mussulmani ed ebrei si riflette presto in Europa e Oltreoceano, diventando guerra aperta anche tra chi, pur non mussulmano, odia gli Ebrei e forma il folto gruppo di Antisemiti.
Hitler sarebbe riuscito a raggiungere l’Iraq e il petrolio, se non fossero intervenuti in guerra gli Stati Uniti, decisi a salvaguardare l’assoluto controllo delle Compagnie petrolifere angloamericane in Medio Oriente e nel Golfo Persico e pronti, per raggiungere questo scopo, ad inviare a Stalin aiuti in armi prima, e poi ad allearsi temporaneamente con il loro grande nemico di sempre, l’Unione Sovietica, cuore e patria del Comunismo.
Le forze dell’Asse inviate in Russia, formavano dunque un blocco che minava alla base gli interessi petroliferi americani e avrebbe rappresentato un concorrente molto pericoloso nella contesa dei grandi imperialismi, che avrebbero dovuto confrontarsi con il dilagante espansionismo americano.
I nostri soldati dello CSIR e dell’ARMIR, che avevano assegnati compiti di pattugliamento e controllo delle regioni sovietiche meridionali a maggioranza mussulmana, e anche quello di garantire la costituzione e la sopravvivenza della Federazione delle Repubbliche Transcaucasiche, come la Georgia, l’Armenia e l’Azerbajdjian, si trovarono a dover affrontare lungo la linea del Don soverchianti forze nemiche dotate di mezzi corazzati e caccia bombardieri di produzione americana, che risultarono alla fine determinanti nel successo sovietico. La Grande Guerra Patriottica fu una vera invenzione della propaganda staliniana. Le popolazioni dissidenti e quelle che preferivano altri dittatori al crudele dispotismo sovietico, venivano passate per le armi o deportate. Nel 1944 furono deportati in Siberia 490.000 Ceceni, la metà dell’intera popolazione di mussulmani, rei di aver tentato di appoggiare le truppe dell’Asse.
Il resto…. Non è storia. Ma un coacervo di menzogne.

Qualche storico ufficiale vorrebbe spiegare come i polacchi residenti ad ovest della Vistola potevano considerare liberatori i Russi, allorché gli stessi Russi, quattro anni prima, avevano invaso i territori polacchi orientali, imitando alla perfezione, quanto a crudeltà e massacri, i Nazisti.
Fra quanti acclamavano a Varsavia l’ingresso dei Sovietici liberatori, c’era qualcuno che ricordava loro i diecimila ufficiali polacchi trucidati nel 1939 dagli stessi Russi alle fosse di Kathin?
I nostri Alpini sul fronte del Don, dovettero affrontare forze nemiche il cui numero era sei volte maggiore, e i carri armati T34, costruiti con 10 milioni di tonnellate di piastra d’acciaio, fatta pervenire direttamente dagli Stati Uniti al “nemico-alleato” Stalin, attraverso l’Iran e il Mar Caspio, sotto l’attenta supervisione del Generale americano Schwarzkopf Senior, di stanza a Tehran con il suo quartier generale fin dal 1942. Stalin pretese e ottenne, battendo i pugni sui tavoli del Cremlino, attraverso Averell Harriman, inviato a Mosca da Roosevelt, ben 14.000 aerei caccia bombardieri e qualche migliaio di carri armati Sherman. Curioso notare che nello sbarco in Normandia, il celebre D Day, furono impiegati solo 13.000 caccia bombardieri di costruzione americana. Ma Stalin ottenne anche 20.000 Jeep, e altrettanti autocarri Dodge e General Motors.
I nostri soldati dell’ARMIR, e in particolare le Divisioni Alpine, prive di mezzi corazzati, dovettero affrontare ben 750 carri armati sovietici, T 34 e Klim Voroshilov, opponendosi ad essi col cannoncino 47/32, assolutamente inefficace; ma spesso impegnandosi in combattimenti “Uomo contro Carro Armato”, muniti di poche bombe a mano e mine anticarro che, dando prova di un coraggio mai eguagliato nella storia della Seconda Guerra Mondiale, deponevano attraverso la fessura della torretta, dopo essere saltati sopra i mostri d’acciao. Fino all’ordine di ritirata, le tre Divisioni Alpine mantennero le postazioni loro assegnate sul fronte del Don, senza indietreggiare di un metro. La Julia, impiegata sul fronte Ivanovka – Novo Kalitwa, combatterà per un intero mese all’aperto con temperature di meno quaranta gradi, e nessun sovietico riuscirà ad oltrepassare la linea. Il Battaglione Pieve di Teco della Cuneense, verrà associato alla Divisione di Fanteria Vicenza, priva di artiglieria, nella ritirata del 18 gennaio 1943. Sarà una vera e propria “avanzata all’indietro”, nella quale il valoroso Battaglione combatterà contro i T34 che intrappolavano i nostri Alpini nelle sacche. Il Pieve giungerà in vista di Valuiki con pochissimi superstiti, molti dei quali privi di armi e munizioni, affronteranno i Sovietici, occupanti la città da pochi giorni, all’arma bianca. Dai Russi parte l’offerta di resa. Il Generale Pascolini si arrende. Ai nostri soldati viene concesso dal Generale sovietico Socalov, il permesso di presentare le armi ai caduti, perché mai era accaduto ad un Generale dell’Armata Rossa di dover riconoscere al nemico tanto ardimento e valore.
Per i prigionieri inizia l’esperienza più tragica ed agghiacciante. Il settanta per cento di essi sarà lasciato morire di stenti, dopo viaggi in carri merci della durata di interi mesi.


Alla luce di questa testimonianza, la seconda guerra mondiale assume un significato diverso. Queste sono pagine di una storia più umana piena di cronache, fatti e, più facile da ricordare.

0 commenti: